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C’è chi si è innamorato del suo gioco tecnico e fluido, e chi l’ha odiato per la tendenza ad addormentare le partite con un interminabile possesso palla fine a sé stesso, ma senza dubbio il tiki taka del Barcellona di Guardiola ha segnato il calcio dell’inizio del millennio.

Probabilmente Guardiola è stato, dopo Rinus Michels e Arrigo Sacchi, l’allenatore che singolarmente ha segnato maggiormente il calcio moderno.

In realtà con il termine tiki taka si tende a semplificare fin troppo i principi di gioco di quella squadra ed erroneamente lo si estende a tutte le squadre allenate da Guardiola, come è successo con Bayern Monaco e Manchester City, anche se in realtà negli anni il tecnico catalano ha modificato i suoi dettami tattici.

Come nasce il tiki taka

Il tiki taka nasce a Barcellona un po’ per necessità, quasi in maniera naturale. Quando Guardiola arriva alla guida della squadra blaugrana, trova un nucleo di giocatori cresciuti come lui alla Masia, e quindi già orientati ad un gioco improntato alla tecnica e al controllo del pallone, ma fisicamente poco prestanti e inadatti ad un gioco fatto di pressing e contrasti.

Quello che accomunava  i vari Xavi, Iniesta, Messi, Victor Valdes, Sergio Busquets, Piqué, Oleguer e Pujol era l’essere usciti tutti dalle giovanili catalane e aver quindi affinato in maniera naturale il “ritmo” delle giocate, riuscendo quindi a trovarsi naturalmente sul campo e creando una sorta di meccanismo perfetto in cui era semplice di volta in volta inserire ulteriori elementi di qualità.

Giocatori dal tasso tecnico elevatissimo, ma più anarchici e meno funzionali a questa sincronia di movimenti, furono sacrificati anche con qualche suscitando perplessità iniziale, come nel caso di Ronaldinho. Ma nella mente di Guardiole c’era fin da subito un disegno chiaro e definito.

Pep Guardiola, oltre che un ottimo centrocampista bluagrana e della nazionale spagnola, è stato un calciatore dotato di un’insaziabile curiosità che l’ha sempre spinto ad osservare e cercare di apprendere tutto quanto potesse dai suoi allenatori.

Cresciuto nella Masia e promosso in prima squadra sotto gli ordini di Johann Cruijff nell’anno della conquista della prima Coppa dei Campioni, Guardiola ha sempre avuto l’imprinting del Calcio Totale olandese e della tendenza al possesso palla tipica delle squadre iberica, Barcellona in primis.

Nei suoi anni in blaugrana ha poi conosciuto il pragmatismo di Luis Van Gaal, per poi, dopo 11 anni, andare ad imparare i fondamenti della tattica italiana tra Brescia e Roma, imparando da un decano come Carletto Mazzone e da un vincente come Fabio Capello. Prima di chiudere la carriera gioca un paio d’anni in Qatar, all’Ah-Ahli di Doha, dove trova tutta una serie di leggende sul viale del tramonto come Batistuta, Hierro e Caniggia, per poi andare a fare un’esperienza in Messico, giocando un campionato di clausura con i Dorados di Sinaloa.

Diventato allenatore del Barcellona B, fu presto promosso in prima squadra nel maggio 2008. Alla sua prima stagione sulla panchina blaugrana, Guardiola stupì il mondo con il suo gioco che gli valse un incredibile sestuplete, conquistando in rapida successione Coppa del Re, Liga, Champions League, Supercoppa di Spagna, Supercoppa Europea e Mondiale per Club.

Che cosa è e come funziona il tiki taka

Il suo Barcellona era una sorta di sintesi perfetta di tutte le grandi innovazioni tattiche studiate da Pep. Il modulo era il 4-3-3 che veniva utilizzato come una sorta di dogma al Barcellona fin dalla Masia, ma in grado di trasformarsi radicalmente in fase offensiva.

Dalla sua esperienza messicana infatti Guardiola adotta la cosiddetta salida lavolpiana, ovvero fa in modo che in fase di impostazione del gioco il mediano centrale scenda a giocare in mezzo ai due centrali difensivi, che si allargano andando ad occupare le zone di campo lasciate libere dai due terzini.

Questi ultimi infatti in fase di ripartenza salgono a supportare l’azione, ma non sfruttando semplicemente le fasce laterali: molto spesso uno dei due infatti si accentra in mezzo al campo, andando a coprire la posizione di una delle mezzali che invece si allarga in fascia oppure va ad offrire supporto sulla trequarti.

