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Non esiste ruolo nel calcio più lontano dal concetto di tattica che quello del trequartista. Già a partire dalla definizione, il trequartista è quel giocatore che si muove in uno spazio di campo, la trequarti, che è a metà strada tra le due linee definite dalla tattica avversaria, ovvero la difesa e il centrocampo.

Nonostante la sua difficile collocazione e definizione tattica, di natura il trequartista è il ruolo che maggiormente accende l’entusiasmo dei tifosi: di norma si tratta infatti di un giocatore dall’alto tasso tecnico, capace di inventare azioni d’attacco grazie a passaggi calibrati e intuizioni geniali, svariando lungo il fronte d’attacco rendendo il gioco imprevedibile.

Alle origini del trequartista

Il ruolo del trequartista è di recente definizione, ma fin dalle origini del calcio ci sono stati giocatori che, pur non essendo punte, erano portati a supportare maggiormente il gioco per vie centrali in fase offensiva.

A partire dal Sistema di Herbert Chapman, altresì detto WM, le due mezzali che originariamente giocavano a fianco della punta arretrano a centrocampo, giocando però più avanzate rispetto ai mediani.

Con la nascita del Metodo, grazie a Vittorio Pozzo e Hugo Meisl, le mezzali erano chiamate ad un’ulteriore arretramento, per poi arrivare al Catenaccio, con l’invenzione del libero (ovvero l’arretramento del centromediano dietro la linea difensiva) e la conseguente collocazione fissa sulla linea mediana di una delle mezzali.

L’altra mezzala diventava quindi un centrocampista offensivo a tutto campo: possiamo ricordare Valentino Mazzola nel Grande Torino o Alberto Schiaffino nel Milan. Dagli anni ‘60 quindi i centrocampisti offensivi potevano avere due collocazioni: la cosiddetta mezzala d’attacco, come venivano definiti per esempio Gianni Rivera e Sandro Mazzola, giocatori offensivi che giocavano qualche metro dietro la prima punta, oppure l’ala che si accentrava quando saliva il terzino fluidificante (è il ruolo di Mario Corso nell’Inter o di Giacomo Bulgarelli nel Bologna).

Con l’affermarsi del Calcio Totale prima e della Zona poi, i compiti in campo divennero sempre meno specializzati e di conseguenza ai centrocampisti offensivi veniva chiesto di fare un lavoro ben più dispendioso, operando in fase difensiva in altre zone del campo. 

Entrati negli anni ‘90, lo spazio per i trequartisti si era praticamente estinto: o giocavano avanzati, nel ruolo di seconda punta, oppure si allargavano in fascia, possibilmente la sinistra dove venivano coadiuvati dal punto di vista atletico dal terzino fluidificante.

Se nella rivoluzione di Arrigo Sacchi non c’era assolutamente spazio per giocatori “anarchici” dal punto di vista tattico, in altri casi alcuni fuoriclasse erano talmente superiori tecnicamente da poter giocare liberi da costrizioni tattiche: è il caso di Michel Platini nella Juventus di Trapattoni, di Zico all’Udinese e soprattutto di Maradona nel Napoli, l’emblema del genio libero di creare calcio in mezzo al campo come più gli aggrada.

Il trequartista però tendeva ad essere sempre più “ingabbiato” in un ruolo riconducibile al 4-4-2 o la 4-3-3. Arrigo Sacchi in nazionale arrivò a schierare Beppe Signori sulla sinistra del centrocampo e Roberto Baggio attaccante, escludendo dal gruppo un altro talento cristallino come Roberto Mancini, dal momento che non riusciva a trovare una collocazione tattica adeguata a questi trequartisti. Il suo successore al Milan, Fabio Capello, accantona a lungo un talento assoluto come Dejan Savicevic.

L’affermazione del trequartista

Uno dei migliori allievi di Sacchi, Carlo Ancelotti, rappresenta alla perfezione il cambio avvenuto nella considerazione del trequartista sul finire degli anni ‘90. Nella sua carriera di allenatore a Parma Ancelotti scelse di adottare un rigido 4-4-2 sacchiano, sacrificando un giocatore di classe sopraffina come Gianfranco Zola, venduto al Chelsea, e opponendosi all’acquisto di Roberto Baggio.

Qualche anno più tardi, nella sua sfortunata esperienza alla Juventus, arrivò ad adottare una difesa a 3 (un unicum nella sua carriera) pur di far giocare Zinedine Zidane nella sua posizione più congeniale, ovvero quella di trequartista alle spalle di Inzaghi e Del Piero.

Passato successivamente al Milan, i suoi successi sono stati definiti dall’utilizzo dei trequartisti, da Rui Costa a Seedorf fino a Kakà, arrivando addirittura all’adozione dell’Albero di Natale per far coesistere al meglio tali giocatori.

