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Di imprese clamorose è piena zeppa la storia dello sport internazionale. Non vi sono distinzioni, non se ne possono fare, ognuna ha quella peculiarità di essere unica a modo suo. Che arrivi da uno sport di squadra o che sia un unico campione a renderla immortale, l’impresa sportiva ha sempre un sapore magico. 

Nel tennis, soprattutto in quello maschile, exploit clamorosi terminati con le braccia al cielo del protagonista che cinge un trofeo importante, non se ne contano innumerevoli. I mostri sacri di ogni epoca sono stati ben attenti a salvaguardare il proprio orticello dall’arrivo di sconosciuti guastafeste.

Non succede spesso, ma… 

Ciò è dovuto soprattutto al fatto che quando un campione di tennis diventa una sorta di leggenda vivente ancora in attività, è veramente troppo forte in un ambiente competitivo come il tennis maschile, per farsi sfuggire le occasioni importanti. 

Il tennis è sport nobile in cui la testa ha una parte decisiva e quella stessa testa fa spesso la differenza quando si tratta di affrontare i momenti più importanti del match. 

In un periodo come quello che stiamo vivendo, la differenza tra i campioni e coloro che cercano di diventarlo è ancora più marcata, visto che esiste un nugolo di Dei inarrivabili che si giocano da anni i posti migliori, le finali e la testa della classifica ATP

È per questo motivo che la così tanto declamata “next gen” tarda a fornire un oggettivo e certificato ricambio generazionale. 

Gli anni che furono

L’impresa di cui parliamo in questo pezzo, vide un airone croato presentarsi ai nastri di partenza del torneo più prestigioso al mondo, non ce ne vogliano gli organizzatori degli altri Slam, con in mano una wild card. 

Correva l’anno 2001 e il nostro eroe, il nativo di Spalato Goran Ivanisevic, era appena uscito da un tremendo infortunio al tendine della sua spalla, una porzione del corpo che per un tennista è già fondamentale di per sé, immaginatevi per uno che per ben 6 stagioni su 9 si piazzò in testa alla classifica dei migliori giocatori al servizio

A causa di questo infortunio, l’ormai 31enne Ivanisevic arrancava da tre anni tra eliminazioni al primo turno, ritiri sempre più frequenti, forfait dell’ultimo momento e varie amenità, che lo fecero retrocedere lontano dalle posizioni più nobili della classifica generale. 

Galeotto fu Caratti

Erano passati ben tre anni e mezzo dall’ultimo successo in un torneo, quello del giardino di casa sua, a Spalato e da quel momento le continue noie al tendine non gli permisero più di risollevare una carriera che sembrava ormai destinata all’anonimato

Nel pieno della stagione sull’erba del 2001, il percorso ad handicap di Ivanisevic incontrò un suo nuovo, pesantissimo intoppo. 

Il Queen’s, ormai da anni nobile antipasto del torneo che rappresenta il culmine della stagione per erbivori, fu teatro dell’ennesima sconfitta al primo turno del croato, questa volta per mano del non trascendentale azzurro Cristiano Caratti, buon giocatore che alcuni di voi ricorderanno, ma non certo per le mirabili prestazioni sul verde. 

Ivanisevic sapeva di aver già conquistato una wild card per quella edizione di Wimbledon, ma più di un osservatore storse il naso per quella scelta e più di un suo avversario sapeva di poter contare su di un primo turno abbordabile nel caso l’estrazione gli avesse assegnato in sorte il croato. 

Ampiamente sfavorito

La vittoria di Ivanisevic a Wimbledon venne giudicata improbabile anche dai sempre attenti bookmakers di Sua Maestà: era quotata a 150-1 che, per i meno esperti di scommesse, significa puntare un dollaro e riceverne indietro, in caso di successo, ben 150. 

Non fu un primo turno così difficile per Goran, ritrovatosi a dover battere il Carneade di turno, lo svedese Fredrik Jonsonn, mai più sentito successivamente e regolato in 3 set piuttosto facilmente. 

Da quel momento in poi, dal secondo turno, Ivanisevic non incontrò più in giocatore sotto il 40º posto ATP. 

Moya fu il secondo avversario del croato, sconfitto per 3-1, l’americano Andy Roddick gli si arrese al terzo, per poi superare agli ottavi di finale il canadese Greg Rusedski, anche lui tra i primi 16 del torneo quando al posto suo sarebbero potuti arrivare giocatori del calibro di Black, Stoltenberg e, soprattutto, la testa di serie numero 8 “il Mosquito”, Juan Carlos Ferrero

Rusedski venne fatto fuori agevolmente in tre set e la gente cominciò ad appassionarsi al cammino senza sconfitte di Goran Ivanisevic

Parte alta, una manna 

Ben più difficile la seconda parte del cammino dell’ex jugoslavo, a cui il destino riservò ai quarti di finale della parte alta il russo Marat Safin, primo vero banco di prova importante del torneo e testa di serie numero 4, sconfitto in 4 set in una partita tiratissima. 

Arrivato in semifinale, Ivanisevic dovette scontrarsi contro il padrone di casa Tim Henman, testa di serie numero 6 e, soprattutto, supportato da tutto il centrale. 

Quella partita viene ricordata ancora oggi per essere stata sospesa innumerevoli volte, tra cui la prima, probabilmente decisiva a favore di Ivanisevic che fu salvato sul 2-1 al quarto set per il suo avversario che era avanti di un set e l’inerzia tutta a favore, visto che il terzo set arrivò con un perentorio 6-0. 

La pioggia diede una pausa la domenica pomeriggio, allorquando i due tornarono in campo per portare a termine il match dopo un sabato in cui non si riuscì nemmeno a entrare sul centrale. 

Quella interminabile semifinale si risolse al quinto set con Ivanisevic vittorioso per 6-3 con evidenti cedimenti della sua spalla e un pubblico che non sapeva più da che parte stare. 

Il monday’s people’s

Pat Rafter fu l’avversario in finale, uno dei due protagonisti della finale dell’anno precedente, quando l’australiano perse da Pete Sampras.

L’organizzazione dovette rivendere in poche ore i biglietti per l’insolita sessione del lunedì e lo fece a prezzi molto popolari creando una fila alle casse che ancora oggi si ricorda come una delle più lunghe fatte registrare per un evento sportivo. 

Fu una partita indimenticabile. Un numero impressionante di tifosi croati prese l’aereo da Spalato per assistere a quella che aveva tutta la possibilità di diventare una partita storica.

Il quinto set 

E storici furono i 4 set che portarono alla naturale conclusione del trionfale e clamoroso percorso di Ivanisevic. 

Tutti vinti nettamente, non un tie break: 6-3, 3-6, 6-3, 2-6, fino al 7-7 e servizio all’australiano che perse il punto e si andò al cambio di campo sul 8-7 per il croato. 

Furono tre i match point che Ivanisevic non riuscì a tramutare in trionfo, ma il quarto, con una seconda di servizio velenosa al centro, ribattuta in rete da Rafter, fu quello giusto e nel centrale di Wimbledon gli australiani lasciarono mestamente spazio alle urla e ai festeggiamenti di migliaia di persona con la maglia a scacchi della nazionale Croata. 

Ivanisevic corse verso il padre e tutto il suo angusto angolo, scavalcando barriere di acciaio verde come se il dolore alla spalla fosse completamente scomparso. 

In quel momento divenne il primo giocatore al mondo a vincere il torneo di Wimbledon cominciando la sua corsa grazie a una wild card.