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Una sorta di progetto Erasmus (da Rotterdam, non per caso), affinato nel tempo e diventato connubio invincibile a metà degli anni Novanta. La scuola olandese fusa, fattasi tutt’uno, con quella italiana: a qualcuno il cuore sarà già scoppiato di ricordi, mentre per altri è in arrivo una storia non solo di vittorie, ma di qualità e costanza.

Nessun movimento calcistico ha saputo cambiare – o meglio: evolversi – come quello olandese. Dai fasti di Cruijff (che la seria A l’ha sfiorata con la maglia del Milan…) all’ultima scuola Ajax (De Ligt, a 21 anni già parte fondamentale della Juventus, il più fedele erede), dal Milan degli olandesi al tentativo di Inter e Sampdoria d’impossessarsi di quella classe ed eleganza. Nel mezzo, tante piccole finestre, tutte illuminate da una costante: il gioco e l’amore per lo stesso.

Come sempre, andiamo a ricordare le regole delle nostre top 11: non ci sono giocatori attualmente in circolazione, né in Italia, né altrove. Non che ci siano particolari assenze da segnalare: i fasti italo-olandesi sono stati certamente nel passato, così però si spiegano le assenze di De Vrij e magari quella di De Ligt, oltre a quella di Marten de Roon, reduce da due stagioni pazzesche all’Atalanta.

Il modulo? Un inno al calcio totale: 3-2-4-1 con 4 numeri 10 di gran classe. Possesso, verticalità, gol. Che davanti, e non è uno spoiler, è tutto sulle spalle di Marco Van Basten.

top 11 olandesi in serie A
Ovviamente formazione con 4 numeri 10 dietro al Re Marco Van Basten

Portiere: Van der Sar

Nove anni all’Ajax. La nazionale olandese. Il sogno degli Orange di aver trovato finalmente un portiere per dare l’assalto al Mondiale. Se ne innamora anche la Juve, con tutte queste carte in regola: nel 1999 diventa l’erede di Angelo Peruzzi. Due stagioni difficili, la seconda segnata dalla vittoria in Serie A della Roma: nella gara decisiva, l’errore di Van der Sar permise ai giallorossi di pareggiare in extremis. Due punti di vantaggio bastarono a Totti e compagni per centrare l’impresa storica.

Difensore centrale: Stam

Jakob detto Jaap. Uno che, in guerra o in campo, vorresti sempre avere al tuo fianco. E una carriera pazzesca poi. Partita dallo Zwolle ed esplosa al Psv, da cui il Manchester United lo preleva nel 1998. Tre anni ai Red Devils e c’è la possibilità Lazio: parte in sordina, ma Zoff continua a dargli fiducia. Con Mihajlovic, e Mancini fresco di nomina da allenatore, formò una coppia difensiva da cui stare ben alla larga (per gli attaccanti avversari). Dal 2004 al 2006, la grande chance con il Milan: in mezzo, la finale di Istanbul.

Difensore centrale: Krol

Alt: qui ci troviamo davanti a uno dei migliori difensori mai visti in Italia. E sappiamo tutti quanto la difesa abbia avuto un peso determinante per lo sviluppo del nostro calcio. Ma Krol, nato ad Amsterdam e bandiera totale dell’Ajax dal ’64 al 1980, era perfetta eredità del calcio totale. Partì terzino per necessità, si farà grande nella posizione di libero. Nel 1980, il Napoli lo porta in Italia: quattro anni da vera colonna portante. E affetto incondizionato da parte dei tifosi.

Difensore centrale: Rijkaard

E’ la sua posizione ‘natia’. Perché Frankie è partito lì, e così se ne innamorò Arrigo Sacchi. Sette anni all’Ajax, un anno a Lisbona e metà al Real Saragozza. Poi? Il Milan degli invincibili. Con cui ha collezionato 142 presenze e 16 gol, ma soprattutto 2 Champions League, 2 scudetti, 2 Supercoppe italiane e altrettante Uefa. Ah, anche altre due Coppe Intercontinentali. Il Milan degli olandesi si appoggiava sulla solidità, oltre che sul talento: la base era sicuramente Rijkaard.

Centrocampista centrale: Van Bommel

Non tanto per quello che ha dimostrato in Italia, ma per una carriera immensa. Da giocatore, sì, immenso. Mark Van Bommel parte dal Fortuna Sittard, però la vera fortuna sta nel suo percorso: cresce a cavallo del nuovo millennio in un Psv talentuosissimo. Si sposta a Barcellona (dove non viene capito) e poi rivoluziona il Bayern Monaco, con cui perde la finale di Champions contro l’Inter. A lungo feticcio del Milan, Galliani riesce a portarlo a casa nel gennaio del 2011, sotto la gestione Allegri: vincerà subito lo scudetto. Da protagonista.

Centrocampista centrale: Davids

Milan e Inter, ma soprattutto Juventus. Cinque stagioni all’Ajax, poi l’amore per l’Italia: nato in rossonero, però sbocciato alla corte di Marcello Lippi. Primo olandese della storia bianconera: ne diventa subito perno nel 1997, e vi rimase per sette stagioni. D’incredibile intensità. Una sola annata con l’Inter: se in rossonero ebbe problemi con i senatori (Costacurta in primis), stavolta le cose non funzionano con Mancini.

