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Dal 2017 ad oggi, il mondo degli eSports in Italia ha imboccato la corsia di sorpasso.

Secondo i dati forniti dalle ricerche Nielsen-IIDEA, in quattro anni e mezzo il numero degli appassionati è aumentato del 33%. Sono nate tante nuove organizzazioni esportive, nelle quali hanno cominciato ad investire – seppur ancora timidamente – sponsor non endemici. Società e federazioni hanno accolto a braccia aperte le competizioni di sport virtuali.

E soprattutto di eSports si parla un po’ ovunque, non solo su Internet. Persino i telegiornali e gli show tv negli ultimi anni si sono accorti di questo mondo. Il più delle volte, però, attraverso questa attenzione trapela il messaggio che le competizioni di videogiochi da noi siano un fatto molto recente.

In realtà non è così. Anche in Italia gli eSports hanno una loro storia che, in maniera simile a quanto successo nel mondo, ha le sue origini all’inizio degli anni Duemila. Quasi un ventennio di vita, quindi, ma con alcune peculiarità tutte nostrane che oggi rendono l’eSports “azzurro” un mercato con grandi potenzialità ancora in buona parte inespresse.

Dicevamo all’inizio che qualcosa è cambiato a partire dal 2017. Ma in che modo e perché quella data può davvero rappresentare un turning point, un punto di svolta degli eSports in Italia? Lo abbiamo chiesto a Mattia Guarracino, in occasione della Final Eight eSerie A TIM di FIFA21, dove il pro della Sampdoria ha ricevuto il Fair Play Award.

Il 29enne romano è a tutti gli effetti un pezzo di storia degli eSports italiani. Da 15 anni compete con il nickname Lonewolf92 sui campi virtuali di FIFA, il videogame calcistico sviluppato da EA Sports. Vincitore di 6 titoli italiani (record), di un oro alle Ems IX, e di due bronzi, uno ai World Cyber Games in Corea del Sud e uno ai Campionati Europei di FIFA11, Guarracino può essere considerato il primo esporter italiano di professione.

Mattia “Lonewolf92” Guarracino (courtesy of eSerie A TIM)

Ciao Mattia e grazie per il tuo tempo. I tuoi risultati ci fanno capire che gli eSports hanno una storia lunga anche nel nostro Paese. Ci aiuti a ricostruirla attraverso la tua esperienza?

Certamente, è un piacere! Premesso che da bambino volevo diventare un calciatore vero (e ci ho provato per un po’), ho sempre avuto la passione anche per i videogiochi, prima per PES e poi per FIFA. La svolta verso il competitivo arriva nel 2006, a 14 anni, quando scopro che esiste un torneo nazionale di FIFA06 World Cup (è l’anno del Mondiali in Germania!) organizzato da Euronics. La competizione si svolge su più tappe e io partecipo a quella di Roma. Debutto contro avversario che ha quattro anni più di me, mi sembra un gigante e mi dice: “ti faccio 10 gol”. Invece finisce 11-0 per me. Anche le altre partite sono in discesa. Alla fine mi aggiudico la tappa e vado alle finali di Milano. Qui vengo eliminato, ma in compenso scopro che esiste un un vero e proprio circuito e una community di appassionati che non conoscevo.

Questo cambia la tua percezione del mondo dei videogame?

Sì. L’ambiente mi piace, la competizione mi stimola e da lì inizio a giocare seriamente. Ma è solo l’inizio della scoperta del mondo esportivo, perché nel 2008 vinco il titolo italiano e volo alle olimpiadi dei videogiochi in Germania. L’impatto è pazzesco, un evento con dimensioni mai viste in Italia. Un altro momento decisivo per me sono state le olimpiadi esportive in Corea del 2011. Una sensazione incredibile, non solo per il mio risultato finale (3°), ma soprattutto per il fatto di essere lì a rappresentare l’Italia degli eSports. Io ero il portabandiera azzurro, tra l’altro. Anche se rispetto alle altre squadre nazionali sembravamo degli “scappati di casa”, è stato un modo per dire che i videogiochi competitivi sono un realtà anche nel nostro Paese.

Da quelle esperienze iniziali ad oggi, cos’é successo agli eSports in Italia?

Diciamo che siamo partiti abbastanza bene, con entusiasmo nonostante all’inizio i mezzi – anche tecnologici – fossero limitati. Ma questo vale per tutti, però gli altri hanno continuato a crescere. Mi riferisco a Paesi con i quali possiamo paragonarci, cioè Germania, Francia e Spagna, perché Nord America e Far East sono una storia a parte. Noi a un certo punto ci siamo fermati, più o meno nel 2015. Di fatto c’è stato un crollo organizzativo: sono venuti meno i tornei e il movimento ha cominciato ad sgretolarsi. In mezzo mettiamoci pure la crisi economica che non ha certo facilitato le cose. Lo ripeto, non è che fossimo avanti ma in quel momento siamo tornati indietro.

