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Esiste un momento nella memoria del tifoso interista, slegato alle imprese sul campo, che è rimasto impresso nella mente in maniera indelebile: la mattina del 25 luglio 1997, quando in una calda mattina di inizio Luis Nazario da Lima, Ronaldo, altresì detto Il Fenomeno, sbarcò a Milano per indossare la maglia nerazzurra.

Forse nessun trasferimento nella storia del calciomercato italiano è stato paragonabile; Maradona al Napoli fu clamoroso, ma arrivava da due anni pieni di problemi a Barcellona; Cristiano Ronaldo è arrivato alla Juventus dopo aver concluso un ciclo memorabile al Real Madrid, vincendo qualsiasi cosa, iniziando la fase discendente della sua carriera; Zico all’Udinese era stato un ingaggio eccezionale, ma non portava con sé con promesse di vittoria.

La storia del trasferimento di Ronaldo alla corte nerazzurra di Massimo Moratti è stata probabilmente l’apice del prestigio della Serie A italiana, negli anni in cui era veramente il miglior campionato del mondo.

La premessa: l’ascesa di Ronaldo a Fenomeno

Luis Nazario da Lima era arrivato in Europa in terra olandese nel 1994, passando dal Cruzeiro al PSV Eindhoven per 6 milioni di dollari. In seguito alle sue ottime prestazioni nei Paesi Bassi fu acquistato dal Barcellona due anni più tardi per 20 milioni di dollari. Nel 1996 però in Spagna viene introdotta una novità contrattuale, ovvero la clausola rescissoria: al momento della firma, viene fissato anche il prezzo per il quale il giocatore può essere libero di firmare per un’altra squadra.

Il prezzo della clausola rescissoria di Ronaldo viene fissato a 30 milioni di dollari, pari a 48 miliardi di lire. Ben presto però appare una cifra sì consistente, ma non assurda per un giocatore che in maglia blaugrana fa vedere sul campo cose che sembravano possibili solo nei videogiochi dell’allora neonata Playstation.

Tutte il gotha del calcio continentale, che all’epoca comprendeva lesette sorelle” della Serie A, si interessa a questo strepitoso attaccante brasiliano che è lanciato verso la conquista del Pallone d’oro. Mentre Ronaldo stendeva l’Atletico Madrid con una fantastica tripletta al Vincente Calderon, a Milano il presidente dell’Inter Massimo Moratti prendeva una decisione: quel Fenomeno doveva vestire la maglia dell’Inter, per riportare la Beneamata ai fasti di quando il presidente era il padre Angelo.

Un’estate di rilanci, intrighi e trattative condotte a pranzo

Moratti ha deciso: l’Inter, che dopo lo scudetto dei record del 1989 e la Coppa Uefa del 1991 non ha più sollevato nessun trofeo, deve tornare a vincere! È a questo scopo che ha rilevato la società nel 1994 e ha investito fior di quattrini, rastrellando talenti in Serie A e all’estero.

In quell’estate del 1997 ha già versato 13 miliardi nelle casse dell’Atletico Madrid per il Cholo Simeone, 10 in quelle dei Bayer Leverkusen per il brasiliano Ze Elias e 5 in quelle del PSG per Benoit Coet. E ancora Taribo West, Checco Moriero, il giovane talentino uruguagio Alvaro Recoba… La squadra messa a disposizione del tecnico Gigi Simoni è di buonissimo livello, ma manca ancora quel quid che ponga l’Inter sopra tutte le avversarie. Quel quid non può essere altri che il Fenomeno.

Mentre il Barcellona si rende conto del valore assolutamente inadeguato della clausola del brasiliano, i suoi procuratori Alexandro Martins e Reynaldo Pitta cercano di strappare condizioni contrattuali migliori, facendo leva sull’interesse delle varie squadre europee verso il loro assistito. A tale scopo si appoggiano all’agente Giovanni Branchini, che sonda anche varie società italiane interessate al giocatore: Milan, Lazio (forte dei grandi interessi del patron Cragnotti in Brasile) e ovviamente anche l’Inter.

La telefonata galeotta durante il pranzo

Subodorando il pericolo, il vicepresidente del Barcellona Joan Gaspart si affretta a concludere la trattiva con Martins e Pitta. Raggiunto il difficile accordo su ingaggio (pagato in parte da sponsor esterni), sfruttamento dei diritti di immagine e adeguamento della clausola a 60 milioni di dollari, si decide di suggellare l’intesa con un pranzo il 27 maggio. Con i ritmi catalani, andare a pranzo alle 18 non era così così inusuale, ma mentre Gaspart si intrattiene al tavolo con Pitta e Martins, Branchini si alza da tavola e si assenta per circa mezzora.

