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Decisamente differente era stato l’approccio alla Champions League 2002/2003 da parte di Inter e Milan.

Le due milanesi, partite entrambe dal terzo turno preliminare della Champions League, erano riuscite ad avere la meglio, rispettivamente, di Sporting Lisbona (con un imberbe Cristiano Ronaldo al suo esordio assoluto) e Slovan Liberec (coi rossoneri al turno successivo grazie alla rete segnata fuori casa nella sfida però persa 2-1).

La Champions del 2003

Nel corso della prima fase a gironi, il Milan e l’Inter, due corazzate del calcio mondiale, come d’altronde la Juventus – in un periodo così straordinario per il nostro calcio che a ricordarlo quasi non ci si crede –, hanno la meglio su Deportivo, Lens e Bayern Monaco, coi bavaresi clamorosamente fuori dal girone all’ultimo posto del gruppo G, e (l’Inter) su Ajax, Lione e Rosenborg.

Delle italiane passano anche la Juventus (prima nel suo girone) e la Roma, che si affianca al Real Madrid concludendo seconda nel proprio girone. Tra le eliminazioni di lusso, a parte quella del Bayern, da menzionare anche quella del Liverpool che nel gruppo B riesce ad uscire con Valencia, Basilea e Spartak Mosca.

Delle 16 squadre appartenenti ai 4 gironi finali della Champions, quattro sono italiane. L’Inter passa il girone, non senza fatica, come seconda rispetto alla corazzata Barcellona (5 vittorie e 1 solo pareggio), mentre il Milan passa addirittura come primo (Real secondo nel suo girone).

La Roma esce nel girone col Valencia, l’Ajax e l’Arsenal (passano gli spagnoli e gli olandesi), mentre la Juventus passa nel girone con lo United, il Deportivo e il Basilea.

Come si arriva al derby di semifinale

Quarti di finale: Ajax-Milan, riporta alla mente le grandi partite del decennio precedente, ma non siamo più di fronte all’Ajax di Van Gaal. I lancieri sono una comunque una squadra giovane piena di campioni in erba, Chivu, Maxwell, Van Der Vaart, Snejider e Ibrahimovic solo per citarne alcuni.

Il Milan parte però con i favori del pronostico: il pareggio dell’andata a reti inviolate non aiuta la squadra di Ancelotti, costretta a vincere al ritorno. I rossoneri si portano in vantaggio due volte con le reti di Inzaghi e Sheva intervallate dalla zampata del vecchio Litmanen. Ma a 12 minuti dal termine il sudafricano Pienaar gela San Siro con la rete del pareggio che significa qualificazione per gli olandesi.

La reazione milanista è furiosa, disordinata e assume i contorni della disperazione ad ogni secondo che passa. All’ultimo pallone disponibile Brocchi sparacchia il tipico lancio dell’Ave Maria ai limiti dell’area olandese. Qui Ambrosini salta tenendo fede al 23 stampato sulla maglia come fosse un un novello Jordan, e prolunga per Inzaghi: Lobont è piazzato malissimo come il resto della sua difesa, e la palombella di Inzaghi lo supera. Con la palla ancora per aria, lenta e inesorabile, Superpippo inizia la sua tipica scomposta esultanza, ancora prima di accorgersi che sarà Tomasson a spingere in rete definitivamente il pallone. 3-2 rossonero per uno dei più sismici boati che San Siro ricordi.

Anche l’Inter ha il suo quarto di finale epico. Dopo aver vinto la gara di andata contro il Valencia per 1-0 il ritorno al Mestalla è una via Crucis piena di sofferenza. Cuper conosce bene quell’ambiente e dopo 5 minuti sembra andare tutto per il meglio con il solito golletto di Bobo Vieri ad indirizzare la sfida verso Milano.

Ma il Valencia è squadra di campioni e d’orgoglio, pareggia subito con il «pajaso» Aimar e mette pressione ai nerazzurri con la rete di Baraja appena iniziato il secondo tempo. Ora sono 40 i minuti da giocare e alla squadra di Benitèz basta una rete per eliminare i nerazzurri.

Il Valencia attacca furioso, sospinto dal Mestalla, Toldo compie una serie di miracoli, e in qualche maniera l’Inter esce con le braccia alzate dal terreno di gioco. Esattamente come 12 mesi prima in Coppa Uefa, in una partita rimasta nella memoria per un inedito Farinòs in veste di portiere, l’Inter strappa la qualificazione per le semifinali sul difficile campo del Valencia

L’altra italiana rimasta, la Juventus ha la meglio sul Barcellona grazie alla zampata del «Pantèron» Zalayeta ai supplementari, dimostrandosi una delle favorite per la vittoria finale: i bianconeri, infatti, in semifinale, affronteranno il Real Madrid (che ai quarti aveva battuto lo United in un doppio confronto indimenticabile) per poi qualificarsi alla finalissima.

