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Nel calcio, ma anche nella pallacanestro e in altri sport giocati con la palla, il pressing è quell’insieme di azioni che compie una squadra per contrastare il possesso palla avversario, al fine di sottrarre il pallone o quantomeno di impedire l’impostazione dell’azione d’attacco.

Quando un giocatore singolo compie quelle azioni di disturbo si parla di pressione portata sull’avversario, ma quando è tutta la squadra che le compie in maniera coordinata, con i compagni che si aiutano raddoppiando la pressione quando necessario, si parla appunto di pressing.

Se oggi ci appare come una delle componenti più naturali del gioco, in realtà ha iniziato ad essere praticato relativamente tardi nella storia del calcio.

Come e perché si inizia ad applicare il pressing

Le origini del pressing vanno ricercate nel Calcio Totale olandese: nella rivoluzione portata nel calcio europeo dall’Ajax di Rinus Michels e dal Feyenoord di Enrst Happel, tra la fine degli anni ‘60 e l’inizio dei ‘70, una delle peculiarità erano i movimenti ad aggredire il portatore di palla da parte di tutti i giocatori, non solo da parte di quelli incaricati della fase difensiva.

Andando a contrastare il giocatore in possesso di palla, anche senza riuscire a recuperare il pallone si ottengono due risultati fondamentali: in primo luogo, si costringe il portatore di palla a cercare di passare velocemente il pallone ad un compagno, aumentando così le probabilità che commetta un errore; in secondo luogo, se tutta la squadra applica un pressing organizzato, si orienta il possesso palla avversario verso i giocatori meno dotati tecnicamente, i quali se aggrediti da più di un contendente allo stesso tempo è più probabile che perdano la palla.

L’evoluzione del pressing tra Sacchi e Lobanovsky

Negli anni ‘80 il calcio si evolve rapidamente, assimilando la lezione del Calcio Totale e applicandola ai principi della Zona. In Italia è il Milan di Arrigo Sacchi la squadra che si impone grazie a questi concetti, tra cui un pressing organizzato in maniera scientifica, portato con vari uomini in determinate zone di campo al fine di costringere gli avversari ad una velocità, intensità e a dei ritmi a cui non erano abituati. 

Grazie al grande atletismo e alla grandissima intelligenza tattica dei suoi giocatori, Sacchi riuscì ad imporre il suo calcio in tutta Europa, facendo entrare il Milan un un’epoca di epici successi in Coppa dei Campioni.

Ma nelle coppe europee negli stessi anni un’altra squadra colpiva l’attenzione per l’applicazione moderna del pressing: si trattava della Dinamo Kiev allenata dal colonnello Valerij Lobanovskij.

Allenatore della prestigiosa squadra ucraina e allo stesso tempo commissario tecnico dell’Unione Sovietica, il colonnello Lobanovskij chiedeva ai suoi giocatori un asfissiante pressing a tutto campo, portato in maniera continua grazie alla scientifica applicazione di un’assegnazione ad ogni giocatore di zone di campo di propria competenza in cui portare pressione agli avversari in maniera da innescare, nel momento in cui si recuperava palla, azioni di contropiede già memorizzate dal resto della squadra.

Il pressing al giorno d’oggi

Le ultime evoluzioni del gioco hanno portato ad unire i principi del gioco di posizione, in cui l’obiettivo è occupare preventivamente gli spazi, al pressing, arrivando quindi a proporre quel gegenpressing per cui un giocatore è già pronto a riaggredire l’avversario nel momento stesso in cui imposta l’azione ed è consapevole della possibilità di perdere palla per il pressing avversario.

Fino agli anni ‘80, quando le squadre si disponevano quasi tutte con un impianto di gioco sempre riconducibile al 4-4-2, i meccanismi del pressing erano abbastanza codificati. Con le successive evoluzioni tattiche, dalla difesa a tre al ritorno in voga del trequartista, si sono moltiplicate le situazioni di disparità numerica in certe zone di campo che favoriscono l’applicazione del pressing, oppure al contrario il suo disinnesco.

È sempre meno frequente quindi vedere applicato un pressing continuo e a tutto campo, mentre si notano determinate situazioni in cui una squadra porta un pressing particolarmente intenso, quando per il resto del match magari preferisce attendere l’avversario, coprendo gli spazi e risparmiando energie.

Il pressing offensivo

Il lavoro di trequartisti e attaccanti è diventato fondamentale per portare un pressing particolarmente offensivo, spesso finalizzato a costringere i difensori a giocare per vie laterali, generalmente meno pericolo rispetto al gioco sviluppato per vie centrali.

Talvolta però questa tattica è una sorta di trappola: chiudendo determinati spazi si cerca di incanalare il gioco avversario verso una zona presidiata da un giocatore, normalmente un terzino, particolarmente bravo nell’anticipo e nelle ripartenze.

Il pressing da parte degli attaccanti è poi fondamentale anche per rallentare il lancio lungo avversario sulle punte, dando l’opportunità alla linea difensiva di salire, applicando così il fuorigioco e riducendo lo spazio tra le linee.

Il pressing difensivo

Paradossalmente al giorno d’oggi il pressing viene portato sempre meno in fase prettamente difensiva: si preferisce schermare preventivamente le linee di passaggio verso i compagni che andare ad aggredire direttamente il portatore di palla. Questo perché, se ci si è mossi efficamente nelle precedenti fasi di gioco, difficilmente l’avversario sarà in possesso palla in una zona pericolosa di campo.

Spesso si vede una squadra smettere improvvisamente di portare pressing se non si riesce a recuperare palla in un breve lasso di tempo e ricomporre velocemente l’assetto difensivo di copertura, anche se questo significa lasciare campo al portatore di palla: un pressing portato male nella propria zona difensiva può essere più pericoloso di un avversario in possesso palla senza possibilità di passaggio.