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Quello del terzino è il ruolo che ha attraversato i maggiori cambiamenti dagli albori del calcio fino ad oggi. Nel calcio attuale i “numeri 2 e 3” hanno ben poco in comune con i terzini di qualche anno fa, ma pure i difensori di fascia degli anni ‘60 erano ben diversi dai giocatori che occupavano la “terza linea” all’inizio del secolo scorso.

Alle origini del terzino

Il terzino deve il suo nome al fatto che originariamente era uno dei due giocatori che occupava la cosiddetta terza linea, ovvero si posizionava in difesa davanti al portiere. La prima linea era composta dai giocatori offensivi, ovvero punte, ali e mezzali, mentre alle loro spalle c’era la seconda linea, ovvero i mediani, andando a comporre lo schema a piramide rovesciata maggiormente diffuso, una sorta di 2-3-5.

L’allenatore austriaco Karl Rappan è stato il primo ad arretrare i mediani in linea con i terzini, ma anche il Metodo adottato da Vittorio Pozzo nell’Italia due volte Campione del Mondo e oro alle Olimpiadi tra il 1934 e il 1938 i tre mediani arretravano in marcatura sugli avversari lasciando liberi i terzini dalle marcature.

Sarà poi Gipo Viani a introdurre il libero e a codificare così il catenaccio che caratterizzerà in particolare il calcio italiano dal secondo dopoguerra in poi.

Nelle linee difensive quindi due giocatori, a cui rimane il nome di terzini, si piazzano in prossimità delle linee laterali, con il compito di marcare le ali avversarie. Essendo posizionati in una zona di campo con minore densità di avversari, erano spesso gli uomini nella posizione migliore per ricevere palla in fase di ripartenza.

L’idea di base era comunque sempre quella di arretrare le linee di difesa per poi cercare di attaccare lanciando lungo sugli attaccanti avanzati. I ruoli erano definiti: chi si occupa di difendere non pensa ad altro che a difendere, mentre gli attaccanti aspettano palla in attacco.

Qualche eccezione si vedeva, ma si trattava di squadre dal tasso tecnico enormemente superiore agli avversari, come il Brasile di Vicente Feola che trionfò ai Mondiali del 1958 in Svezia con un 4-2-4 in cui i terzini Djalma Santos e Nilton Santos si prendevano la libertà di avanzare palla al piede oltre la metà campo e tentare anche la conclusione.

Giacinto Facchetti e l’invenzione del terzino fluidificante

La grande innovazione in Italia arrivò con Helenio Herrera, che nella sua Inter capace di vincere due Coppe dei Campioni consecutive schierò Giacinto Facchetti nel ruolo di terzino sinistro, sfruttando la sua straripante atleticità anche in fase offensiva. Nominalmente nel ruolo di ala sinistra giocava Mariolino Corso, giocatore dalla tecnica sopraffina ma poco incline alla corsa e che tendeva sempre a stazionare nelle zone più interne del campo.

Facchetti aveva così campo libero davanti a sé, dal momento che il terzino avversario stringeva sulle posizioni di Corso, e spesso avanzando sulla fascia si faceva trovare libero da marcature avversarie e in condizione di andare a segno o di fornire assist ai compagni. Non a caso Facchetti è stato il primo difensore a superare quota 10 gol in campionato, e per descrivere la sua interpretazione al ruolo venne ideato il termine di terzino fluidificante.

Il terzino non era più costretto a compiti di copertura sulla sua metà campo, ma era libero di avanzare e supportare l’azione offensiva.

Ovviamente per poter giocare da terzino fluidificante sono necessarie doti atletiche importanti e una qualità tecnica di un certo livello. Non a caso Facchetti fino ai 18 anni aveva giocato da centravanti, e la sua retrocessione sulla linea dei terzini era stata una geniale intuizione di Helenio Herrera. Sul lato opposto, come terzino destro, giocava un roccioso marcatore vecchio stampo come Tarcisio Burgnich, quanto di più lontano dall’idea di fluidificante che si potesse avere.

