Vai al contenuto

La voce che ha accompagnato la vittoria del Mondiale di Spagna nelle case di tutti gli italiani, quella sera dell’11 luglio 1982, rimasta impressa nella mente di un popolo intero, apparteneva a Nando Martellini, popolarissimo cronista che ha fatto la storia del giornalismo sportivo in Italia.

Voce degli azzurri per diciotto anni, quattro mondiali (ma ospite illustre anche durante Italia ’90), in carriera ha commentato il calcio ma anche Olimpiadi, Giri d’Italia e Tour de France.

Telespettatori italiani, buonasera. È con grande emozione che prendiamo la linea dai bordi del campo dello stadio Bernabeu di Madrid per la finale del campionato del Mondo 1982. L’Italia, dopo un inizio incerto, ha conquistato lo slancio per disputare questa finale. Nostri avversari sono i tedeschi dell’Ovest.

[90 minuti più tardi…]

Campioni del mondo, campioni del mondo, campioni del mondo! L’Italia ha vinto la finale battendo la Germania per 3-1.

Nando Martellini

Il giornalista colto e poliglotta innamorato dello sport

Giornalista colto e garbato, laureato in Scienze Politiche e capace di parlare cinque lingue, Fernando Martellini era nato a Roma il 7 agosto 1921, figlio dell’autista del principe Barberini. Grazie ad una vacanza premio giovanile a Berlino nel 1936, per meriti scolastici, poté assistere alle Olimpiadi ed essere testimone dei trionfi di Jesse Owens. Fu allora che germogliò quell’amore per lo sport che crebbe anche durante i successivi studi a Perugia, facendolo diventare tifoso della squadra umbra.

Il pensiero di fare il giornalista in realtà non lo sfiorava da giovane: la sua prima intenzione era quella di fare il diplomatico, poi abbandonata per proporsi come annunciatore all’EIAR, che di lì a poco sarebbe diventata RAI. Negli uffici dell’emittente gli fu proposto di fare il giornalista: l’incarico che gli diede visibilità fu l’intervista ai prigionieri italiani sul Canale di Suez, nel Natale del 1956.

Martellini riusciva a raccontare i fatti in maniera chiara e diretta, riuscendo ad approfondire la realtà senza mai far prevalere il suo punto di vista sull’oggettività della narrazione. Dividendosi tra politica estera e cronaca sportiva, divenne in breve tempo una delle voci e dei volti più apprezzati della televisione, passando da telecronache sportive (la prima un’Inghilterra-URSS del ‘58) ad eventi di cronaca come i funerali di Luigi Einaudi e di Giovanni XXIII.

Quando il capo dei servizi giornalistici RAI Vittorio Veltroni gli disse di scegliere tra lo sport e la cronaca, dal momento che il pubblico si sarebbe confuso a vederlo passare in continuazione da un ambito all’altro, Martellini scelse di dedicarsi allo sport.

Una voce esaustiva e discreta per un nuovo modo di seguire lo sport

I primi cronisti televisivi italiani provenivano tutti dalla radio: Carlo Bacarelli, Vittorio Veltroni e soprattutto Nicolò Carosio, che aveva diffuso sull’etere i trionfi della nazionale di Pozzo prima della Guerra.

Nando Martellini, anche lui formatosi in radio, fu uno dei primi a rendersi conto della differenza che la cronaca televisiva doveva avere rispetto a quella radiofonica: il suo modo di raccontare ciò che avveniva in campo, misurato ed essenziale, dipendeva anche dalla necessità di distinguersi dai colleghi della radio, i quali dovevano descrivere gli avvenimenti. Martellini invece si rendeva conto che la sua voce doveva accompagnare, e non sovrastare, le immagini attraverso le quali lo spettatore poteva osservare per conto suo le azioni e gli avvenimenti salienti.

Per questo, per una sorta di rispetto dello spettatore e per un’aderenza al suo ruolo di semplice cronista degli eventi, la sua telecronaca era esaustiva ma allo stesso tempo concisa ed asciutta, con quei nomi scanditi chiaramente e con pause cadenzate, dando valore al silenzio che sottolineava l’importanza di quello che si vedeva.

Per quanto fosse anche conduttore di spazi di commenti e dibattiti come Sport Tre, la rubrica domenicale curata da Aldo Biscardi tra il 1981 e il 1983, durante gli eventi Martellini si metteva completamente al servizio delle immagini, offrendo esclusivamente un compendio necessario allo spettatore per fruirne al meglio, senza mai lasciare che le sue parole sorpassassero in importanza quello che appariva su schermo.

