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Il 4-3-3 è il modulo che ha rappresentato la risposta in chiave offensiva al 4-4-2 di impronta sacchiana che ha preso piede tra gli anni ‘80 e ‘90 in Europa ed in particolare in Italia.

Se il 4-4-2 era il modulo che garantiva la miglior copertura, il 4-3-3 offriva una maggior presenza in tutte le zone del campo, anche in fase offensiva. A differenza del suo “competitor”, poi, è sopravvissuto in salute anche fino ai giorni nostri, anche se è passato attraverso numerose riletture.

Zdenek Zeman, il profeta del 4-3-3

Come abbiamo già visto nel caso del 4-4-2, la grande rivoluzione rappresentata dal Calcio Totale olandese negli anni ‘70 mise in crisi le precedenti concezioni di schieramenti tattici.

Nella disposizione tattica di quell’Olanda finalista del Mondiale del 1974, allenata da Rinus Michels, possiamo vedere i primi segni di quello che sarebbe diventato poi il 4-3-3, con gli esterni Rep e Rensenbrink a percorrere tutta la fascia ai fianchi del “giocatore totale” Cruyff.

È però poco corretto cercare di ingabbiare lo schieramento degli Orange in un modulo fisso, e per trovare il vero e proprio principio del 4-3-3 dobbiamo fare un salto in avanti di qualche anno, e spostarci in Italia.

Non è però un allenatore italiano il padre putativo di questo modulo, bensì un allenatore boemo, giunto in Italia quasi per caso ventunenne, costretto a stabilirsici  in seguito allo scoppio della Primavera di Praga nel 1968: Zdenek Zeman.

Sportivo, giocatore di hockey su ghiaccio, pallanuoto e pallamano, Zeman iniziò ad allenare alcune squadre dilettantistiche durante gli studi all’ISEF, introducendo sul campo da calcio alcuni degli elementi tattici propri degli sport che aveva praticato.

Grazie al suo 4-3-3 così rivoluzionario si fa ben presto un nome nei tornei calcistici meridionali, arrivando prima alle giovanili del Palermo e poi al Licata, dove vince la Serie C2. Seguono esperienze al Foggia in C1, quindi in Serie B al Parma (dove riesce a sconfiggere il Real Madrid in un’amichevole precampionato) e al Messina, dove grazie a lui si consacra un giovane Totò Schillaci come capocannoniere.

Richiamato al Foggia nel 1989, Zeman compie il miracolo sportivo della sua carriera, portando questa neopromossa in Serie B a vincere il campionato nel 1991 e a salvarsi per tre anni consecutivi in Serie A. In questi anni il 4-3-3 di Zeman, interpretato dal trio delle meraviglie composto da Ciccio Baiano, Beppe Signori e Roberto Rambaudi, è garanzia di gol e spettacolo, contrapposto all’ordine e al rigore tattico del 4-4-2 sacchiano.

Corsa, coesione e automatismi: i segreti del 4-3-3 di Zeman

Nella disposizione di Zeman i tre reparti sono schierati perfettamente in linea, con le ali che giocano sulla stessa linea del centravanti, in grado di allargarsi o tagliare al centro dell’area a seconda dell’opportunità. 

Anche i centrocampisti sono chiamati a supportare l’azione offensiva, così come i terzini che devono sfruttare le sovrapposizioni sulla fascia. Come si può intuire, è quindi fondamentale che tutti questi giocatori abbiano resistenza e lucidità sufficienti per correre senza sosta per tutti i 90 minuti, essendo chiamati di continuo ad attaccare prima e recuperare le posizioni poi.

Essenziale è il ruolo del mediano centrale, il regista chiamato a dirigere il flusso del gioco sulla fascia d’attacco, tipicamente con dei cambi di gioco veloci a sorprendere gli avversari protesi a difendere su un lato. Gli attaccanti esterni infatti, quando sono sul lato opposto rispetto a quello dove si sta sviluppano l’azione, devono tagliare verso il centro a chiamare la palla alle spalle del difensore centrale.

