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Chi l’ha detto che i tedeschi sono solo forza bruta e costanza? Chi l’ha detto che, nel bel mezzo delle miniere e del rigore sociopolitico, non possa fiorire il talento più cristallino? Se c’è qualcosa di cui andiamo sempre più orgogliosi, è l’innata capacità del calcio e dei calciatori di spazzare via i luoghi comuni.

E stilando la top 11 della ‘Germania‘ in Serie A, la fantasia è il fattore predominante di una squadra che ha davvero poco da invidiare alle compagini colleghe argentine, brasiliane, olandesi. Anzi: se la giocherebbero a viso aperto, e saprebbero farsi valere. Eccome.

“Il calcio è un gioco semplice: 22 uomini rincorrono un pallone per 90 minuti, e alla fine la Germania vince”. Gary Lineker non immaginava di aver tirato fuori dal cilindro una frase che avrebbe fatto la storia. Chiaro, il momento era particolare, drammatico per la sua Inghilterra: i Tre Leoni avevano appena perso la semifinale del Mondiale del ’90, quello disputato nell’Italia già colonizzata dai tedeschi.

Tedeschi che vinsero, contro l’Argentina di Maradona. Tedeschi che vinsero e che hanno continuato saltuariamente a dominare nel trentennio successivo, perché se c’è qualcosa che va davvero invidiata ai panzer è proprio questa: sanno reinventarsi. Sanno stare al passo coi tempi.

E sanno creare, soprattutto. Talenti e terreni fertili. La top 11 teutonica del nostro campionato racconta una storia di qualità e perseveranza. Pure di bomber: che a esser onesti e poco equilibrati, qui sotto ci sarebbe da far spazio almeno a cinque punte. Teniamo duro e rispettiamo lo storico rigore della Germania: nel 4-3-3 ipotizzato, tante storie da apprezzare e rivivere.

La top 11 tedesca, con le dolorose scelte da fare in attacco lasciando in panchina campioni come Klinsmann e Klose

Portiere: Lehmann

Dieci anno allo Schalke 04 (che con i portieri ha un certo feeling, vero Neuer?) e una Coppa Uefa vinta ai rigori contro l’Inter come principale impiego sul curriculum. Se ne innamora il Milan nel 1998: vi rimarrà solo 5 partite, esordendo contro il Bologna e salutando immediatamente per raggiungere il Borussia Dortmund.

Terzino destro: Brehme

Forte. Fortissimo. Nell’Inter dei tedeschi faceva coppia fissa con Klinsmann e Matthaus, e deve le sue fortune anche a Giovanni Trapattoni (che lo spostò sulla sinistra, ottenendo in cambio ben oltre il classico ‘fluidificare’). Uno scudetto nel 1989 da record, poi la Supercoppa contro la Sampdoria. Nel 1991, la grande vittoria in Coppa Uefa battendo in finale la Roma. Quattro stagioni da urlo.

Difensore centrale: Briegel

Quanto correva. E per forza: era un fenomeno anche nel decathlon. A 18 anni sceglie il calcio e a 20 è titolare nel Kaiserslautern: vi rimane per nove stagioni, poi si fa sedurre ben volentieri dal fascino italiano. Prima il Verona nel 1984 con quel meraviglioso e irripetibile scudetto, quindi la Sampdoria nel 1986. Quattro stagioni in totale, due per squadra e due grandi maestri: Osvaldo Bagnoli e Vujadin Boskov.

Difensore centrale: Kohler

Baffo da sparviero e quattro anni alla Juventus, a partire dal 1991. Fu uno dei pochi di cui aveva timore Marco Van Basten (e già questo…); del resto, Kohler era tutto cuore e caviglie da mordere, dato che tecnica di base pressoché vicina allo zero. Vinse il Mondiale del ’90, l’Europeo del 1996. Con i bianconeri vinse una Coppa Uefa e il double del 1995. Vinse anche una Champions intrisa di scherzo di destino: dopo essere andato al Borussia Dortmund, si ritrovò il vecchio club in finale. Non ne ebbe pietà.

Terzino sinistro: Schnellinger

Anni Sessanta. Roma. La dolce vita di Schnellinger, che era un giovanotto del Colonia dalle floride speranze. Non andò subito benissimo nella Capitale – e infatti arrivò il prestito al Mantova -, ma nel 1964 in qualche modo si riprese. La vera storia d’amore fu con il Milan: dal 1965 al 1974, quasi 300 presenze e tante vittorie.

