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Secondo Karl Marx, la storia ama ripetersi. Quando un evento accade per la prima volta ha i contorni di una tragedia. Quando quello stesso evento ritorna, assume le fattezze un po’ ebeti ed esilaranti della commedia.

La (non) cessione di Beppe Signori al Parma nell’estate del 1995 è stato un evento tragico e al contempo comico. Tragico, perché la notizia della cessione dell’allora capitano e miglior marcatore (con 17 reti) biancoceleste ebbe sulla città di Roma lo stesso effetto della morte di Gaio Giulio Cesare qualche migliaio di anni prima. Comico, perché le modalità con cui la cessione venne annunciata – meglio, vociferata – e poi ritrattata risultano ancora oggi incomprensibili, divertenti, in un certo senso comiche.

Signori venduto al Parma!

Eppure, se l’ermeneutica è umana e in quanto tale fallibile, non lo è la Storia. Per dirla con Einstein, « Dio non gioca a dadi ». La cessione di Signori al Parma viene annunciata l’11 giugno del 1995. Quel giorno, nessuno ha voglia di pensare all’ultimo gol di Signori con la maglia della Lazio. Non c’è tempo per il passato quando il futuro ti è strappato dal cuore. Eppure il dato, in quelle ore frenetiche poco rilevante, assume ai fini del nostro racconto un’importanza decisiva. L’ultimo gol Signori lo segna 14 giorni prima contro il Foggia. Gol numero 17 contro la squadra resa grande dall’allenatore che lo allena alla Lazio: Zdenek Zeman. Deridete la Cabala e lei riderà di voi.

Quando la città di Roma scende in strada per opporsi alla cessione del Re, Giuseppe Signori, il Re è lontano dalla sua gente. Si trova in Brasile, dove la Lazio è in tournée. Signori alza la cornetta del telefono. Probabilmente chiama Dino Zoff, il presidente della Società Sportiva – che è però interamente finanziata da Sergio Cragnotti. «Non voglio casini. A Roma sto bene, ho una bambina piccola, non me ne voglio andare », sono le prime rabbiose ma lucide parole dell’attaccante biancoceleste.

«Sono deluso, continua. Pensavo di essere in sintonia con questa società, invece hanno fatto tutto loro. È assurdo che io sia l’ultimo a sapere le cose. Comunque deciderò io». In realtà, per tutti, decide o meglio media Zoff.

Cragnotti ha bisogno di soldi, semplicemente. Calisto Tanzi è un suo intimo amico, e si dà il caso che sia pure il presidente del Parma. Così, quando quest’ultimo gli offre 25 miliardi sul piatto per il cartellino di Signori, Cragnotti non ci pensa due volte. Il patron biancoceleste, evidentemente, non ha fatto i conti con i tifosi della Lazio.

La rivolta della tifoseria laziale

Gli Irriducibili, gruppo storico della Curva Nord laziale, sfruttano il potere ineguagliabile delle radio romane per radunare circa 5000 tifosi in Piazza Barberini: sede, per la precisione in Via Novaro, di Cragnotti & Partners. Il corteo giungeva da via del Corso ed era passato da Montecitorio e via del Tritone. Una lunga lingua biancoceleste con in testa uno stendardo di dimensioni anomale, raffigurante Giuseppe Signori con in testa una Corona.

La giornata è stancante per tutti. Per Dino Zoff, che si muove tra il Banco di Roma, Sergio Cragnotti e i tifosi della Lazio. Per Beppe Signori, che afflitto dalla lontananza della sua gente si sente impotente. I tifosi, intanto, a proposito di tragedia e commedia, si dividono tra chi assedia la polizia e chi, al massimo, lancia cartoni di latte Parmalat (il trait d’union tra Cragnotti e Tanzi) verso la sede del presidente biancoceleste.

Forse non a caso Rutelli, l’allora sindaco di Roma nonché noto tifoso della Lazio, chioserà con struggente ironia: «è una questione di latte».

Un altro politico di fede laziale, Gianfranco Fini, viene interrogato dai giornali sulla di lui moglie, la signora Daniela che non si perde neanche una partita della sua Lazio all’Olimpico. Fini, sorridendo, risponde: «Oggi non l’ho mai vista dentro casa. Per quanto ne so, potrebbe trovarsi anche lei sotto la sede del presidente».

Quando ormai il sole si fa più mite scomparendo tra i palazzi di piazza Barberini, Dino Zoff esce dalla sede Cragnotti & Partners fondendosi tra la folla laziale.

È una scena messianica. Per un attimo, probabilmente una frazione di secondo, i 5000 (e più) tifosi della Lazio trattengono il sospiro: «Signori resta», annuncia Zoff.

È il delirio, ma è anche un importante e irripetibile (a proposito di Marx) capitolo della storia: non era mai capitato e non capiterà mai più che una sommossa popolare bloccherà – meglio, annullerà – una trattativa ormai conclusa di calciomercato.

«Non ci siamo capiti, dirà poi Zoff ai tifosi. Tutto è successo così in fretta che prima di avere il tempo di pensare è scoppiata la bomba». Zoff è furbo, ma nessuno ci casca. Né i tifosi, che sanno di aver compiuto un miracolo, né tantomeno Cragnotti: «Vendo, mi dimetto da tutte le cariche. Sono molto amareggiato e non intendo più occuparmi di sport» si leggerà in un suo comunicato pubblicato sul sito di Cragnotti & Partners di lì a poche ore. “ Per Signori faremo la guerra “, avevano scritto sui muri i tifosi della Lazio.

Verba volant, Signori manet.