Contestualmente, il centravanti può attaccare la porta mentre la mezzala sul lato debole può inserirsi in area per chiudere l’azione e quella sul lato del pallone allargarsi offrendo un’altra soluzione esterna all’attaccante che ha ricevuto palla.

Tutti questi possibili sbocchi offensivi rendono il 4-3-3 un modulo particolarmente imprevedibile e orientato allo spettacolo, dove il possesso palla è facilitato dalle continue sovrapposizioni esterne, tra terzini, mezzali e attaccanti esterni.

Perché tutto questo sia efficace, però, è richiesto un sincronismo nei movimenti di tutta la squadra che si raggiunge solo con estenuanti allenamenti, e soprattutto con una totale predisposizione a mettersi completamente a disposizione della squadra.

Zeman e gli allenatori che hanno assimilato al meglio la lezione del boemo negli anni ‘90 hanno difatti ottenuti i risultati migliori in squadre di livello medio-basso, senza grandi stelle ma con un gruppo compatto e che attraverso l’applicazione ed il sacrificio riusciva ad ottenere successi sacrificando la gratificazione personale, ultimo in ordine di tempo il Pescara campione della Serie B nel 2012.

Trapiantato questo modulo in squadre di vertice (tipo la Lazio di metà anni 90‘) è sempre stato difficile ottenere la stessa coesione di squadra (vedi la successiva esperienza zemaniana alla Roma)

Guardiola e il 4-3-3 ai vertici

A riuscire ad imporre il 4-3-3 ai vertici assoluti è stato Pep Guardiola con il suo Barcellona, scegliendo di far correre più la palla che gli uomini. Innanzitutto, rispetto al 4-3-3 zemaniano, quello di Guardiola si preoccupa di assicurare maggior copertura e meno frenesia nell’uscita della palla attraverso l’uso della salida lavolpiana con il volante, ovvero la discesa del mediano in mezzo ai difensori centrali in fase di impostazione.

In questa maniera, oltre ad offrire scambi più agevoli per tutti i suoi giocatori, invita la squadra avversaria a cercare il pressing più alto, liberando così spazi in profondità.

Un’ulteriore variante tattica è l’introduzione del falso nueve al posto del centravanti, in maniera da portare fuori posizione i difensori centrali rendendo l’area facile preda dei tagli degli esterni.

Sarri e gli altri: il 4-3-3 oggi

In tempi recenti il 4-3-3 che sintetizza i dettami di Zeman e la lezione di Guardiola ha trovato nuova linfa in Italia con Maurizio Sarri, che alla guida del Napoli aveva creato una squadra improntata al gioco lungo la direttrice centrale, dal portiere Reina al difensore Raul Albiol fino al regista Jorginho, tutti dotato di buon piede e visione di gioco e particolarmente efficaci nella costruzione dal basso.

Ai fianchi di Jorginho trovavano posto due mezzali particolarmente dinamiche, una portata al contrasto e al recupero dei palloni come Allan, l’altro all’inserimento e alla conclusione a rete come Hamsik. Gli attaccanti esterni erano Insigne sulla sinistra, rapido e tecnico con la palla tra i piedi, e Callejon sulla destra, strepitoso negli inserimenti alle spalle degli avversari. Il tutto con un centravanti dai piedi buoni bravo a giocare anche sulla trequarti, Higuain prima e Mertens poi.

Sarri sta cercando di ricreare questo sistema oggi alla Lazio, e anche altri giovani allenatori come Vincenzo Italiano alla Fiorentina e Alessio Dionisi al Sassuolo si stanno mettendo in luce con principi di gioco simili.

Nel frattempo l’adozione del 4-3-3 come modulo di base è fruttato all’Italia di Roberto Mancini la vittoria degli Europei, mentre in Inghilterra Jurgen Klopp ha trasformato il Liverpool in una sorta di versione di lusso del Foggia di Zeman, ovvero una squadra che applica un 4-3-3 fatto di enorme intensità e automatismi nei movimenti e negli scambi di posizione in fase offensiva, ma il tutto attraverso degli interpreti con un tasso tecnico fuori dal comune.