Mezzala destra: Haller

Pure qui, storia di anni Sessanta. Nato e vissuto ad Augusta, nella storia di Haller però c’è tantissima Italia. Almeno 11 anni di livelli altissimi. Prima nel Bologna scudettato di Dall’Ara, che lo definì “tre volte Sivori”, quindi nella Juventus di Anastasi e Bettega. Con i bianconeri vinse altri due scudetti, perdendo però la Coppa dei Campioni contro l’Ajax di Cruijff. Ah, per gli amanti delle chicche: agli albori si divideva tra calcio e il lavoro di camionista. Lavoro abbandonato subito, sì, anche per i vizi: amava la vita notturna e i night club. “Ma vedeva possibilità eccezionali”, come amava dire Fulvio Bernardini.

Centrocampista centrale: Matthäus

Sapete come lo definì Diego Maradona? “Il miglior avversario mai avuto in tutta la mia carriera”. Ecco, tanto basterebbe se non fosse così ingiusto limitare la figura di Matthäus a ‘semplice antagonista’. Tutt’altro. Dopo ‘Gladbach e Bayern Monaco, l’Inter lo prende nel 1988: era il regista di cui necessitava Trapattoni. Finché poté, e finché la situazione attorno lo permise, giostrò a suo piacimento tutta la formazione nerazzurra. Poi Orrico, le burrasche sentimentali e l’infortunio al crociato. Che peccato.

Mezzala sinistra: Häßler

Dal Colonia alla Juve, arrivando poi a una bella storia con la Roma. Subito dopo aver vinto il Mondiale nel 1990, Hassler divenne bianconero per 11 miliardi di lire: peccato che si ritrovò nella Juventus di Maifredi, complicata la sua stagione come quella di tutta la squadra. A Roma riuscì a rialzarsi, riscattandosi parzialmente con una Coppa Intertoto.

Ala destra: Voeller

Una grande storia d’amore, per un giocatore che non si poteva apprezzare a prescindere dalla fede. Rudolf detto Rudi, Voeller per tutti, era l’attaccante della Germania del ’90. Ma era sopra ogni cosa l’asso nella manica della Roma: arrivato nella capitale del 1987 con Liedholm, partì in sordina per poi stupire tutti. Il massimo nel 1990, l’anno che portò al Mondiale: c’era Gigi Radice in panchina e arrivarono anche 14 gol. Con Bianchi, anche meglio: la Roma arrivò a giocare le finali di Coppa Italia e Coppa Uefa. La prima andò alla grande, la seconda meno. Fu capocannoniere in emtrambe le manifestazioni.

Centravanti: Bierhoff

Avanti a colpi di testa. Che giocatore unico, Oliver Bierhoff. Fu acquistato nel 1991 dall’Inter, che lo girò subito in prestito all’Ascoli di Costantino Rozzi. L’esordio fu particolare, ma la storia divenne immensa. Quattro stagioni in bianconero, di cui tre in Serie B. Nel 1992-93 fu capocannoniere, vice nel 1993-94. Nel 1995, Bierhoff passa allora all’Udinese, segnando subito 18 gol in campionato. L’anno successivo? Addirittura 27 marcature. Lo prende il Milan per dare supporto a Weah, e risponde subito presente: 19 gol, dei quali 15 di testa. Vincerà un insperato scudetto da assoluto protagonista.

Ala sinistra: Rummenigge

Una vita al Bayern e un buon assolo all’Inter. Dopo 10 anni di Monaco, l’occasione nerazzurra arriva nel 1984: Rummenigge la coglie al volo. Ai tempi veniva considerato l’attaccante più forte al mondo, e a Milano era chiamato a duettare con Spillo Altobelli. Alla prima stagione? Bene. Alla seconda? Meglio di lui solo Pruzzo, con il tedesco a quota 13 gol. Poi una stagione complicata e l’addio anticipato.

La panchina

Sammer: un libero con il Pallone d’Oro. Una sola stagione all’Inter, 11 presenze e quattro reti. Ma tante, tante da dire a Osvaldo Bagnoli.

Effenberg: due stagioni alla Fiorentina, per questo centrocampista dal gol facile. 56 presenze e 12 reti.

Heinrich: altro giro, altro tedesco marchiato viola. Due stagioni fortunate, comunque, tra il 1998 e il 2000.

Moller: totem della nazionale, arrivò alla Juventus nel 1992. Due stagioni non certamente indimenticabili.

Klose: grande storia d’amore, quella con la Lazio. Tra i migliori attaccanti della storia biancoceleste, a 33 anni (e fino ai 38) è stato in grado di trascinare i romani ad annate importantissime. 63 gol in 171 presenze totali.

Klinsmann: nell’estate del 1989 si trasferì all’Inter, due stagioni ad alti livelli, l’ultima da dimenticare. Un’annata anche alla Sampdoria: doveva sostituire Mancini, ma a dicembre tornò al Tottenham.

Riedle: dopo il Mondiale vinto, la Lazio. Tre annate per trenta gol.