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Tra il 2019 e il 2022 il mondo degli eSports ha toccato livelli mai registrati in passato, sia in termini di popolarità che di business.

Complice la pandemia, i videogame competitivi sono entrati nelle case di milioni di nuovi appassionati in tutto il mondo. Contemporaneamente e in virtù di questa espansione globale, aziende, brand famosi e investitori vari hanno puntato su questo settore come veicolo pubblicitario per i propri asset, consapevoli che gli eSports sono un ponte comunicativo con i giovani.

Il giro d’affari è cresciuto, così come sono aumentati i montepremi dei tornei più famosi. Il caso più eclatante è il The International 2021 di Dota 2 che ha superato quota 40 milioni di dollari di prizepool grazie agli sponsor e (soprattutto) al crowdfunding organizzato da Valve attraverso i battle-pass.

Eppure non è tutt’oro quello che luccica, nemmeno in un settore così in crescita. Nonostante il picco di interesse, molte organizzazioni esportive si trovano oggi in gravi difficoltà economiche. E non si tratta solo delle società medio-piccole, ma di veri e propri colossi del settore quali ad esempio FaZe Clan, Guild Esports e Fnatic giusto per fare qualche nome noto.

E’ evidente, allora, che nel settore degli eSports esiste un problema di sostenibilità, come sottolinea anche il sito gaming-tech Digiday. Un problema legato a diverse ragioni, ma dovuto soprattutto al fatto che la maggior parte delle società esportive spende più di quanto incassi.

Gli eSports “bruciano cassa” come ci ha spiegato Luca Pagano, CEO di QLASH, e alla voce “spese”, in testa c’è il costo dei giocatori.

Ma come e quanto guadagnano gli esporters professionisti ?

Shuo-Chieh Hu aka SwordArt. (Photo by David Lee/Riot Games/Riot Games Inc. via Getty Images)

STIPENDIO

Le società esportive di norma stipulano con i propri giocatori un contratto che prevede un salario. Nei Paesi meno sviluppati nell’ambito degli eSports, come ad esempio l’Italia, si tratta di cifre piuttosto modeste, tanto che gli esporters devono guardare al futuro attraverso un altro lavoro e/o proseguendo gli studi. Un esempio? L’ex campione del mondo di sim racing Valerio Gallo.

Ma dove invece gli eSports sono un business serio ed importante, le cose cambiano. Gli stipendi dipendono dalla dimensione della società, dal livello del giocatore e soprattutto dal tipo di eSport, ma spesso si tratta di cifre con tanti zeri.

I casi più clamorosi sono quelli di Luka “Perkz” Perković, storico campione di League of Legends, che nel 2020 ha siglato un contratto triennale con il team Cloud9 per 2 milioni di dollari all’anno. Nicolaj “Jensen” si è accontentato di 4,2 milioni per giocare dal 2019 al 2021 nel Team Liquid. Il taiwanese Hu “SwordArT” Shuo-chieh ne ha ricevuti 6 dal TeamSoloMid per due anni di contratto. In Cina gli stipendi degli esporters più forti di LoL hanno picchi perfino superiore.

Scendendo un po’ di livello, i professionisti della LCS (la lega nordamericana di LoL) hanno stipendi che in media si aggirano sui 400mila dollari l’anno.

Va detto che quello di League of Legends è un mondo dorato, ma ci sono anche altri eSports che pagano piuttosto bene. In Counter Strike c’è il caso di Robin “ropz” Kool che nel 2022 ha ricevuto più di 800.000 dollari da FaZe Clan.

Anche gli esporters pro di Valorant non se la passano male: la media mensile va da $20k a $40k.

Il discorso cambia per altri videogame competitivi, quali i “picchiaduro”, Starcraft II e i giochi sportivi: la media in questi casi scende $1k-$5k al mese.

VINCITE

Quando si parla di soldi incassati attraverso i tornei, il divario tra il top di Dota2 e il resto degli eSports è enorme.

Nella classifica pubblicata da esportsearning.com, le prime 21 posizioni sono occupate da giocatori del MOBA targato Valve. Solo al 21mo posto sbuca il nome di Kyle “Bugha” Giersdorf, il vincitore della Fortnite World Cup 2019, che vanta 3,5 milioni di dollari vinti. Dopo di lui torna un elenco di altri 16 esporters di Dota 2 fino 41° posto di Peter “dupreeh” Rasmussen, campionissimo di CS:GO.