Sempre preparato al meglio, si recava agli allenamenti delle squadre dotato di figurine per riconoscere la fisionomia dei vari giocatori, e in caso di dubbi chiedeva sempre lumi sulla pronuncia dei nomi ai colleghi stranieri.

Al giorno d’oggi le cronache sportive hanno preso una strada completamente differente, unendo in maniera indistinta il racconto degli eventi al commento sugli stessi, con un gioco di rimpallo tra cronista e commentatore, quella cronaca a doppia voce che Martellini non ha mai approvato nella sua carriera. Anche le sue concessioni all’umorismo erano improntate alla massima professionalità, come quello storico commento ad un avvicendamento tra Giuseppe Pavone e Claudio Merlo durante una partita dell’Inter: “La situazione ornitologica dell’Inter non cambia”, che proprio per la sua laconicità è rimasto impresso nella mente dei tifosi per decenni.

Quel Campioni del Mondo ripetuto tre volte che unì un paese intero

La voce di Nando Martellini fu quella che raccontò la vittoria italiana all’Europeo del 1968, realizzando la telecronaca della semifinale pareggiata contro l’URSS e superata solo grazie al lancio della monetina. La cronaca della finale fu affidata al veterano Nicolò Carosio, primo grande radiocronista italiano la cui inconfondibile voce baritonale aveva accompagnato i successi dell’Italia nel 1934 e nel 1938. Ma dopo che il match si concluse in pareggio, fu la voce di Martellini ad accompagnare la ripetizione della finale, giocata due giorni più tardi e che vide gli azzurri laurearsi per la prima, e finora unica, volta campioni d’Europa.

Nel successivo Mondiale del 1970 in Messico il cronista assegnato all’Italia era sempre Carosio, ma in seguito ad una controversia nata riguardo ad alcuni commenti del veterano riguardanti un guardalinee etiope nel corso del match tra Italia e Israele, lo storico commentatore su esautorato. Il suo ruolo fu quindi assegnato in extremis a Martellini.

Così Martellini si ritrovò all’improvviso a commentare la cosiddetta partita del secolo, ovvero la semifinale tra Italia e Germania giocata allo stadio Azteca e conclusasi con la vittoria azzurra per 4-3. Martellini commentò anche la finale persa contro il Brasile, e divenne così la voce ufficiale dell’Italia dopo che Carosio andò in pensione nel 1971.

Martellini accompagnò quindi la Nazionale in tutte le competizioni successive, compreso il trionfale Mondiale di Spagna 1982, con il suo “Campioni del Mondo” ripetuto tre volte di seguito nella sera dell’11 luglio, tre volte come i titoli conquistati fino a quel momento dagli azzurri. Quella che oggi ci sembra una modalità fin troppo contenuta di festeggiare fu in realtà una delle massime concessioni all’emozione a cui Martellini si abbandonò in tutta la carriera.

[…] Soltanto che, alla fine di quella partita, le emozioni immaginate alla macchina da scrivere erano così diverse da quelle poi provate sul campo che buttai via tutto e cominciai a parlare […] nell’emozione di quel giorno, tutto quello che avevo detto era indubbiamente dettato, così, dall’entusiasmo, da un fervore, da una specie di raptus. E venne fuori così quel triplice “Campioni del mondo”, che è rimasto forse la cosa più bella di tutta la mia carriera

Nando Martellini

Cronista mai protagonista, anche nella festa

Ma una volta raccontato il trionfo a tutto il Paese, mentre gli azzurri celebravano e festeggiavano insieme a tutta la delegazione e si apprestavano a tornare in aereo con il Presidente della Repubblica Pertini, Nando Martellini si dileguò in fretta, in direzione dell’aeroporto di Madrid, al fine di tornare a Roma il più presto possibile. Il motivo? Fare una sorpresa alla moglie Gianna, che alle 3 di notte del 12 luglio lo vide entrare inaspettatamente in casa, all’alba del loro anniversario di matrimonio.

Nel 1986 avrebbe dovuto commentare il suo quinto Mondiale, ma una volta arrivato in Messico accusò un malore, dovuto all’altitudine, che lo costrinse a cedere il posto a quello che sarebbe stato il suo successore, Bruno Pizzul. Al ritorno in Italia andò in pensione, e continuò a lavorare saltuariamente come telecronista in Fininvest e opinionista in vari network radiofonici.

Scompare il 5 maggio 2004, lasciando tre figli di cui una, Simonetta, ne ha seguito le orme come commentatrice della pallavolo in radio.

Alla sua memoria viene intitolato lo stadio delle Terme di Caracalla, a Roma, e il premio assegnato al miglior esponente del giornalismo sportivo nell’ambito dei Premio Prisco, di cui è stato membro della giuria fino alla morte.