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Un po’ organizzatore, parecchio inventore, moltissimo scrittore. Il complemento che manca è “di giochi”.

Dario De Toffoli, oggi uno dei maggiori esperti a livello internazionale nell’ambito ludico, è tutte e tre queste cose insieme. Ed è un esperto sia perché ama il gioco, sia perché sul gioco ha costruito una professione.

Non stiamo parlando di un giocatore professionista e la differenza è sostanziale. “Mi piace giocare e competere ma solo per la gloria, non per il denaro!“, spiega il protagonista di questa storia.

Classe 1953, Dario De Toffoli è un “veneziano doc”, così come lo è la sua realtà lavorativa: studiogiochi. Costituita nel 1987, Studiogiochi nel corso degli anni è diventata un punto di riferimento per chi vuole gestire eventi ludici, sviluppare giochi di ogni tipo e trovare un supporto professionale per la comunicazione di settore. Ma la società veneziana non è soltanto un service. Al contrario. Studiogiochi è infatti proprietaria di tanti titoli originali realizzati in-house, sia nel campo dei giochi (boardgame, giochi di ruolo e di carte, comprese alcune varianti del poker) che in quello dell’editoria.

In tutto questo Dario De Toffoli non è solo. Oltre ad uno staff tecnico competente, ci sono altri due soci che lo affiancano tutti i giorni sia nella parte creativa che in quella gestionale. Il primo – in ordine temporale di ingresso nella società – è Dario Zaccariotto (veneziano di Dolo): esperto di quiz, enigmistica varia, giochi di parole, abile “calembourista”, autore di tanti libri scritti da solo e insieme all’altro Dario. Il secondo è Leo Colovini, veneziano anche lui, che invece è una mente dedicata in primis alla creazione di boardgame. Una propensione che Colovini ha ereditato dal grande inventore di giochi Alex Randolph (1922-2004) e che si è trasformata in tanti titoli di successo. Qualche nome? Inkognito, Cartagena, Carolus Magnus, Clans e anche lo “storico” GDR Lex Arcana, realizzato in collaborazione con De Toffoli, Marco Maggi e Francesco Nepitello.

La “triade” veneziana del gioco: da sinistra, Dario Zaccariotto, Leo Colovini, Dario De Toffoli (credits Studiogiochi.com)

Ma come si diventa un professionista del settore ludico? La storia di Dario De Toffoli è molto particolare e inizia da lontano. E’ lui stesso a raccontarcela. Lo abbiamo incontrato a Nova Gorica, in occasione delle recenti ISOP 2021 durante le quali il veneziano si è preso lo sfizio di vincere il 4° braccialetto e ha sfiorato il 5°, con il quale sarebbe diventato primatista assoluto di vittorie. Sarà per la prossima edizione.

Sono laureato in chimica e ho anche esercitato la professione, almeno per un po’. In realtà ho sempre avuto una predisposizione per i giochi ma, almeno fino all’inizio degli anni Ottanta, non avevo ancora idea di cosa fosse il settore ludico. In quel periodo mi limitavo a qualche partita con gli amici, uno dei quali un giorno (siamo nel 1981) mi mostra un numero della rivista Pergioco. Inizio a sfogliare le pagine e, a un certo punto, incappo nella pubblicità del primo campionato italiano di Scarabeo. La novità mi cattura subito“.

E’ il colpo di fulmine.

Decido di partecipare. Supero la fase di qualificazione con i quiz per corrispondenza e raggiungo la finale a 32 che si disputa di persona a Milano. Il problema è che non avevo mai giocato davvero a Scarabeo, cioè davanti al tavoliere. Per mia fortuna, a Milano trovo un’ex compagna di liceo che si è qualificata insieme al fratello. Mi propongono di fare una sessione di allenamento la sera prima dell’inizio della finale. Ovviamente dico di sì, anche perché loro sono più esperti. E infatti quello che ne beneficia più di tutti sono io: il giorno dopo li elimino in seminale e mi gioco il titolo di campione italiano di Scarabeo“.

Alla fine Dario De Toffoli chiuderà al terzo posto ma quella prima esperienza accende la sua passione (ludica). Anche perché l’amica eliminata a Milano non gli porta rancore e gli fa conoscere un gruppo di giocatori. Da lì nasce l’esperienza del MultigiocoClub di Mestre (VE), un punto di ritrovo per tutti i “ludomani” della zona. Tra questi c’è anche un giovanissimo Dario Zaccariotto che per tutti diventa la “mascotte” del gruppo.

L’idea di provare a trasformare la passione in un lavoro si è consolidata allora. Ho iniziato curando una rubrica sui giochi matematici per la rivista Contro Mossa. Poi è arrivato il primo libro, proprio sullo Scarabeo. Per qualche tempo ho tenuto i piedi in due scarpe, ma più passava il tempo più mi rendevo conto che volevo dedicarmi solo ai giochi. E poi, un bel giorno, è arrivato il momento della fatidica scelta. Il laboratorio di chimica con il quale già collaboravo mi offre un contratto per una cifra importante. Devo però lavorare in esclusiva per loro. In quel momento il mio corpo si è irrigidito, facendomi capire che era tempo di voltare pagina“.