Prima ancora di Ancelotti, il Milan di Alberto Zaccheroni trovò la chiave di un’incredibile rimonta che valse lo scudetto nel momento in cui abbandonò il 3-4-3 in favore di un 3-4-1-2 in cui Zvone Boban era libero di giostrare da trequartista dietro le punte.

Contemporaneamente, nel Vicenza di Francesco Guidolin che stupì tutti conquistando prima una Coppa Italia e quindi la semifinale di Coppa delle Coppe, il più tradizionale 4-4-2 viene abbandonato a favore di un 4-4-1-1 in cui un giocatore come Lamberto Zauli, che altro non può essere che un trequartista per caratteristiche fisiche e tecniche, gioca dietro una punta unica.

Per l’inizio del nuovo millennio tutte le maggiori squadre europee, con l’eccezione di quelle inglesi ancora legate al 4-4-2 per la maggior parte, schierano almeno un trequartista: dalla Spagna dove diventa la norma utilizzare il 4-2-3-1 alla Germania dove il 4-3-1-2 viene interpretato con trequartisti estremamente fisici, pronti a dare un apporto maggiormente di corsa che di qualità, come Michael Ballack che portò il Bayer Leverkusen in finale di Champions League e la Germania in finale ai Mondiali di Giappone e Corea del 2002.

In Italia, l’Inter provò Clarence Seedorf come trequartista, prima di cederlo al Milan e scegliere la via del 4-4-2 con Hector Cuper, mentre la Roma di Capello dette libero sfogo al talento di Francesco Totti.

Il Parma di Malesani dava spettacolo in Europa grazie al talento di Juan Sebastian Veron, che avrebbe poi sostituito alla Lazio un trequartista dalle caratteristiche opposte come Pavel Nedved, interprete del ruolo muscolare e di sostanza come Ballack.

Il ceco avrebbe sostituito Zidane alla Juventus, dal momento che il francese fu ceduto ad un Real Madrid che attorno a lui costruì la squadra dei Galacticos, destinata a dare battaglia ad un Barcellona in cui i trequartisti fiorivano di continuo: Rivaldo, Ronaldinho, Deco, Iniesta, Messi… Sono solo alcuni dei trequartisti che hanno avuto successo in blaugrana, adattandosi anche a giocare in altre zone di campo vista l’abbondanza.

Abbondanza che segnò forse il fallimento in Catalogna di uno degli interpreti più particolari del ruolo di trequartista, quel Juan Roman Riquelme che con la maglia del Villarreal invece incantò la Liga per anni.

La mutazione moderna del trequartista

Il rinnovato successo del trequartista nel calcio moderno è passato attraverso una mutazione della maniera di interpretare il ruolo. Il trequartista non è più un centrocampista offensivo o una mezzapunta che stazione sulla trequarti per ricevere palla e supportare l’azione d’attacco, bensì un regista avanzato che parte dalla posizione di trequarti per ricevere palla in altre zone di campo.

Con la difesa a zona che si premunisce di occupare le posizioni al centro del campo in fase di non possesso, la presenza statica di un giocatore nella trequarti rischia di congestionare gli spazi e risultare controproducente. 

Per questo il trequartista tende a cercare spazi diversi dove ricevere palla, spesso costringendo l’avversario a seguirlo e quindi liberando spazi al centro. Non a caso il trequartista oggi trova spazio quasi esclusivamente in sistemi di gioco che prevedono una punta sola, in maniera che mentre il centravanti impegna la linea difensiva sulla profondità, il trequartista può cercare di allargarne le maglie dilatando così gli spazi a disposizione dei compagni.

In fase di costruzione spesso si abbassa sulla linea dei mediani, offrendo un appoggio al volante in fase di impostazione, oppure si può allargare sulle fasce in maniera da liberare lo spazio per la corsa del centrocampista box-to-box.

Ancora, nel caso la squadra schieri un falso nueve in posizione d’attacco, può sfruttare le sue doti di inserimento per andare ad occupare gli spazi svuotati dal movimento “a sottrarsi” del compagno risultando così il principale riferimento offensivo.

A seconda delle caratteristiche dei giocatori collocati sulla trequarti, il trequartista diventa una chiave fondamentale del gioco della squadra, anche in fase di recupero palla.

Già Luciano Spalletti alla Roma svoltò la squadra spostando Francesco Totti in posizione di centravanti, facendo ricoprire a Simone Perrotta il ruolo di trequartista non solo in funzione offensiva, con la sua corsa e facilità negli inserimenti, ma anche nell’ottica di portare immediatamente il pressing sul portatore di palla contrastando la manovra avversaria sul nascere.

Nella sua seconda esperienza romana, questo meccanismo è stato portato a livelli quasi perfetti da Radja Nainggolan, centrocampista in grado di offrire un contributo di valore in ogni fase di gioco, dotato di ottime capacità di pressing e contrasto ma anche di tiro.