Esterno destro: Gullit

Conoscete la storia, no? Non quella di Ruud e Frankie. Ma quella di George ed Herman, di cognome rispettivamente Gullit e Rijkaard. Partiti dal Suriname e arrivati ad Amsterdam, insieme. Qualche anno più tardi, quei due bambini che giocavano poco più distanti diventavano pedine fondamentali della squadra più forte di sempre: e se Rijkaard era la base, Gullit era l’estro e la fantasia. La giocata. Parte al Feyenoord, va al Psv, quindi il Milan nel 1987: sapeva fare tutto e tutto bene, purché il fisico lo supportasse. Nel 1993, una grande stagione alla Sampdoria. Nel 1994, ancora rossonero: ma durerà pochissimo.

Seconda punta: Sneijder

Sapete quando la realtà si accompagna fedelmente alle sensazioni? Ecco, nell’estate del 2009, l’Inter ebbe la piacevolissima certezza di aver fatto il colpo della svolta. Dal Real Madrid era arrivato un giocatore talentuoso e dinamico, differente in tutto e in senso positivo. Wesley Sneijder era la dose di qualità di cui necessitava Mourinho per l’assalto alla Champions. Solo quindici milioni e la numero 10 nerazzurra: furono immediatamente le nozze più felici di sempre, celebrate al Bernabeu di Madrid. Poi bassi, qualche alto e un’ultima stagione difficile, anche per via di incomprensioni con la dirigenza. Ma che ricordi.

Seconda punta: Bergkamp

Non Flying Dutchman. E cioè: l’olandese non volante. Una parodia bella e buona per Dennis Bergkamp: fortissimo in campo, non a sconfiggere le proprie paure. Quella di volare, soprattutto, lo condannò a una carriera di scherni (non è il solo comunque…). Che forse in Italia ebbe il suo peso: acquistato dall’Ajax nel 1993, nelle intenzioni dell’Inter doveva essere l’uomo d’area di rigore che avrebbe sbaragliato la concorrenza (quella del Milan stava per esaurirsi, nasceva quella della Juventus). Due stagioni complicatissime: poi l’Arsenal. Tutt’altra e meravigliosa storia.

Esterno sinistro: Seedorf

Il Professore. Come Gullit e Rijkaard, arrivato in Olanda dal Suriname. E cresciuto ad Amsterdam, quindi all’Ajax. Solo tre stagioni e la Sampdoria pesca il suo talento: ad appena 19 anni, giostrava la squadra a suo piacimento. Carisma e professionalità incredibili, tali da richiamare immediatamente il Real Madrid. Vincerà tutto. E vincerà pure una chiamata dall’Inter, che nel 1999 è forse la squadra più forte d’Europa con la coppia Vieri-Ronaldo e vuole certificarlo pure in Coppa Campioni. Tre stagioni complicate, complici situazioni che andavano ben oltre il campo. Nel 2002, lo swipe con il Milan: vi rimarrà 10 anni. Dietro la cattedra, a insegnare calcio. A vincere altre due delle quattro Champions League totali.

Centravanti: Van Basten

Il Cigno di Utrecht. Il centravanti più forte di sempre, forse. Di sicuro il più sfortunato. Sei stagioni all’Ajax, poi il Milan di Sacchi: di cui si fa non solo rifinitore, ma anche certezza. Gol su gol, l’amore di San Siro in anni in cui la Milano da bere era totalmente ai suoi piedi, una divinità con i veri gradi d’onnipotenza. Per il resto: tre Palloni d’Oro, Fifa World Player, il primo a segnare quattro gol in una partita di Champions. Unico ad aver segnato a ogni squadra di Serie A affrontata (insieme a lui solo Piola, neanche CR7 ci è riuscito). E una caviglia che l’ha sempre e solo tormentato, costringendo il mondo al Canto del Cigno arrivato semplicemente troppo presto.

La panchina

Stekelenburg: una finale del Mondiale da protagonista e la chiamata della Roma. Sembrava una storia pronta a durare: 2 stagioni di alti e bassi. Pressione, questa maledetta.

De Jong: botte da orbi e visione da gioco. Lo acquistò il Milan nel 2012 dopo una corte serratissima. Non certamente indimenticabili, le sue quattro stagioni.

Jonk: al posto giusto, al momento giusto. Nel 1993, l’Inter lo acquista dall’Ajax per 10 miliardi, insieme a Bergkamp. 67 presenze e 13 reti: vinse la Coppa Uefa del ’94.

Winter: nel 1992, la Lazio preleva questo centrocampista di carattere e corsa. Furono quattro stagioni di livello, peccato per il contorno e per ciò che dovette subire. Nel 1996, è subito titolare nell’Inter: tre annate in totale, le prime due molto positive.

Wilkes: Inter e Toro, calcio degli anni Cinquanta. Lo chiamavano il Tulipano Volante: oltre a essere stato il primo olandese in Serie A, è stato una mezzala di discreta qualità.

Kieft: il Pisa degli anni Ottanta e ancora il Torino. Arrivò in Italia con grandi aspettative, ma i toscani finirono subito in Serie B…

Kluivert: uno dei più grossi rimpianti del Milan? Chissà. Probabile che sia così, che si almeno nella top 10. Comunque, nel 1997, i rossoneri ci avevano visto giusto: Patrick Kluivert è stato un grandissimo attaccante. Non lo dimostrò a Milano (27 presenze, 6 gol), ma si superò subito dopo a Barcellona.