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Almeno una volta, nella vita, c’è chi ha provato invidia per Francesco Checco Moriero.

Non per il suo talento, non per il fatto che abbia vestito maglie del calibro di Roma, Milan e Inter. Nemmeno per il suo trascorso in Nazionale, che pure la metà basterebbe. No.

La grande invidia l’ha suscitata nell’ultimo periodo, quand’è diventato il commissario tecnico… delle Maldive.

Beh, lasciare casa, famiglia e affetti non è mai semplice, ma ci sono destinazioni e destinazioni. Andare a insegnare calcio con le infradito non dev’essere esattamente una condanna.

Dopo aver vissuto sulle panchine di Crotone, Frosinone, Grosseto, Lugano, Lecce – la sua Lecce -, Catanzaro, Catania, Sambenedettese e Tirana, ecco la grande occasione. Pure per abbronzarsi. O forse soprattutto per abbronzarsi.

C’è poco da dire, o meglio: c’è da tanto da dire. Perché su Moriero, su ciò che è stato e ciò che avrebbe potuto essere, se si è detto tantissimo.

Del resto, Francesco è stato il protagonista di tante storie, più o meno verosimili, alcune molto complicate da capire, comprendere e realizzare.

Una su tutte: ma ricordate quando è stato regalato dal Milan all’Inter per rispondere allo sgarbo su Cruz? E la cifra “simbolica”?

Il Cavaliere e il regalo ai cugini

Prima di capire la portata del gesto, va capito il personaggio protagonista. Ossia: chi era Francesco Moriero? E perché era stato scartato così, quasi a priori, da un Milan che invece aveva bisogno di quel tipo di calciatore?

Intanto, ecco, Moriero è stato un centrocampista dalla qualità spaventosa: è cresciuto a Lecce – lui, salentino di Copertino, dunque doc – e vi è rimasto per sette anni.

Poi il passaggio al Cagliari, quello di Mazzone, dove la crescita è stata impressionante e repentina. Soprattutto, il legame stretto con Carletto gli ha permesso di fare il passaggio successivo: Mazzone lo vuole con sé nell’occasione della vita, lui che al giallorosso era sì abituato, ma ad altre altezze e con ben altre pressioni.

Nel 1994, il passaggio alla Roma fa notizia: 8,5 miliardi di vecchie lire sganciati per tenerlo 3 anni. 11 reti in 88 presenze: da dribblomane tuttofare passa a centrocampista diligente e fondamentale in fase difensiva.

A maggio del 1997, le sue prestazioni attirano l’attenzione del Milan. Poi quelle dell’Inter. È un derby di mercato all’ultimo rilancio, entusiasma tanto la stampa che la copre, molto meno i tifosi.

Ogni giorno una notizia diversa, quando alla fine Francesco aveva già ragione: sarebbe andato volentieri al Milan, con Berlusconi raggiante per l’accordo strappato in poco tempo e tanta ambizione. Il passaggio era praticamente cosa fatta a fine mese, poi il colpo Cruz.

Come? Il colpo Cruz? Sì, il Presidente aveva messo come priorità quella di un difensore centrale dai piedi buoni e il “partenopeo” Cruz era stato nuovamente sfilato ai cugini nerazzurri che avevano già un pre-contratto per la gioia del nuovo mister Gigi Simoni arrivato proprio da Napoli.

L’Inter si vede quindi beffata, in malo modo, e si sfiora l’incidente diplomatico tra le due società, sempre molto cordiali nei rapporti e nel non pestarsi troppo i piedi nel mercato trasferimenti.

Bene, qui il gesto di Berlusconi – che ripeterà un’azione simile anche nel 2004, con il passaggio di Abbiati alla Juventus dopo un grave infortunio di Buffon -: Moriero sarebbe diventato subito nerazzurro, e dei soldi non contava più nulla. Una sorta di indennizzo per l’affare Cruz.

In poco tempo, Inter e Milan organizzarono quello che di fatto fu uno scambio simbolico: il Milan offrì all’Inter il cartellino di Moriero per appena un milione di lire, di fatto 500 euro per un giocatore che ai tempi valeva circa 10 milioni di euro. E quindi circa 20 miliardi di lire.

Alla fine, come spesso capita, il grande gesto portò a una grande beffa: Cruz fu un flop clamoroso in confronto alle grandi aspettative di tutto il mondo Milan, Moriero fu la grande sorpresa in una squadra che poteva contare su delle individualità pazzesche.

Ronaldo il fenomeno su tutti e sopra ogni altro.

La grande stagione di Moriero

Un milione di lire, la maglia numero 17 e l’esordio dal 31 agosto del 1997: al Meazza, col Brescia, si fa già leggenda. Al suo debutto è infatti legato il gesto dello “sciuscià“, con cui omaggiava i compagni che avevano fatto gol, pulendogli le scarpe, in segno di umiltà ma indicando simbolicamente anche quanto contava quel gesto: era lì, al loro servizio, al servizio di mostri sacri del calcio che ambivano a vincere uno scudetto complicatissimo (che quell’Inter, quella di Simoni, sfiorò in maniera epica e non senza polemiche).

Comunque, la sua prima stagione fu di livello assoluto: non solo per le 28 presenze e le 3 reti segnate in nerazzurro, non solo per la Coppa Uefa alzata a fine anno – chi dimentica il gol in rovesciata agli svizzeri del Neuchatel Xamax? -, ma per la grande occasione con la Nazionale di Cesare Maldini, una delle più forti di tutti i tempi.

Tutte nel periodo interista, le otto partite disputate in azzurro: Maldini lo convoca già a gennaio, per un’amichevole con la Slovacchia (2 assist, tanto per gradire), poi arrivano anche i gol. Due, contro il Paraguay, in amichevole: ancora una rovesciata, infine un tocco di classe dalla distanza.

È anche l’anno del mondiale 98, della staffetta con Di Livio sulla fascia destra, delle quattro partite su cinque disputate in quella Coppa dalle grandi aspettative e poi dalla grande tristezza.

Il quarto di finale contro la Francia, padrona di casa, segna anche la chiusura del suo cerchio azzurro, poi chiuso da Dino Zoff. Ma cosa sarebbe successo se non fosse arrivato Cruz, se Berlusconi non avesse dato l’okay al gesto di galanteria, se l’Inter fosse stata solo la squadra da battere al Derby?

Bella domanda. Chissà se, da CT delle Maldive, Checco Moriero un po’ ci ha mai pensato. Ovviamente in infradito.