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C’è chi ha fatto la storia e chi la sta facendo. C’è chi ha alzato le coppe più grandi e chi a stento ha collezionato qualche presenza in nazionale. C’è però il talento, di tutti, condizione necessaria per entrare nella Top XI degli argentini in Serie A: una lunga storia d’amore, come quella dei brasiliani, per il nostro Paese e per il nostro calcio. Che i colori dell’Albiceleste hanno aggiornato con personalità, grinta. E gol. Tanti gol. Troppi gol. Tutti meravigliosi, a loro modo.

Come sempre è complicatissimo mettere insieme undici giocatori, far convivere le loro storie, guardare avanti senza preoccuparsi dell’assenze.

E prima che arrivino commenti piccati, va ricordata la base di partenza del nostro ragionamento: dentro solo calciatori non più in attività, che in Serie A hanno dato tanto a prescindere dalle vittorie (anche se le vittorie hanno aiutato…).

Un’unica eccezione ci è sembrata doverosa perché si tratta di un talento che sicuramente darà tantissimo al calcio, non solo nostrano: in porta, più di Carrizo (che va in panchina) e della storia tra Romero e la Sampdoria, abbiamo lanciato direttamente Musso, estremo difensore dell’Udinese. Grande tecnica, ottima personalità, con un paio di stagioni all’attivo ha già superato le esperienze dei compagni.

Altra concessione: ci scuseranno i regolamenti, ma ci sembra doveroso giocare con 2 maglie numero 10. E leggendo la formazione, capirete perché.

Pronti al tango della Top XI? Partiamo con l’unico spoiler possibile: sarà un 3-4-2-1, con naturale licenza d’attaccare.

Panchina d’attacco con: Carrizo, Burdisso, Simeone, Sensini, Tevez, Milito e Crespo

Portiere: Musso

E partiamo proprio dal portiere dell’Udinese, il migliore in Serie A in questa stagione se solo un algoritmo non avesse premiato Szczesny, estremo difensore della Juventus, nella classifica degli MVP di questa stagione.

Personalità e qualità, un airone nelle uscite alte e tra i pali ha la scaltrezza necessaria per arrivare dove per tanti sembra impensabile. Ha le qualità giuste per il salto tra le big, aspetta solo una chiamata dall’alto (e non solo in Italia). Intanto, si porta a casa il premio per maggior numero di clean sheet nella stagione.

Difensore: Samuel

Il muro. Del pianto avversario. Una diga impenetrabile, dove tutti gli avversari finivano costantemente per sbattere. Tempismo e fondamentali, già in dote il dono del difensore moderno: sapeva far partire l’azione.

Comunque, la durezza era l’elemento che lo contraddistingueva: in scivolata era un pericolo pubblico per le caviglie degli attaccanti. Grande esperienza alla Roma, triplete all’Inter: in Italia è diventato invincibile.

Difensore: Passarella

Un libero argentino che faceva… brutto. Parecchio brutto. 8 anni al River Plate e la Fiorentina nel 1982 non ha dubbi: punta tutto su di lui per risanare la difesa. 4 stagioni in viola, quindi altre due all’Inter.

Oltre 150 presenze in A con 35 gol all’attivo (mica male). Il carisma era incredibile: per questo l’avevano chiamato El Caudillo, cioè il Generale. Ah, bonus track: sapeva battere punizioni e rigori da attaccante vero.

Difensore: Chamot

Rosario Central, Pisa, Foggia, Lazio, Atletico Madrid e Milan. In Italia, ovunque sia andato, ha lasciato ricordi meravigliosi. Soprattutto in Toscana, dove viene acquistato personalmente da Romeo Anconetani insieme a Diego Simeone.

87 partite in 3 stagioni, quindi l’esperienza da Zeman, al Foggia. “Sa fare tutto ma non indovina un cross che sia uno”, il commento del boemo. Che lo porterà con sé anche alla Lazio, preferendolo a Ciro Ferrara.

Esterno destro: Javier Zanetti

Se ci fosse bisogno di un capitano per questa Top XI, sarebbe certamente Zanetti. 19(!) anni all’Inter, arrivato ragazzino dal Banfield e “uscito” dal campo uomo maturo, campione di tutto e patrimonio totale – forse il più grande – di una tifoseria con cui ha legato sin da subito.

Definire Javier Zanetti è semplicemente impossibile: sapeva fare tutto, e tutto bene. Duttilità al servizio di ogni allenatore, El Tractor ha avuto mille doni dal dio del calcio ma ha saputo affinare quella più importante: l’intelligenza. Non solo tattica.

Centrocampista centrale: Veron

La Brujita. Cioè la streghetta. Veniva chiamato così perché figlio della Bruja, la strega che poi era suo padre.

