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La sconcertante sconfitta patita a Roma da Alejandro Tabilo apre nuovi scenari, nel futuro di Novak Djokovic. E nessuno di questi è compatibile con le abitudini del campionissimo serbo negli ultimi – diciamo 15 anni.

Si tratta davvero dell’inizio del tramonto, per re Nole? Vediamo innanzitutto il suo rapporto con le sconfitte negli ultimi anni, perché esistono dei pattern che forse ci aiutano a capire meglio.

Novak Djokovic visto tramite le (poche) sconfitte

Prendiamo in considerazione solo gli anni in cui l’era dei Big 3 si poteva dire terminata, con il ritiro di Federer e i tanti problemi fisici di Nadal. Anni in cui emergono giovani potenziali fenomeni, ma Novak Djokovic era riuscito bene o male a continuare a vestire il ruolo del dominatore del tennis mondiale.

Nel 2022, Djokovic aveva perso in totale 7 partite su 49, di cui 2 da Rune, una ininfluente da Auger Aliassime alla Laver Cup e le solite schermaglie di inizio stagione (Vesely in Dubai, Davidovich-Fokina a Montecarlo, Rublev in finale a Belgrado, Alcaraz in semi a Madrid).

La sequenza dei match persi nel 2023 (7, ma su 63 partite) era stata praticamente identica a quella dell’anno precedente. Prima sconfitta a febbraio in Dubai da Medvedev, quindi il solito approccio lento alla terra (ko da Musetti a Montecarlo, da Lajovic a Banja Luka, da Rune ai quarti di Roma) e quella spettacolare in finale Wimbledon contro Alcaraz. Per il resto, erano arrivati tre Slam su 4 e una sensazione di perdurante intangibilità. In autunno era arrivata la prima sconfitta patita contro Jannik Sinner alle ATP Finals, poi però vendicata in finale dello stesso torneo. Tutto sembrava insomma sotto controllo, fino alla Coppa Davis.

La Coppa Davis e il KO con Sinner che cambia tutto

Il match perso in Coppa Davis contro Jannik Sinner, in cui non è riuscito a sfruttare tre match point sullo 0-40 e l’italiano al servizio, ha probabilmente aperto un tarlo nella testa del leggendario serbo.

Fino a quel momento, era come se il suo fosse un dominio mentale totale sugli avversari, in cui era quasi lui a decidere quando concedere le briciole agli altri. Quella improvvisa mancanza di controllo sugli eventi ha aperto uno squarcio, che ha lavorato su un fisico sempre straordinario ma inevitabilmente logorato da una carriera che nessuno poteva immaginare così lunga, oltre che radiosa.

2024, il tarlo si allarga

Il 2024 lo ha visto giocare finora appena 17 partite, quante nel 2022 in cui però non aveva potuto disputare l’Australian Open. Dopo quella in United Cup contro de Minaur è arrivata la nuova batosta da Sinner in semifinale Australian Open, quindi quella incredibile contro Luca Nardi a Indian Wells (tra le peggiori di sempre per Nole come classifica dell’avversario che lo ha battuto, n.123 al mondo). La serie di sconfitte si è allungata con la semifinale di Montecarlo, persa 6-4 al terzo da Casper Ruud, una di quelle partite che un Nole “normale” non avrebbe perso mai nella vita.

Eppure, il fondo toccato contro Alejandro Tabilo ha i crismi della novità assoluta, e di un allarme totale.

Tabilo, la Waterloo di Re Nole?

Quella contro il cileno non è stata la peggiore sconfitta di sempre di Djokovic, in fin dei conti Tabilo è pur sempre numero 32 al mondo e su terra battuta può dire la sua. Però è stata di sicuro una delle sconfitte più sconcertanti nella lunga carriera di Nole.

Vedere quello che probabilmente passerà alla storia come il miglior risponditore di sempre non solo non riuscire ad arrivare mai a palla break, ma non riuscire ad arrivare mai nemmeno a 40 sul servizio dell’avversario, è qualcosa di assolutamente inedito.

Un Djokovic che vince il 24% dei punti in risposta, che si fa surclassare dall’avversario come vincenti (14 a 22) e che commette il triplo degli errori gratuiti rispetto a Tabilo (12 contro 4) è qualcosa che non credevamo mai di vedere. Forse ci si poteva aspettare di vederlo in un giocatore sceso in top 30, non un supercampione che è entrato nella 424esima settimana in carriera da numero uno.

Ma, appunto, cosa succederà adesso?

L’addio a Goran Ivanisevic prima e a Marco Panichi poi, sono probabilmente segnale di una esigenza di cambiare per cercare qualcuno che tocchi nuovi tasti, che alimenti in lui nuovi stimoli per andare avanti. I risultati sembrano però poco meno che disastrosi, soprattutto da un punto di vista fisico, quello straordinario equilibrio tra corpo, mente e racchetta che è sempre stato il suo punto di forza. In tal senso, l’addio a Panichi sembra ancora più grave rispetto a quello a Ivanisevic, che pure aveva aiutato moltissimo Nole a rendere il servizio un’arma micidiale.

Oggi tante nuove ombre si stagliano sull’orizzonte di Novak Djokovic. Le condizioni palesate a Roma non sono assolutamente adeguate a difendere il titolo del Roland Garros, dunque la perdita del primato sembra davvero questione di settimane. L’unica buona notizia per lui, se così si può dire, sono i problemi fisici di Sinner e Alcaraz, a cui forse si può aggiungere anche Medvedev che ha cominciato ad avvertire qualche scricchiolo.

Nonostante ciò, sembra inevitabile che Novak Djokovic e il suo team – qualunque esso sia da qui in avanti – dovranno pensare a delle scelte anche dolorose, per preservare la competitività del campione e dargli obiettivi reali. Per qualunque tennista di vertice al mondo, gli stimoli giusti si chiamano SLAM, e così è stato praticamente sempre anche per il Nole degli ultimi anni. Ma se ne hai vinti una cifra (24) che nessun essere umano può anche solo pensare di avvicinare, parlare di stimoli diventa difficile. C’è sicuramente la medaglia d’oro olimpica come unico alloro che ancora gli manca in carriera. Ma davvero un cannibale come Nole si accontenterà solo di puntare a quello?