Il dado è tratto. “Esatto. E per evitare qualsiasi ripensamento, mi sono cancellato dall’ordine dei chimici, unico caso finora in Italia“.

Poco dopo nasce studiogiochi. Zaccariotto entra subito, nel 1993 arriva anche Colovini.

Una piccola parte dell'”Arsenale” ludico di Studiogiochi a Venezia (credits Studiogiochi).

Da lì in avanti è tutto un crescendo per la società veneziana che nel 1995 si dedica anche alla distribuzione dei giochi, con la partecipata Venice Connection. Quest’ultima società entrerà poco dopo in Giochi Uniti, marchio che ancora oggi contraddistingue uno dei più importanti editori e distributori italiani del settore. Ma il cuore pulsante del trio rimane la creatività. E infatti nel 2009 i tre soci vendono Venice Connection all’editore Stupor Mundi ed escono da Giochi Uniti.

La distribuzione dei giochi e la gestione di negozi erano impegni molto grandi, avevamo già molte altre attività in essere. Tra queste anche la collaborazione con la stampa, che oggi è diventata la voce più importante di studiogiochi. Gestiamo le rubriche dedicate al gioco su alcune importanti testate (ad es. Il Fatto Quotidiano, ndr). Poi c’è la creazione di giochi, che però rimane un settore dove a volte va bene, altre meno. L’organizzazione di eventi dal vivo ha ovviamente risentito del problema COVID: al momento il nostro evento più importante è il Premio Archimede, il concorso per aspiranti inventori di giochi, che ci dà molte soddisfazioni“.

In tutto questo il poker dove sta?

Sta nelle numerose pubblicazioni che abbiamo fatto, alcune insieme a nomi noti del panorama italiano, come ad esempio Luca Pagano e Max Pescatori. In realtà il poker è una mia grande passione, nata per caso alle Olimpiadi della Mente (Mind Sports Olympiad) nel lontano 1998. Mi sono seduto per la prima volta ad un tavolo di poker e sono arrivato secondo nel torneo di Omaha. Potevo non innamorarmi?“.

Forse no, ma qual è il segreto del fascino di questo gioco, nelle sue varie forme?

“Per me è la combinazione tra componente matematica e il fiume di adrenalina che il poker dal vivo ti regala. Ci tengo però a precisare che non considero il poker il gioco in assoluto più bello. Mettiamola così: se dovessi salvare un gioco dall’ipotetico diluvio universale, salverei il backgammon. La ragione è che ‘la tavola reale’ è un po’ una metafora esistenziale. Ti allena alla vita, soprattutto quando questa ti riserva un ‘tiro di dadi’ sfavorevole: tu devi comunque dare il massimo. Con la differenza che nel backgammon c’è un range di risultati prevedibili (le combinazione dei dadi), mentre nella vita questa certezza non c’è. In un certo senso, la vita è più perfida“.

E soprattutto lascia cicatrici.

Il poker, invece, è meno puro, è troppo inquinato dal denaro. Io penso che si possa a giocare anche senza soldi, come succede alle Olimpiadi della Mente. Per me il gioco deve avere un valore sociale, culturale ed educativo: in questa direzione, il poker deve fare ancora molta strada. Però rimane il gioco più completo, perché soddisfa i quattro elementi della classificazione di Roger Caillois“.

E cioè l’agon (la competizione), l’alea (la fortuna), la mimicry (la maschera) e l’ilinx (la vertigine). Nel poker sono tutti evidenti. I primi due non hanno bisogno di spiegazioni. La maschera è l’interpretazione che con il corpo e l’atteggiamento diamo del poker. Sono i tell da individuare e da nascondere. La vertigine è l’all-in, è il bluff, è l’hero-call, è soprattutto il senso del rischio che secondo Dario De Toffoli è possibile vivere anche senza investire (troppo?) denaro.

Ma ammesso che un giorno questo obiettivo venga raggiunto, nel frattempo c’è altro che andrebbe cambiato nel mondo del poker?

Più che cambiare, direi c’è qualcosa da incentivare. Ad esempio manifestazioni come le ISOP dove nessuno viene per perdere, questo è ovvio, ma dove accanto all’aspetto competitivo ce n’è anche uno sociale, c’è la voglia di socializzare. L’aspetto ludico qui viene salvaguardato. Certo, bisogna investire un po’ di soldi, ma nessuno rischia di farsi troppo male. Ecco, forse quello che proprio non mi piace nel poker è il professionismo, soprattutto quello estremo degli high-stakes“.

Dario De Toffoli alle ISOP 2021, con la mano che gli ha fatto vincere il quarto braccialetto (PLO Hi/Lo) (credits ISOP)

La nostra chiacchierata con Dario De Toffoli finisce qui. Anche perché, se dovessimo avere bisogno di qualche altro chiarimento sulla mondo professionale dei giochi, sappiamo dove trovarlo: a Nova Gorica, l’anno prossimo, in cerca del 5° braccialetto delle Italian Series Of Poker.

Foto di testa: Dario De Toffoli (per gentile concessione dello stesso)