Contro chi? Una delle vincenti dell’altra clamorosa semifinale: Inter vs Milan.

La paura paralizzante nella gara d’andata

L’andata è fissata per il 7 Maggio 2003 in casa del Milan, particolare non da poco e che si rivelerà decisivo a conti fatti.

Quando le squadre scendono in campo si capisce già che potremmo aspettarci tutto fuorché lo spettacolo da quella gara. Le facce dei giocatori sono pallide, la tensione è così densa nell’atmosfera dello stadio da poterla afferrare a manciate.

Sono 90 minuti di paura, con squadre bloccate e intimorite dalla posta in palio. Cuper – che già di suo non è che sia un cuor di leone se si tratta di attaccare – decide che la priorità assoluta è non perdere. Sottovaluta l’importanza di segnare in casa del Milan.

Ancelotti invece capisce che la cosa fondamentale è tenere la porta inviolata e prepara un Milan più abbottonato sfruttando l’indisponibilità di Pirlo e tenendo fuori lo spauracchio Serginho per avere la diga di centrocampo formata da Brocchi e Gattuso.

Tiri in porta pochi, praticamente nessuno. Raramente si è assistito prima e dopo ad un derby della Madonnina così bloccato dalla tensione. lo 0-0 rimanda ogni verdetto a sette giorni dopo quando sarà l’Inter ad ospitare i cugini sul prato di San Siro.

Tutto in una notte: il più importante derby di sempre

Il giorno è di quelli da segnare col circoletto rosso sul calendario: 13 Maggio 2003, quasi 80.000 spettatori presenti e chissà quanti incollati alla TV con gli occhi o alla radio con le orecchie per seguire la partita dell’anno, quella che il mondo ci invidia.

È il Derby di Milano, ma non è mai stato così importante.

Mister Carlo Ancelotti (al suo primo anno completo in rossonero) schiera in campo un undici solido difensivamente e imprevedibile offensivamente. Tra i pali Abbiati. Difesa a quattro composta da Maldini e Kaladze sugli esterni con Nesta e Costacurta a schermare l’estremo difensore rossonero. A centrocampo Gattuso col compito di interdire, Pirlo con quello di impostare e Seedorf con entrambe le mansioni, praticamente. Trequartista Rui Costa, due punte: Inzaghi e Shevchenko.

Risponde Héctor Cuper con Toldo tra i pali. Difesa a quattro composta da Cordoba, Cannavaro, Materazzi e Zanetti, il capitano. Centrocampo: Emre, Cristiano Zanetti, Conceiçao e soldatino Di Biagio. In attacco, Hernan Crespo e Alvaro Recoba.

formazione inter semifinale champions 2003
La formazione scelta da Cuper per la semifinale di ritorno: spicca l’assenza di Bobo Vieri per infortunio

formazione milan semifinale champions 2003
La squadra messa in campo da Ancelotti: bravo l’allenatore rossonero a puntare sulla qualità del centrocampo

Comanda il Milan

Subito Sheva ad impegnare la retroguardia nerazzurra, ma il suo destro finisce a lato. Lo stesso accade con Pirlo all’ottavo minuto. Il suo destro da calcio piazzato finisce alto sopra la traversa difesa da Toldo, leggermente dormiglione in quella circostanza (proprio per questo Pirlo, vedendolo distratto, aveva provato a punirlo). L’idea di Ancelotti è chiara: ripartenza e attacco feroce. Alla prima occasione, spaventare i nerazzurri.

Nel frattempo cresce il nervosismo e nel giro di due minuti prima Di Biagio e poi Rui Costa ricevono un’ammonizione. Al 30’, l’occasione capita ancora al Milan, che col tridente d’attacco Rui Costa-Sheva-Inzaghi crea i presupposti per una rete, ma Toldo è attento in uscita su SuperPippo. Un minuto dopo è Shevchenko a bucare la retroguardia difensiva nerazzurra, in evidente difficoltà (il lancio di Kaladze veniva infatti da una sessantina di metri). La sfida è nervosissima, mentre il quarto uomo comanda due minuti di recupero.

Quanto basta per un’ultima ma decisiva emozione.

