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Come abbiamo messo in luce parlando di come è cambiato il fattore campo nel corso degli anni, il pareggio è un risultato il cui peso è mutato notevolmente in seguito alle modifiche regolamentari degli anni ‘90.

Nella stagione 78/79 in Serie A, su 306 partite poco meno della metà, per la precisione il 44,58%, si concludevano in pareggio, e di questi 107 pareggi ben 553 erano per 0-0, ovvero il 22,92% delle partite di campionato.

Oggi queste percentuali sono crollate: nell’ultimo decennio il pareggio è rimasto relegato ad un quarto del totale delle gare giocate con unica leggera controtendenza proprio nel campionato 21/22 dove, su 285 partite disputate fin qui, si registrano 78 pareggi (il 27.37%) e di questi 17 per 0-0, ovvero il 5,96% dei match giocati.

Un dato che però sconta l’anomalia statistica del Genoa responsabile di ben 7 pareggi per 0-0 sui 17 totali e di 16 pareggi sui 78 totali. L’aumento rispetto alla scorsa stagione si spiega quasi esclusivamente così.

Quindi come mai un risultato così comune, che per alcuni era il risultato della “partita perfetta”, si verifica sempre meno?

La rivoluzione dei 3 punti a vittoria

Fino ai Mondiali di USA ‘94 la vittoria valeva 2 punti mentre il pareggio 1 punto, di conseguenza alla lunga, nel corso di un campionato intero, l’atteggiamento difensivo pagava più di un atteggiamento più spregiudicato.

Oggi una squadra come il Genoa di Alexander Blessin che lotta per la salvezza e ottiene 7 pareggi consecutivi è praticamente condannata alla retrocessione, mentre all’epoca sarebbero stati più che sufficienti a raggiungere agevolmente una tranquilla posizione di classifica.

Nell’ottica di favorire un gioco più votato all’attacco e spettacolare, a partire dal 1994 (ma già si sperimentava in alcuni campionati come la First Division inglese dal 1981) furono adottati i 3 punti per vittoria. Una squadra quindi con una singola vittoria otteneva in classifica gli stessi punti rispetto a tre pareggi, rendendo così più fruttuoso attaccare cercando il vantaggio piuttosto che concentrare le forze nel difendere lo 0-0.

Inoltre, l’aumento dei piazzamenti utili per accedere alle coppe europee ha portato una maggiore competitività per alcuni piazzamenti in classifica che un tempo avevano meno importanza, tra il 4° e il 7° posto, che oggi possono cambiare radicalmente la stagione di una squadra, spingendo più squadre a cercare la vittoria anche nelle ultime giornate di campionato.

Il cambiamento si evidenzia molto bene analizzandolo nell’arco dei decenni.

La statistica sul calo dei pareggi per 0-0 in Serie A

DecennioPAREGGI TOTALI%0-0%TOTALE PARTITE
1960/197096633.75%44415.51%2862
1970/198092738.63%42517.71%2400
1980/199094737.40%43016.98%2532
1990/200095131.08%31510.29%3060
2000/2010101328.91%2928.33%3504
2010/202096525.39%2987.84%3800
Stagione 20/219625.26%195.00%380
Stagione 21/227827.37%175.96%285
La differenza tra i pareggi in totale e nello specifico per 0-0 nel corso dei decenni in Serie A

Se gli anni ‘60 non avevano ancora visto il trionfo totale del catenaccio in Italia, a partire dagli anni ‘70 e per tutti gli anni ‘80 è chiara la tendenza delle squadre a “non prenderle”: i pareggi per 0-0 vanno dal 17,71% al 16,98% dei risultati, e notiamo come l’aumento delle squadre e di conseguenza dei match giocati negli ultimi due campionati degli anni ‘80 non intocca minimamente le percentuali.

Negli anni ‘90 le cose cambiano radicalmente: gli 0-0 crollano al 10,29%, e i pareggi in genere, che nei due decenni precedenti avevano rappresentato il 38,63% e il 37,40% dei risultati, scendono a quota 31,08%.

Non è solo una questione riguardante le modifiche del punteggio, anche se da metà anni ‘90 i pareggi oscillano tra il 25% e il 30% dei risultati, con gli 0-0 scesi sotto il 9% solo in tre stagioni. Si tratta anche di un mutamento di filosofia calcistica: la scuola difensivista che guardava a Rocco e Herrera continuava ancora a mietere successi con allenatori del calibro di Trapattoni, ma si affermavano nel contempo le visioni calcistiche rivoluzionarie di Sacchi o di allenatori spregiudicati come Zeman che sovvertivano i normali equilibri di campo.

Entrati negli anni 2000, entra in gioco un altro fattore: la dimensione sempre più europea dei club di vertice, che grazie ai sempre maggiori proventi derivanti dalla Champions League si possono rinforzare creando un solco sempre maggiore rispetto alle squadre di livello inferiore.

I pareggi diventano quindi merce sempre più rara, dal momento che le crescenti vittorie “scontate” delle squadre più forti contro quelle di livello inferiore costringono queste ultime a cercare sempre la vittoria quando possibile contro le dirette concorrenti, rendendo sempre più improbabile arrivare nella situazione per cui un pareggio possa accontentare entrambe le squadre in campo.

La diminuzione delle quote dei pareggi è disomogenea ma costante: 28,91% nel primo decennio del 2000, 25,39% nel secondo, un calo del 5,69% in vent’anni. Calo simile per quanto riguarda gli 0-0, che negli anni ‘90 erano il 10,29% dei risultati, che scendono a 7.84% nello scorso decennio: una differenza del 2,45%, ma soprattutto quasi il 10% in meno rispetto agli anni ‘70, quando rappresentavano il 17,71% dei risultati.

Alcuni dicono che è dovuto anche alla minor bravura dei difensori italiani, ma bisogna ricordare che sia il regolamento e che le indicazioni arbitrali sono cambiate moltissimo nel corso dei decenni, nell’ottica di favorire sempre di più il giocatore che attacca al fine di aumentare gol e spettacolo delle partite.