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Ciro Immobile aveva 21 anni. Lorenzo Insigne, 20. Marco Verratti, solo 18. Erano praticamente sconosciuti nell’élite del calcio italiano.

Erano tre giovani che cercavano di trovare il loro posto e di farsi strada. Si sarebbero uniti al Pescara sotto un allenatore tanto brillante quanto controverso, il ceco Zdenek Zeman, “attraente e kamikaze”, offensivo e forse troppo, per nulla loquace ma dominatore nelle giornate giuste.

Un fumatore vero, come gli allenatori di una volta. Il suo non negoziabile 4-3-3 era il discorso dei circoli dell’Italia che era, e il suo tempo al Pescara ha fatto sì che la gente volgesse lo sguardo alla Serie B, ben più del solito.

Quello che non è così noto è che nell’estate del 2011, Immobile, Insigne, Verratti e il resto della squadra ha sudato come non mai in preparazione. Serie di 3.000 metri, 2.000 metri, dieci volte 1.000 metri, allenamento piramidale, da meno a più e da più a meno, senza molte pause. Che fosse questo il segreto? Per tanti, proprio così.

Una squadra piena di giovani

Zeman, con una squadra piena di giovani, voleva attaccare ma anche recuperare la palla il prima possibile. Aveva bisogno di gambe e Immobile, Insigne e Verratti, oltre al talento, avevano l’energia dei loro teneri anni. I tre, ora indiscussi titolari di prima scelta nella squadra che ha vinto meritatamente l’Europeo, riuscirono a formare un meraviglioso triangolo, di talento e di colpi.

Verratti era il regista, la mente che orchestrava il calcio della squadra dei Delfini. Insigne era il dieci, il fantasista, quel playmaker offensivo e di talento, che aveva raccolto un’eredità di grandiose mezzepunte (Baggio, Del Piero, Zola, Mancini stesso…). E poi Immobile, bravo ad approfittare dei servizi dei suoi due compagni di squadra per segnare continuamente. Quella stagione la concluse con 28 gol e come capocannoniere; 18 reti e 14 assist, i numeri di Lorenzo Insigne.

Il Pescara riuscì serenamente a passeggiare verso la promozione con 83 punti e 90 gol, 27 in più della Reggina. In difesa? 55 gol concessi, in 42 partite, partite che erano ovviamente uno spettacolo per gli occhi.

Ecco, ma com’era nata quella squadra? Un po’ per caso. E cioè: Di Francesco, l’anno prima autore di una salvezza tranquilla, approda al Lecce e lascia un po’ sorprendentemente il Pescara, spiazzata soprattutto dall’atteggiamento di una parte della squadra.

Insieme al tecnico, infatti, andranno via alcuni giocatori chiave, in particolare i più esperti. Con una squadra da ricostruire, il presidente Sebastiani, arrivato da poco, decide di rifondare la squadra. Affidandola al rischioso Zeman.

Il mercato e il campo

La costruzione non si rivela semplice. Oltre a sistemare la difesa, il punto cruciale era proprio un attacco ad altezza Zeman.

E se l’arrivo di Insigne fu un colpo proprio del boemo (l’aveva già allenato al Foggia), puntare su un Immobile da poche reti e poca sostanza – sul quale il tecnico non era neanche particolarmente d’accordo – fu intuizione del direttore sportivo Delli Carri.

In realtà, il titolare sembrava potesse essere Maniero. Poi l’esplosione di Ciro, futura scarpa d’oro, alle prese con la prima ed enorme iniezione di fiducia della propria carriera. Da agosto a maggio, tutta un’annata di livello assoluto.

Dalla prima del Bentegodi (Immobile e autogol di Ceccarelli), alla super vittoria con l’Empoli (ancora Ciro, più Cascione), passando per le tre sconfitte nelle prime sei giornate e i cinque gol all’Albinoleffe, la stagione del Pescara inizia ad avere una sorta di stabilità solo verso fine ottobre e inizio novembre.

Un altro calo a dicembre e poi la vittoria della svolta, a ridosso di Natale: l’1-0 alla Sampdoria, con gol di Sansovini, nella partita meno zemaniana della storia della stagione. Quella sì, che diede la candidatura ai Delfini per un posto in Serie A.

Si inaugurava così un girone di ritorno da paura. Cinque vittorie nelle prime sei, i successi decisivi con Sassuolo e Juve Stabia. E poi i due 6-0, sul campo del fortissimo Padova e in casa contro un Vicenza da rivedere.

Ancora con la Samp, il successo definitivo, il 20 maggio del 2012, nell’incredibile cornice di Marassi. Doppio Caprari – altro protagonista incredibile di questa Serie A – e poi il sigillo ancora di Ciro Immobile.