Con l’emergere del calcio totale professato dall’Olanda negli anni ‘70 i vari ruoli iniziarono ad assumere più compiti, con una maggiore permeabilità tra fase offensiva e fase difensiva. L’eccezionalità del terzino fluidificante veniva quindi sempre meno, anche se comunque il ruolo restava sempre presente nelle squadre con un atteggiamento più difensivo.

Ne è un esempio Antonio Cabrini nella nazionale italiana campione del mondo a Spagna ‘82: terzino sinistro dotato di tecnica e potenza, arriva spesso al cross o alla conclusione in prima persona, contribuendo in maniera fondamentale ai successi degli azzurri e della Juventus in quegli anni.

Curiosamente, è quasi sempre il terzino sinistro a ricoprire il ruolo di fluidificante, mentre  sulla destra si utilizzava un giocatore prettamente difensivo.

La rivoluzione di Sacchi: entrambi i terzini a supporto dell’attacco

Con la rivoluzione tattica portata dalla difesa a zona e da Arrigo Sacchi, il classico terzino fluidificante (tradizionalmente collocato a sinistra) scompare, a favore di un’interpretazione del ruolo del terzino molto più totale, a destra come a sinistra.

Con il maggior apporto alla fase difensiva da parte di tutti i giocatori, i terzini, sia destri che sinistri, possono osare di più nelle sortite offensive, andando a pressare più alti.

Nel Milan di Sacchi sia Paolo Maldini a sinistra che Mauro Tassotti a destra sono liberi di spingersi contemporaneamente oltre la linea del pallone, aiutando il contropiede accompagnando l’azione dei compagni.

A cavallo del cambio di millennio il ruolo del terzino diventa sempre più spesso quello dell’ala aggiunta, in particolare nell’interpretazione dei giocatori sudamericani: la scuola brasiliana sforna terzini in grado di risolvere partite da soli, sia a sinistra (Roberto Carlos, Marcelo) che a destra (Cafù, Dani Alves, Maicon). Gli argentini si affidano a esterni meno spettacolari in fase offensiva ma dalla corsa inesauribile come Javier Zanetti.

In Italia la Nazionale campione del Mondo del 2006 schiera sulla destra un giocatore che nasceva come ala, talvolta come seconda punta, come Gianluca Zambrotta, e sulla sinistra un altro terzino dalla propensione offensiva come Fabio Grosso, goleador nella semifinale contro la Germania.

L’esterno oggi: quarto di difesa o quinto di centrocampo, sempre a tutto campo

Oggi quello che era il terzino fluidificante è un elemento essenziale per qualsiasi squadra, a prescindere dallo schema utilizzato.

Che le difese si dispongano a 4, con i terzini quindi posizionati agli estremi delle linee difensiva, oppure a 3, con gli esterni di centrocampo a coprire tutto il campo, gli esterni sono l’elemento attraverso il quale le squadre alimentano i propri schemi d’attacco, creando superiorità numerica o cercando gli inserimenti a sorprendere gli avversari.

Il terzino puramente difensivo ormai non esiste più, in quanto le squadre affidano ai soli centrali (e spesso ad un mediano di rinforzo, in caso di difesa a 4) i compiti di marcatura, mentre i terzini costringono le ali avversarie ai ripiegamenti difensivi grazie alle loro proiezioni verso la metà campo avversaria. 

È essenziale però essere in possesso di corsa e lucidità, in quanto si è chiamati a rientrare di corsa verso la propria area e a mettere in atto diagonali difensive di copertura nel momento in cui la squadra perde il possesso palla.

I terzini in fase offensiva sono essenziali per le uscite di palla dalla propria metà campo, e anche in questo ci sono ormai moltissime interpretazioni differenti del ruolo: c’è chi si accentra a supportare i centrocampisti, lasciando libere le mezzali di allargarsi e proiettarsi in attacco (movimenti tipici del Manchester City di Guardiola), oppure chi si allarga il più possibile sulla fascia, arrivando a giocare sulla linea degli attaccanti, come spesso fatto da Leonardo Spinazzola con l’Italia nel vittorioso Europeo 2020.