Seedorf si fa beffe, a centrocampo, di due marcatori nerazzurri, spostandosi verso la destra del campo per poi imbucare tra centrocampo e difesa (schierata, ma troppo piatta) un pallone che giunge così sui piedi del cucciolo ucraino. Sheva cerca il dribbling e, con quella caparbietà tipica delle leggende del pallone, vince il contrasto superando Cordoba – non proprio l’ultimo arrivato – prima di bucare Toldo con un destro che finisce quasi sotto la traversa a due passi dalla porta difesa dall’estremo difensore nerazzurro.

Il Milan è in vantaggio, e ora all’Inter ne servono due. Infranta la parità. Ci sono voluti in tutto 3 tempi.

Nella ripresa, fuori Recoba (deludente) e Di Biagio (esclusivamente falloso) per Martins e Dalmat. Ecco le mosse di Cuper. L’Inter, grazie soprattutto alla freschezza del funambolico nigeriano, impensierisce ma senza mai spaventare realmente la difesa rossonera, attenta e fortissima. D’altra parte, le idee cuperiane non sono certo rivoluzionarie, almeno quella sera.

Scorrono i minuti, inesorabili. Così, Ancelotti si rende conto che il trionfo è vicino: manda in campo Serginho al posto di Inzaghi, anche ammonito. Il pubblico rossonero canta come se la vittoria fosse ormai cosa fatta. Il Milan controlla, l’Inter non sembra avere le forze di pungere.

Ma all’83’ quasi dal nulla i nerazzurri rientrano in partita.

Finale col cuore in gola

Costacurta alza uno strano campanile dalla sua trequarti verso il limite dell’aera milanista: Maldini e Martins si sbracciano, la palla ha una strana traiettoria e nessuno dei due riesce a leggerla, tanto che la sfera ricade schiena del nigeriano verso la porta rossonera. Martins a quell’epoca fa da 0 a 100 nello stesso tempo di una Lamborghini, quindi non stupisca il fatto che possa bruciare sullo scatto Maldini e aprire il piattone sinistro davanti ad Abbiati per folgorarlo sul primo palo.

Mancano 7 minuti al termine. San Siro trema. Di speranza la parte nerazzurra. Di paura quella rossonera.

Il Milan che aveva controllato agevolmente l’Inter per 83 minuti si scopre con la paura nelle gambe. L’Inter, totalmente di legno a causa della tensione per tutto il doppio confronto, crea più ansie in quei 7 giri d’orologio che nei precedenti 173, contando anche la gara d’andata.

Sorretta dal pubblico e dalla forza della disperazione la squadra di Cuper butta avanti tutto quello che ha in corpo per raggiungere il gol della qualificazione. Mischie disumane si consumano davanti ad Abbiati, che difende la sua porta in maniera eroica.

Appena 3 minuti dopo il gol di Martins il tempo sembra sospendersi su tutto San Siro: una palla in zona Kaldze viene mal controllata dal georgiano sulla pressione di un indemoniato Kallon. Il giovane della Sierra Leone ha così modo di battere a rete praticamente a tu per tu con Abbiati.

Chiude gli occhi Kallon che tira. Chiude gli occhi Abbiati che para. Chiudono tutti gli occhi i presenti allo stadio, e quelli davanti alla tv. La palla tocca la parte esterna del ginocchio sulla gamba di richiamo del portierone rossonero e scivola in corner.

Dallo schema d’angolo un cross sul secondo palo vede lanciarsi in area Cordoba che salta più alto di tutti e schiaccia sul sul primo palo: la parata di Abbiati sembra facile, ma in quel contesto la palla scagliata dal difensore colombiano pesava tonnellate.

Si susseguono le mischie, e passano anche i due minuti di recupero.

Quando Vessière fischia la fine i giocatori del Milan corrono per il campo come in preda ad una pazzia collettiva. Tutti sotto la Curva Sud per farsi spingere più forte verso la finale di Manchester. La sera dopo la Juve, nella sua semifinale, farà la partita perfetta contro il Real raggiungendo i rossoneri per la prima e unica finale tutta italiana della storia della Champions

Dalla parte nerazzurra ci sono lacrime. Le facce di Cordoba e Zanetti non sono mortificate come 12 mesi prima nell’infausta giornata nerazzurra del 5 Maggio. il loro viso è solcato da un pianto disperato, di chi immagina bastassero 5 minuti di più per prendersi la gioia più grande.

Finisce quindi 1-1. In finale, sappiamo tutti chi trionferà. Qui inizia il ciclo vincente di Carlo Ancelotti sulla panchina dei rossoneri.