Il n.1 in assoluto è Johan “N0tail” Sundstein, due volte vincitore al The International, con 7,1 milioni di dollari vinti nelle competizioni di Dota 2.

Nell’ambito della distribuzione dei premi, va ovviamente fatta un distinguo tra esporters senza team e quelli che invece giocano per un’organizzazione. Nel secondo caso, di solito la vincita viene consegna prima alla società che poi la redistribuisce ai giocatori in base alle quote previste dai contratti. Gli esporters ricevono la fetta più grossa del payout, normalmente un 80%, mentre il resto finisce nelle casse dell’organizzazione esportiva. Ci sono però anche casi in cui i contratti prevedono che giocatori si tengano l’intera vincita.

The International 2019. (Photo by Hu Chengwei/Getty Images)

SKIN

La skin (letteralmente “pelle”) è un oggetto o una customizzazione di gioco che gli appassionati possono acquistare in-game, cioè attraverso un marketplace interno.

Alcuni publisher offrono alle organizzazioni esportive di usare i propri asset (brand, uniformi, immagini digitali dei giocatori) come skin. Questo sistema è molto usato nei videogame competitivi Rocket League e Rainbow Six.

La formula prevede che il ricavato delle vendite venga diviso in percentuale tra il publisher e la società. Quest’ultima a sua volta redistribuisce l’incasso ai giocatori che, come nel caso delle vincite, di norma fanno la parte del leone. Questo almeno in Europa e in Nordamerica, mentre sembra che nel Far East il rapporto sia inverso. (fonte di riferimento esportsinsider.com)

Ad esempio il publisher di Siege, Ubisoft, vende skin con il brand di team quali DarkZero Esports, G2 Esports e FaZe Clan. Ubisoft condivide quindi tra il 20% e il 50% delle entrate con i team. In Rocket League, Psyonix condivide il 30%.

Per dare un’idea delle cifre, l’anno scorso Riot Games ha usato skin di organizzazione esportive in occasione dei Champions di Valorant. Il fatturato delle vendite è stato di 32 milioni di dollari, la metà dei quali è andata ai 30 team partecipanti all’evento.

SPONSOR

Ci sono casi particolari di giocatori che, pur facendo parte di una società esportiva, possono avere propri sponsor. Ovviamente si tratta di una clausola che deve essere prevista dal contratto tra le parti.

Il caso più rappresentativo è quello del deal tra Finalmouse e Tyson ‘TenZ’ Ngo, campione di Valorant. Nel 2022 l’azienda ha prodotto e messo in vendita un mouse brandizzato TenZ che è andato esaurito in poche ore. La collaborazione ha generato $7,6 milioni, ma non si sa quanti sia finiti nella tasche del giocatori (presumiamo tanti).

Credits TenZ/YouTube

CREAZIONE DI CONTENUTI

Alcuni giocatori guadagnano denaro dai contenuti che realizzano online. Esistono attualmente due piattaforme principali sulle quali i professionisti degli eSports pubblicano i propri contenuti: YouTube e Twitch.

In questo caso la monetizzazione avviene in tre forme. I content creator possono vendere spazi pubblicitari agli sponsor e inserire brand durante i loro “talk show”, soprattutto su YouTube. Su Twitch invece gli incassi principali arrivano dalle iscrizioni che gli appassionati pagano per seguire il canale del loro esporter preferito. Infine spesso accade che, durante lo streaming delle partite, i tifosi siano così coinvolti e galvanizzati da fare donazioni al canale dell’esporter.

Ci sono alcuni casi famosi di giocatori che hanno trovato una seconda carriera come streamer. Ad esempio l’ex giocatore di CS:GO Michael “Shroud” Grzesiek, la leggenda di Call of Duty Seth “Scump” Abner e l’ex professionista di Overwatch Félix “xQc” Lengyel.

MERCHANDISE

La vendita di prodotti propri è la forma più rara di guadagno per un esporter, ma è comunque presente. Il fatto che sia riservata a pochi dipende dalla necessità d avere una fanbase piuttosto ampia.

E’ il caso di “Rekkles”, al secolo Carl Martin Erik Larsson, giocatore molto famoso di LoL attualmente in forza al Team Fnatic, che ha il proprio sito web dove vende soprattutto felpe con cappuccio e magliette.

Immagine di testa: Luka “Perkz” Perkovic (credits Getty Images)