Non sappiamo se utilizzò il telefono del ristorante oppure uno dei primi, enormi telefoni cellulari che venivano commercializzati in quegli anni, fatto sta che che Branchini avvisa Moratti dell’accordo raggiunto con la squadra catalana. Dall’altro capo della cornetta, il presidente interista afferma di essere pronto a pareggiare qualsiasi offerta economica del Barça.

Finito il pranzo ad un orario più consono a quello di una cena la conversazione si sposta negli uffici del Barcellona ma verso le 21 si verificò una rottura tra i vertici blaugrana e gli agenti di Ronaldo. Qui le versioni divergono completamente nelle ricostruzioni odierne da parte di Gaspart e Brachini: da un lato il dirigente catalano afferma che Moratti aveva promesso condizioni migliori agli agenti di Ronaldo, dall’altro Brachini sostiene che gli accordi verbali erano stati completamente stravolti nella stesura del contratto, e la dirigenza blaugrana non volle concedere nessuno spazio di trattative.

Fatto sta che la firma su quel contratto non arrivò mai, Ronaldo partì per la Copa America che si giocava in Bolivia (che avrebbe vinto da MVP) e nel giro di qualche settimana dall’Italia arrivarono i 48 miliardi di lire necessari a coprire la clausola rescissoria di Ronaldo. La mattina del 21 giugno 1997 i giornali sportivi italiani aprono con la notizia dell’ingaggio del Fenomeno da parte dell’Inter, ma in realtà la vicenda è solo all’inizio.

Il ricorso alla FIFA

Il Barcellona sostiene che la cifra versata dall’Inter non corrisponde a quanto previsto dal contratto del giocatore, ma Branchini, colui che aveva fatto inserire la postilla per cui la clausola poteva essere versata non esclusivamente dal calciatore ma anche da un soggetto terzo come un altro club, fa notare che essendo un versamento proveniente dall’estero è soggetto ad una tassazione diversa.

Il Barcellona non ci sta, e ricorre alla FIFA lamentando la regolarità del pagamento. Moratti incaricò i dirigenti nerazzurri Luis Suarez, bandiera interista ma anche del Barça, e Sandro Mazzola di dirimere la questione e portare a termine la trattativa. L’arbitrato FIFA si risolve a favore dei nerazzurri, che devono però versare una penale al Barcellona di ulteriori 3 miliardi di lire. Ma come aveva fatto bene intendere Moratti, i soldi per lui, e per tutta la Serie A, non erano un problema. Anni dopo il sistema calcio avrebbe pagato a carissimo prezzo le spese folli di questo periodo, ma al momento si stava costruendo uno dei campionati più competitivi della storia.

L’arrivo del Fenomeno a Milano

Dopo tanto penare, Ronaldo sbarca a Milano, firmando il contratto nella sede dell’Inter il 25 luglio, dopo un altro pranzo, stavolta condotto senza alcuna interruzione. La prima stagione di Ronaldo all’Inter fu indimenticabile, e segnò, nel bene e nel male, un’intera generazione di tifosi nerazzurri. Lo scudetto perso tra le polemiche del contrasto tra il Fenomeno e Iuliano nello scontro diretto, la Coppa Uefa vinta a Parigi contro la Lazio, con Ronaldo assoluto protagonista, e una serie di prodezze che hanno fatto rinnamorare del calcio tutta Italia.

Poi arrivò il Mondiale del 1998, il misterioso malore che escluse Ronaldo dalla finale, il lento recupero e i tremendi infortuni al ginocchio in rapida successione. Dopo il 5 maggio 2002, quando l’Inter perse incredibilmente lo scudetto all’ultima giornata, le strade di Ronaldo e l’Inter si divisero.

Tutto quanto successo dopo nella carriera del Fenomeno non conta, nella mente del tifoso interista. Non contano i successi con il Real Madrid, non conta il Mondiale vinto con il Brasile, non conta, anzi, proprio non è esistita la parentesi con la maglia del Milan. Per l’interista tutto Ronaldo è racchiuso tra quella telefonata a metà pranzo tra Branchini e Massimo Moratti e quella Coppa Uefa sollevata al Parco dei Principi.