A seconda dei movimenti dei compagni, gli attaccanti esterni o tagliano in mezzo all’area oppure arretrano anch’essi sulla trequarti, mentre totale libertà è concessa all’attaccante centrale, che è decisamente limitato definire centravanti.

Anche prima di sfruttare Leo Messi come falso nueve, infatti, Guardiola chiedeva ai suoi attaccanti di svariare lungo tutto il fronte d’attacco in maniera da poter ricevere palla liberi da marcature e poter così prolungare il possesso palla.

Con l’adozione del falso nueve questo concetto è portato ancor più all’estremo, con l’attaccante che partendo dalla linea difensiva avversaria retrocede fin sulla trequarti e anche oltre, cercando di attirare fuori posizione i difensori avversari creando quindi gli spazi per gli inserimenti dei compagni.

Non è più quindi il giocatore a cercare gli spazi, ma è la sua assenza che li crea, concetto esemplificato dalla frase di Guardiola “Il nostro centravanti è lo spazio”.

Alla base di questo sistema di gioco è necessaria una grande tecnica di base da parte dei giocatori, perché devono sempre essere in grado di controllare la palla con un tocco per poi servirla velocemente al compagno che ha cambiato posizione. La palla è sempre in movimento, anche con passaggi apparentemente inutili, perché così si invita l’avversario a tentare un pressing che apre degli spazi utili per attaccare, o quanto meno per avanzare di qualche metro il possesso.

Perdere palla significa esporsi alle ripartenze avversarie, per cui ogni giocatore non deve mai trovarsi in condizione di forzare una giocata, ma avere la possibilità di scaricare agevolmente la palla verso un compagno.

Il movimento della squadra è continuo e finalizzato a racchiudere ogni avversario all’interno di un ipotetico triangolo, per cui il giocatore in possesso di palla che lo fronteggia ha due soluzioni di passaggio ai lati.

Si sacrifica quindi la ricerca della profondità per essere sempre in superiorità numerica in una determinata zona di campo, avanzando quando possibile sfruttando gli spazi lasciati sguarniti dai tentativi di pressing avversario.

L’ascesa del tiki taka e il suo contrasto

Questi principi di gioco, rapidamente assimilati anche dalla nazionale spagnola vittoriosa ad Europei (2 volte) e Mondiali tra il 2008 e il 2012, hanno portato i commentatori a coniare il termine tiki taka, evocando il rumore dei tanti passaggi ravvicinati effettuati dai giocatori per mantenere il possesso palla.

Guardiola ha poi modificato l’impostazione delle squadre in cui ha allenato successivamente, ovvero il Bayern Monaco (sfruttando maggiormente le corsie esterne con due ali d’attacco come Ribery e Robben) e il Manchester City (con più ricerca della profondità e ampiezza dei passaggi, aumentando notevolmente il ritmo di gioco), mantenendosi più fedele ai principi del gioco di posizione piuttosto che all’estenuante possesso palla che ha portato alla nascita del termine tiki-taka.

La lezione di Guardiola è stata ben presto assimilata in tutta Europa, così come le contromosse studiate per limitarne l’efficacia. Negli anni dei grandi successi del Barcellona il contraltare perfetto a Guardiola era José Mourinho, che con il Chelsea prima ma soprattutto con l’Inter fronteggiò il Barcellona rinunciando del tutto a contendere il possesso palla, ma puntando su un’impeccabile organizzazione difensiva bassa e sulle ripartenze veloci.

Senza trovare sbocchi in area, alla lunga il tiki taka tende a far schiacciare le linee sulla trequarti avversaria, e una palla rinviata velocemente in avanti può diventare pericolosissima.

In anni più recenti invece l’applicazione del gegenpressing, visto soprattutto con Jurgen Klopp alla guida del Liverpool, si è rivelata vincente nella misura in cui i giocatori cadevano vittima del pressing preventivo degli avversari, non riuscendo quindi a tessere quella rete di passaggi in avanti e schiacciandosi nella propria metà campo.

Ad ogni modo, l’impatto avuto da Guardiola è stato davvero pari a quello avuto da Sacchi a fine anni ‘80: dopo di lui il mondo del calcio si è diviso tra cui ha cercato di fare gioco alla sua maniera e chi invece lo ha fatto al contrario, fissando una sorta di linea di confine.