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Ci sono pochi contenitori così ampi, così pregni di storie, come il calciomercato.

E ci sono poche dinamiche, del calcio, dello sport, ma anche della vita in generale, in grado di poter vantare una gamma così vasta di emozioni e sentimenti.

In ogni storia c’è una delusione e un trionfo, in ogni passaggio c’è l’emozione della prima volta e la tristezza incredibile di un addio. Ci abbiamo fatto il callo, soprattutto negli ultimi anni in cui il racconto è diventato show e lo show si è fatto accompagnare quotidianamente da piccoli indizi, da trattative scoperte, da parole dette e soprattutto non dette. Sono stato un terreno preparatorio che hanno eliminato ogni tipo di shock.

Ma non sempre è stato così. Anzi: c’è ancora chi ricorda i colpi all’improvviso, i famosi ‘blitz’ e i giorni del Condor Galliani. Da un momento all’altro, un colpo del direttore sportivo e nasceva una passione in grado di cambiare vite. Solo a pensarci, è fibrillazione pura. Solo a ricordare, è un attimo di meravigliosa ingenuità.

Ma dove nasce il calciomercato? Chi l’ha creato, e perché, e come ha fatto a farne un vero e proprio format e non solo televisivo? Bisognerebbe tornare alla metà del Novecento. O anche prima, ai tempi di Suter, il primo calciatore pagato per giocare. In Italia, certamente alla Carta di Viareggio, quando il calcio divenne un gioco sì, ma per professionisti del settore. In modo anche da regolamentare il passaggio di tanti calciatori già pagati (trovando molte scorciatoie regolamentari) per giocare nei gruppi più forti e pure più ricchi.

Il viaggio del calciomercato

Era il 1922 quando una nuova regola iniziò davvero a “sconvolgere” il calcio. L’ordinamento politico instauratosi in Italia a partire dal 1922 fino al 1943 iniziò infatti a mettere dei paletti a un movimento che stava ingrossandosi sempre di più, e quattro anni più tardi fu firmata la celebre Carta di Viareggio. In cosa consisteva? Nella suddivisione del panorama calcistico italiano tra dilettanti e professionisti. Gli stranieri entrarono in scena sin da subito (solo 2 a rosa) e sin da subito, nel ’28, vennero aboliti. Così come la regola degli scambi approvati solo in provincia. Eh, che tempi.

Tempi che rimasero in voga fino al 1950, quando la Carta di Viareggio dominava su tutti gli scambi. Nel dopoguerra, arrivò però la svolta: il presidente del Palermo, Raimondo Lanza di Trabia, in un hotel di Milano incontrò una serie di dirigenti del calcio italiano. Per la prima volta, tutti si incontrarono in un luogo per fare vere e proprie trattative, per venirsi incontro, per discutere faccia a faccia, per comprare e vendere, come commercianti al dettaglio.

Fu scelto l’hotel Gallia, il primo ad avere la funzione storica di essere la casa del mercato. Il motivo? era di fatto casa del Principe Raimondo, che s’era messo in testa di far grandissimo il Palermo, ai livelli della Juventus. Lì soggiornava nei suoi frequenti viaggi milanesi. Lì aveva già l’abitudine di incontrare i presidenti dei club – alle volte, stando ai racconti, addirittura in bagno, in vestaglia, persino nudo – e lì si unì al ferrarese Paolo Mazza e il trevigiano Viani, lo sceriffo, dando il via ufficialmente al calciomercato ben lontano da come lo conosciamo oggi.

Ecco, il passaggio dalla semplice compravendita allo show vero e proprio parte lentamente da quel momento lì: sempre più giornalisti erano soliti affacciarsi nei saloni del Gallia, sedere al tavolo delle trattative, influenzare le stesse. Sempre più interesse, dei presidenti, nel pubblicizzarle e pubblicizzarsi. Un esempio: il senatore Achille Lauro, acquistò nel 1952 l’attaccante atalantino Jeppson per il suo Napoli. Il clamore fu enorme, l’emozione e il calore della città senza precedenti: per la prima volta si superarono le 100mila lire spese per un calciatore. E’ stato un punto di non ritorno: da lì c’è stata una crescita impossibile da frenare. Neanche dai posti di blocco, o dai vari e leciti controlli.

Il giocatore al centro

Dalle 100mila lire di Jeppson ai 222 milioni di euro per Neymar Junior al Psg. Che fantastica storia. Non senza cambiamenti, non senza le modifiche che il tempo e la modernità hanno suggerito. Come sulla regola per gli stranieri: nel 1966 viene nuovamente introdotto lo stop all’acquisto dei giocatori non italiani. Fu una riforma necessaria, per tanti: la nazionale italiana non riusciva più a creare talenti, anche perché di spazio per i ragazzi del nostro paese iniziava ad esserci sempre meno. Giusto o ingiusto, fu una scelta che portò risultati concreti: nel 1968 arrivò il primo dei due Europei della storia azzurra, nel 1982 addirittura il terzo dei quattro Mondiali.

Bravi, bravissimi tutti. Ma di italiani forti non ce n’erano abbastanza per tutte le squadre, e allora, come impone la legge del mercato, i prezzi per i talenti tutti azzurri iniziarono a salire tantissimo. Beppe Savoldi, incredibile attaccante, fu pagato dal Napoli 2 miliardi di lire. Un’enormità, in pieno boom economico. In quegli anni arrivò anche la legge sulle comproprietà, il famoso sistema delle buste: durò fino al 2014 e su come rivoluzionò il mercato italiano si potrebbero scrivere collane di romanzi.

Altri due elementi da non sottovalutare, anzi: nel 1980 venne rintrodotta la possibilità di acquistare gli stranieri e fu oggettivamente la svolta. Di oggettivo, per intenderci, c’era il talento di Platini, Maradona, Falcao, Zico. Nel 1995, poi, un’altra rivoluzione discretamente importante: il belga Jean-Marc Bosman, giocatore del Liegi, si era ritrovato impossibilitato a firmare per il Dunkerque nonostante il suo contratto fosse scaduto nel 1900. Le parti non trovarono un accordo e Bosman dovette rivolgersi alla Corte Europea che, in base all’articolo 39 dei trattati di Roma, dichiarò il sistema restrittivo. Il 15 dicembre del ’95 fu approvata allora una nuova norma: alla scadenza del contratto, i giocatori potevano trasferirsi gratuitamente a un altro club dell’Unione Europea. Se il contratto, poi, avesse avuto una durata residua non superiore al semestre, il calciatore avrebbe potuto firmare un precontratto con la nuova società.

I calciatori, insomma, dopo una vita di “scambi”, anche mai approvati dagli stessi, si ritrovarono al centro della scena. Fu centrale anche il ruolo dei procuratori, che sin dagli anni Ottanta iniziarono a giocare un ruolo cruciale per le trattative. Centrale anche la riforma del 2001: fu l’anno in cui venne sdoganata la rescissione contrattuale unilaterale da parte del giocatore, a patto che alla base ci fossero le giuste motivazioni. La famosa sentenza di “mobbing” per intenderci. Che, tanto per dirne una, regalò un Pandev in condizioni strepitose alla fortissima Inter di Mourinho. Risultato: triplete. Come cambia il mercato, come cambia anche le storie di una vita.