Oggi però l’Italia è un mercato degli eSports con grandi potenzialità. Quando è iniziata la ripresa?

Nel 2017. Il momento chiave è stato l’ingresso delle società sportive tradizionali. In Italia la prima è stata la Sampdoria che nel gennaio di quell’anno mi ha proposto di rappresentarla negli eSports. In Europa altri club si erano già mossi nella stessa direzione, il Wolfsburg, l’Ajax, il Paris St. Germain. Accettando l’offerta sono diventato il primo pro player di una società professionistica di calcio in Italia.

La prima mossa subito dopo l’accordo è stata organizzare una doppia sfida con i calciatori della società: un round con il pallone reale e uno con il joypad. I video (ancora recuperabili su YouTube, ndr) hanno fatto quasi 200mila visualizzazioni. Ricordo con particolare piacere la sfida a chi colpisce più volta la traversa vinta contro Bruno Fernandes. Quel video da solo ha superato le 100mila visualizzazioni. Doppia soddisfazione! Da quel momento in avanti le società di calcio hanno capito di poter raggiungere le generazioni più giovani. La Roma ha seguito l’esempio, poi sono arrivate Bologna, Sassuolo, Parma grazie anche all’attività di Esports Academy.

Cioè la la tua società di servizi per gli eSports. Qual è l’obiettivo di Esports Academy?

In realtà siamo due soci a gestirla. E’ nata nel 2017, proprio quando sono diventato un pro player della Sampdoria. Io ho portato all’interno della società quello che avevo visto negli anni precedenti grazie ai viaggi in Europa, Asia e Stati Uniti per giocare i tornei. Con Esports Academy abbiamo organizzato eventi per l’UEFA (gli Europei Under 21) e per Sky Sports, in particolare durante il lockdown. Sulla nostra piattaforma, oltre alle competizioni, ci sono corsi di coaching e corsi per chi vuole lavorare nel mondo degli eSports, ad esempio per caster, content creator, streamer ed esperti di marketing esportivo. L’obiettivo è far in modo che a livello culturale tutti possano avvicinarsi a questo mondo.

A questo proposito, ritieni che in Italia esista ancora qualche forma di pregiudizio sugli eSports?

Sicuramente. A livello culturale è rimasto un po’ di distacco. E’ ancora molto diffusa l’immagine classica del videogamer: un nerd chiuso tutto il giorno a casa, con poche relazioni sociali. Non è così e infatti siamo in tanti che lottiamo per smontare questa immagine. Poi c’è chi storce il naso perché non c’è la preparazione atletica. Ho giocato anche a calcio vero e quindi, da un lato, posso capire chi ragiona così. La verità però è che la quantità di preparazione tecnica, tattica e anche mentale che i videogamer competitivi devo sostenere, rende gli eSports simili allo sport tradizionale. Senza contare che molti professionisti dei videogiochi si dedicano anche alla forma fisica, indispensabile per avere mente reattiva e buoni riflessi.

Se il 2017 è stato il momento di ripresa dalla crisi, il punto di svolta è oggi? Cosa serve per recuperare la distanza dagli altri Paesi leader negli eSports?

Sì, senza dubbio il momento giusto è arrivato. I media, gli operatori, gli sponsor stanno capendo che è in atto una svolta soprattutto a livello mediatico, comunicativo. Oggi, con l’arrivo delle società sportive e anche delle Federazioni/Leghe (mi riferisco principalmente al calcio), sta iniziando a cambiare anche la scena competitiva. Bisogna però ancora far capire il valore dell’intero settore, dove non ci sono solo i giovanissimi, anche persone di 30-40 anni. Molte di questi sono ex-giocatori che adesso si stanno riappassionando. Il range è grande, gli sponsor devono rendersene conto. A mio avviso, è solo questione di tempo.

Dalla tua analisi, il futuro degli eSports in Italia sembra roseo. E il tuo come sarà?

Domanda difficile. Spero di rimanere legato a questo settore ma non possono esserne certo. Ho 29 anni, voglio giocare ancora un po’, ma so di non poterlo fare ancora a lungo. I videogame sono per tutti, ma essere competitivi dopo una certa età non è facile. Il mio sogno è quello di rimanere un punto di riferimento per il settore esportivo italiano.

A te va il nostro augurio che questo tuo desiderio si realizzi, oltre al ringraziamento per la disponibilità. Ricordiamo a tutti gli appassionati di eSports che martedì 22 giugno, alle 21:30, su Sky Sport Serie A (canale 202) andrà in onda un documentario che ha per protagonista proprio Mattia “Lonewolf92” Guarracino. Un’ottima occasione per chi volesse conoscere ancora meglio la storia degli eSports in Italia attraverso uno dei suoi protagonisti.

Grazie a voi, alla prossima!

Foto di testa: Mattia “LoneWolf922 Guarracino premiato alle recenti Final Eight della eSerie A TIM di FIFA21 come Giocatore più Sportivo – Fair Play Award (courtesy of eSerie A TIM)