Juan Sebastian Veron è stato l’esempio massimo di come il futbol argentino potesse inserirsi con tale dolcezza nel campionato italiano: più tattico, sì, ma anche più lento e soggetto a guizzi non esclusivamente verticali. In mezzo al mare d’intenzioni, Veron era padrone assoluto.

Lo è stato alla Samp, per un anno al Parma, per due stagioni alla Lazio (scudetto). E poi all’Inter, altri due anni dopo le brutte esperienze in Premier tra United e Chelsea.

Centrocampista centrale: Cambiasso

Altro giro, altro genio. El Cuchu (chiamato così per la somiglianza con un personaggio della televisione argentina, Cuchuflito) è stato IL CENTROCAMPISTA.

Completo, dinamico, con visione di gioco e precisione meravigliosa nei passaggi. Era un sapiente: poteva giocare mezzala, come davanti alla difesa. Di tanto in tanto, si spingeva anche sulla trequarti, perché non aveva paura di chiudere l’ultimo passaggio. Oltre tutte queste benedizioni, la più importante: sapeva guidare la squadra come nessuno.

E ha guidato l’Inter per 10 anni, dal 2004 al 2014.

Esterno sinistro: Lavezzi

Pocho loco. In formazione perché largo ci può stare, anzi: ci sta proprio bene. Ezequiel Lavezzi è la scintilla che ha riportato il Napoli nel grande calcio: Arrivato nel 2007, con la formazione azzurra appena promossa in Serie A.

È rimasto per 5 anni, facendo letteralmente innamorare i tifosi con i suoi strappi palla al piede e con le sue invenzioni al limite del geniale. Metti un argentino a Napoli che dà tutto per il popolo, cosa otterrai? Un paragone scomodo, sì. Ma amore in quantità industriale.

Seconda punta: Diego Maradona

Diego. Armando. Maradona. Il più forte di tutti, il più forte di sempre.

Un genio totale del calcio, che in Serie A ha cambiato drasticamente le gerarchie dell’intero campionato, portando tutto sotto il suo regno partenopeo. Delle amicizie e delle dipendenze, non è questo il ‘luogo’ deputato; qui si parla di campo e quindi anche di numeri: 188 gettoni in A, 81 reti con il Napoli.

Due scudetti, una Coppa Italia, una Supercoppa dove prima c’era solo voglia di rimanere a galla.

Seconda punta: Omar Sivori

“Per chi ama il calcio, Sivori è stato un vizio”.

Gianni Agnelli non andava mai sul sottile: non era il suo stile. Era sua prassi innamorarsi del talento, e quello di Omar era cristallino, leggero ma così denso.

Nel ’57, dopo tre stagioni buone al River Plate, la Juve porta a casa il suo numero dieci. 3 campionati, 3 Coppe Italia. Un Pallone d’Oro, nel 1961. Per sempre, El Cabezon.

Centravanti: Batistuta

Era in corsa con Milito e Crespo. Giocatori che hanno vinto tutto, che hanno dato tutto, che hanno battuto ogni record. Ma Batistuta è stato Batistuta, un rapace di lotta e talento, di qualità e perseveranza.

Lo chiamavano il Re Leone: ruggiva a qualsiasi avversario, immarcabile come solo i più forti di sempre hanno saputo essere. Ha giocato con la Roma (vinse lo scudetto) e con l’Inter, ma la storia d’amore più grande fu con la Fiorentina: nove anni e 170 gol in 270 partite. Incredibile.

In panchina

Sì, qualcuno l’abbiamo perso per la strada. Ma per capire la difficoltà a cui siamo andati incontro basta vedere chi “si siede”. Ecco la nostra panchina, che farebbe gola pure alle formazioni All Stars di Fifa.

Carrizo: Catania e Inter. E’ stato a lungo il portiere più forte d’Argentina, poi qualcosa è andato storto.
Burdisso: giocatore di un’intelligenza completamente differente, non a caso è il direttore sportivo di uno dei club più prestigiosi al mondo (Boca JR). Tra Inter e Roma, ha vinto tutto.
Simeone: allenatore sontuoso, da giocatore era talento e garra. Imprescindibile ovunque abbia giocato.
Sensini: l’equilibratore del Parma dei miracoli, un lavoratore unico per stile e genere, senza un ruiolo fisso semplicemente perché sapeva tutto, fuorché il portiere e il centravanti.
Tevez: era il dieci di livello che serviva alla Juve per alzare il suo, di livello. L’eredità della 10 di Del Piero bevuta in un solo sorso: quello del talento.
Milito: fuori l’eroe di Madrid dalla top XI? Fuori quel giocatore straordinario, parte fondamentale del triplete dell’Inter? Fuori il cuore di Genova e quella Serie B straordinaria (anche quella conta)? Sì, ma solo perché c’era Batigol.
Crespo: Inter e Milan. Prima Parma e Lazio. Attaccante con il naso affilato per la rete. Non quantificabile, il suo apporto. Come il numero dei suoi gol.