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Mentre sono in fase di svolgimento le Olympic Virtual Series, la versione in formato eSport di alcune discipline olimpiche, in Italia il dibattito sul rapporto tra sport tradizionali e competizioni di videogiochi entra in una nuova fase.

In un convegno tenutosi a Roma il 24 maggio scorso, il CONI ha chiaramente ribadito il proprio interesse per il mondo degli eSports che però, da adesso in avanti, dovranno essere definiti Sport Virtuali. A specificarlo è stato lo stesso presidente del Comitato Olimpico Nazionale, Giovanni Malagò, che ha così chiarito il cambio di registro: “la parola esports deve essere sostituita da Virtual Sports, perché spiega meglio di cosa si tratta”.

Non solo ma, stando ad alcune indiscrezioni, il CONI potrebbe appoggiare la nascita di un vero e proprio soggetto istituzionale: la FISV, Federazione Italiana Sport Virtuali, frutto del lavoro svolto dal comitato guidato da Michele Barbone. Secondo quanto dichiarato da quest’ultimo a esportsmag.it è solo questione di qualche settimana prima che la FISV diventi realtà: “potrà essere annunciata dopo la decisione della Giunta Nazionale e del Consiglio Nazionale del Coni”.

Cosa ci sia dietro a questo “allungo” dello sport olimpico verso gli eSports – o meglio, gli Sport Virtuali – è abbastanza chiaro. Il CONI ha ben compreso il ruolo che i videogame competitivi posso avere a favore dello sport tradizionale. Ne abbiamo parlato qualche giorno fa in un altro articolo, ma in sostanza gli Sport Virtuali  sono un ponte verso le nuove generazioni e di questo hanno bisogno sia le federazioni che le società sportive. Malagò sa che il movimento verso il digitale difficilmente può essere fermato e per questo si è affrettato a specificare che “sarebbe più indicato che ci fosse un organismo che lo controlla, lo vigila, lo supporta, detta le regole”.

C’è però da chiedersi se questa mossa del Comitato Olimpico, piuttosto accelerata rispetto al passato, possa avere altre conseguenza sull’ecosistema delle competizioni videoludiche, a partire proprio dalla nuova etichetta data agli eSports.

Potrebbe sembrare una pura questione nominalistica, in realtà non lo è perché traccia un linea di confine tra i videogame a contenuto sportivo e tutti gli altri. Una de-cisione che finisce per contrapporre i Virtual Sports agli altri eSports (continueranno a chiamarsi così?) e che potrebbe causare più danni che vantaggi.

La prima ragione ha a che fare con i publisher. Alcuni di questi, devono la loro notorietà ai giochi sportivi, ma hanno nel loro portfolio molti altri titoli. E’ il caso per esempio di Electronic Arts, che possiede il videogame sul calcio FIFA ma anche lo “sparatutto” Apex Legends, caratterizzato da una scena competitiva molto seguita e importante per il business di EA. Non è detto che i publisher prendano bene la separazione tra questi due mondi: se così fosse, l’operazione Sport Virtuali potrebbe trovarsi di fronte ad un ostacolo molto impegnativo.

Non bisogna dimenticare che gli sport tradizionali di per sé non sono un’opera dell’ingegno e quindi non sono vincolati da un copyright (sono patrimonio collettivo, come le formule matematiche), mentre invece i videogiochi sono una proprietà registrata del publisher. Il quale, se lo desidera, può modificarne regole, meccaniche di gioco, grafiche e impedire che un certo evento venga disputato se non ne condivide le finalità.

Nel caso di queste prime Olympic Virtual Series, Konami ha dato il via libera per il baseball, ma risulta strano che non ci sia Pro Evolution Soccer (e il calcio in generale) tra i 5 virtual sport da medaglia. Lo stesso dicasi per le versioni elettroniche di basket e tennis, virtual sport con un buon seguito a livello mondiale. Il Presidente del CONI, nel suo intervento al convegno romano, ha infatti aggiunto che “non è possibile pensare di riuscire a interagire con questo fenomeno senza una profonda e proficua collaborazione con chi il videogioco lo crea e lo pubblica e ne detiene i diritti di utilizzo”. La consapevolezza ovviamente c’è, ora si tratta di vedere se essa porterà ad accordi particolari con i publisher.

C’è però un altro problema, di natura diversa ma ugualmente importante perché riguarda gli sponsor. Quello che il CONI sta mettendo sui Virtual Sports potrebbe essere visto come un “bollino blu” dalle aziende intenzionate ad investire negli eSports. Eppure, la maggior parte dell’audience esportiva è costituita da chi segue i titoli che non rientrano tra i Virtual Sports. In questo modo si rischia di generare un effetto disorientante tra i potenziali sponsor, con conseguente rallentamento della crescita del settore. Soprattutto in Italia, così bisognosa di consapevolezza verso le potenzialità del mercato esportivo.

La sensazione è che dividere Virtual Sport e eSports non giovi a nessuno. E, forse, non aiuta nemmeno un’eccessiva identificazione tra sport tradizionale e eSport, come ha evidenziato il Presidente di IIDEA (Italian Interactive Digital Entertainment Association) Marco Saletta in una recente dichiarazione: al mondo degli eSports non serve il vincolo di una definizione, quanto piuttosto la creazione di un contenitore più ampio nel quale trovino spazio tutte le competizioni basate sulle skills mentali.

Il nome giusto potrebbe essere quello delle Olimpiadi della Mente.

 

Foto di testa: Getty Images

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