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C’est la vie. Ed è una vie lastricata di preoccupazioni. Essere allenatori non è mai stato così duro: sono finiti da un pezzo i tempi dei Wenger, dei Ferguson o degli Ancelotti in salsa milanista. Sono finiti gli uomini che si legano a uno stemma e provano a modellare una squadra secondo le proprie intuizioni e il proprio stile.

Ecco: adesso è il tecnico che deve farsi un esame di coscienza e sperare di non essere troppo in là per recuperare il suo gruppo, o almeno per trarne il meglio nel quotidiano.

C’è una regola non scritta del calcio – che poi vien scritta dai contratti, in realtà – ed è quella relativa ai frequenti saluti agli allenatori: nel calcio, se c’è davvero un colpevole, spesso è proprio l’uomo che siede in panchina. Può accadere per mille fattori: perché l’ambiente non lo tollera, per questione caratteriale, per mancanza di risultati (soprattutto). A pagare è sempre chi ci mette la faccia, chi prova a dare una sterzata decisa e decisiva. Chi è responsabile di tutto e per tutti, anche quando il naufragio arriva per i motivi più disparati.

Ma chi è stato l’allenatore che ha accumulato più esoneri? E quali sono stati i più incredibili? Bene: partiamo da questi ultimi.

Quegli esoneri a sorpresa

Nessuno, nella storia del calcio, batterà probabilmente l’esonero che più ha segnato il destino sportivo di una squadra. Parliamo di Bela Guttmann: dopo aver vinto tutto con il Benfica – per ben due volte campione d’Europa – chiese più soldi e saltò il suo contratto con il Benfica. Prima di sbattere la porta, Guttmann non si fece problemi a urlare la maledizione più famosa di sempre, almeno nell’ambiente del pallone: “Da qui a cento anni nessuna squadra portoghese sarà due volte campione d’Europa ed il Benfica senza di me non vincerà mai una Coppa dei Campioni”. Indovinate un po’? Le risate iniziali hanno ceduto il passo alla credenza popolare.

Oh, per tornare in Italia: Lippi all’Inter ha una traccia di insofferenza incredibile, un po’ come Sarri alla Juventus. Era stato l’ambiente a rigettarli. Al primo posto, però, due “panchine d’oro” maledette: la prima, quella di Gigi Simoni.

Quando Moratti lo esonerò, era a -5 dalla vetta e aveva battuto il Real Madrid per 3-1. Capitò lo stesso – coi dovuti distinguo – a Max Allegri, ai tempi del Cagliari: nel 2011-2012 il Cagliari non aveva preso la stessa direzione dell’anno precedente, che con l’attuale tecnico della Juventus era stata una sorpresa continua. Bene: Cellino si stufò (anche delle voci sul Milan) e lo salutò prima di essere salutato. Come un amante geloso.

Una nota a margine la merita anche Zac: Berlusconi, nonostante lo scudetto un anno prima, esonerò Alberto Zaccheroni in diretta televisiva senza passare dal diretto interessato. Galeotta fu l’eliminazione dei rossoneri dalla Champions League dopo un pari contro il Deportivo La Coruna. Inutile dire che non la prese benissimo, con Galliani a trattare la buonuscita…

Quanti esoneri!

Oh, pensate che appena un anno fa, poco prima dei conti e del mondo bloccati dalla pandemia da Coronavirus, in Italia si mangiavano allenatori come si fa con il pranzo di Natale: con una voracità irreale. Il 5 febbraio del 2020 la Serie A aveva già piazzato il record europeo di cambi di panchina: erano passate 22 giornate ed erano arrivati ben 10 cambi di panchina. A ripensarci, uno ogni due turni di campionato. Il primo a saltare? Marco Giampaolo, al suo posto Stefano Pioli. Col senno di poi, che dire?

Ma questo è un po’ il destino dei cosiddetti “Maestri“: il calcio italiano è quanto di più risultatista possa esistere, il tempo è sempre poco e le ambizioni sono sempre altissime. Ecco perché Galeone a suo tempo aveva fatto incetta di squadre e pure di allontanamenti dalla panchina, ecco perché Zeman ha patito le stesse condizioni, non riuscendo ad avere tempo e modo di allenare con continuità. I progetti a lungo termine sono per i camaleonti: non lo era certamente Gigi Maifredi, con la grande occasione alla Juventus naufragata in malo modo e non solo per colpa sua.

A proposito: non abbiamo toccato il capitolo presidenti. Il Palermo, e prima il Venezia, di Zamparini è stato famoso fino all’ultimo per i cambi in panchina e i licenziamenti in tronco senza possibilità di appellarsi. Alla fine della fiera, ne ha totalizzati 54 in quasi quarant’anni di presidenza. Lo segue Cellino, oggi al Brescia, che di allenatori ne ha cambiati 32. Poi c’è Preziosi: è a 26, tanto poi richiama sempre Ballardini. Ovviamente, va chiarito un aspetto: l’equazione più esoneri e meno talento non ha senso. Sapete chi è stato il tecnico più volte allontanato dal Genoa? Juric. E il più esonerato da Zamparini? Guidolin. Difficile definirli tecnici di secondo piano.