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C’era qualcosa di mistico, in Rogerio Ceni.

E forse anche i videogiochi l’hanno aiutato. Ad accrescere il mito, almeno. A essere così unico e così speciale, per sempre senza eguali. Del resto, quel ragazzo cresciuto di fatto a Barra Funda, quartiere di San Paolo e quindi Brasile, ha sempre avuto in mente questa sfacciata idea di essere diverso da tutti gli altri. Gli altri colleghi e compagni. Gli altri in generale e generalizzati. Il nome è Rogerio, il cognome è Ceni; e nome e cognome sono sempre andati a braccetto, così come si fa per i più grandi. Senza l’uno, l’altro è nulla.

E c’è anche un po’ di Italia nella sua storia. Nato nello Stato del Panamà, a Pato Branco, le origini sono del nostro Paese eppure la storia è tipicamente brasiliana. Da Pato Branco a Curitiba, poi Sinop, Ceni ha iniziato a giocare all’età di otto anno e fino ai sedici era pure indeciso: nel mentre avanzava una buona carriera da pallavolista, sport in cui ottenne ottimi risultati.

Lavorava al Banco do Brasil ai tempi della scuola, poi ha capito che la strada giusta era quella del campo. Quella che l’ha portato a segnare 131 reti, divise tra rigori (69) e punizioni (61). A margine, un gol su azione: anno 2006.

I numeri incredibili del portiere goleador

Il primo passaggio fu al Sinop ed era appena 17enne. Nel 1990 fu promosso in prima squadra, da terzo portiere. Il destino l’ha voluto: si fecero male i primi due e iniziò una storia pazzesca, quella del portiere di Pato Branco. Al termine del campionato, Ceni aveva fatto così tanto bene che venne segnalato al San Paolo per un provino. Detto, fatto, preso. Fu riserva di Gilmar (altro mito) e Zetti, fino al 1996 era l’uomo da tabellino, poche presenze e mai grande fiducia nei suoi pezzi. Poi, la svolta.

Nel 1997 iniziò ad avere finalmente continuità: divenne il titolare del Brasileirao e iniziò una scalata lunghissima. In 20 anni ha giocato oltre mille partite e nel 2016 riuscì a realizzare anche una doppietta. Sì, parliamo di gol fatti, non di subiti.

Perché la grande particolarità di Ceni è stata proprio aver trasformato la vena da portiere in vena realizzativa. Da attaccante. O meglio: da cecchino. Perché lasciava la porta non per contropiedi o azioni manovrate – ovviamente – ma per punizioni e rigori, dove sembrava quasi infallibile.

Dal 1993 al 2015 ha scritto la sua storia con il San Paolo: 22 anni di carriera costruiti su 577 gettoni e 645 gol subiti. Ma 65(!) gol segnati, in un viaggio che non sembrava mai avere fine. Del resto, nessuno ha collezionato tante partite quanto Ceni.

Con 1197 gare disputate con la maglia del San Paolo detiene il record di presenze nella propria squadra, ma è anche il calciatore ad aver realizzato più presenze in un singolo club, dopo aver superato Noel Bailie, a quota 1013 con il Linfield.

Il mito delle punizioni

Ma dove nasceva questo talento, e poi questo mito delle punizioni?

Ceni ha sempre provato a calciare, si è sempre divertito nel provare cose apparentemente lontane dal suo modo di giocare. Poi, il 15 febbraio del 1997, dopo allenamenti da cecchino, gli viene data una possibilità.

União São João-San Paolo: è il campionato paulista e c’è una punizione dal limite. Va il portiere e tutti impazziscono, pur consapevoli delle doti balistiche di Ceni. “Magia!” ed è naturalmente rete, come nelle storie più belle.

Muricy Ramalho, allenatore del San Paolo dell’epoca, spiegò così: “Vedevo che Rogerio si allenava più di tutti sui calci di punizione e così, prima di una partita scioccai tutti dicendo che li avrebbe tirati lui. Era presente anche un dirigente, che quasi cadde dalla sedia”.

Dovette ricredersi, dovettero farlo tutti. Ceni era diventato in quel momento un’arma incredibile di un San Paolo bello e comunque vincente. Da Ceni, la spiegazione finale: “All’inizio calciavo dalle 2500 alle 3000 punizioni al mese in allenamento. Prima che avessi l’opportunità di farlo in partita, sono arrivato a 15000”.

Alla fine metterà insieme 64 gol, due in più dell’istituzione paraguaiana Chilavert – l’altro portiere più prolifico di sempre.

Sarà la seconda soddisfazione più grande della sua carriera, probabilmente. La prima? Aver portato il suo particolarissimo talento anche nella tanto desiderata nazionale brasiliana.

Esordisce nel 1997 e partecipa al Mondiale del 2002, come terzo portiere. Sì, ha anche un Mondiale in palmarés. E una storia incredibile alle spalle.