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Cosa condividono Braccio di Ferro, Johnny Bravo e Superman? Qualcosa che, evidentemente, deve aver ispirato anche Patrik Schick: la posa statuaria, plastica e orgogliosamente muscolare.

Certo, nel caso di Braccio di Ferro, Johnny Bravo e Superman parliamo di fumetti, film nella migliore delle ipotesi. Vale a dire, proiezioni artistiche di realtà (in)verosimili. Nel caso di Schick, al contrario, abbiamo a che fare con un ragazzo in carne ed ossa, con dei sentimenti – vallo a dire ai tifosi della Roma! – e una storia vera.

Ma cosa c’è di vero nella sua storia? Come è possibile che questo calciatore, da promessa mancata del calcio sia diventato – nel tempo di un battito di ciglia – una belva d’area di rigore, un realizzatore formidabile e il prototipo dell’attaccante moderno?

A questo, come per l’origine antropologica – e politica – dei tre personaggi di cui sopra, non c’è una risposta univoca. E pure, di Superman possiamo parlare in chiave superomistica e quindi nietzschiana; nel caso di Johnny Bravo, del piacione americano simbolo della realizzazione personale a stelle e strisce; per Braccio di Ferro, del marinaio mai domo un po’ sciocco ma in fondo responsabile, che tanto piaceva alle donne (Olivia) d’una volta. Per Schick, visto che parliamo di un calciatore, non si dà genealogia. Eppure, possiamo e dobbiamo ripartire dalla posa statuaria e muscolare di cui sopra.

Come è cambiato Schick

Quando segna, Schick esulta ormai quasi sempre allo stesso modo: allarga le braccia indurendone i bicipiti, poi sorride alla curva tradendo uno strano luccichio interno all’iride degli occhi. È lo shining, come lo ha definito magistralmente Stanley Kubrick.

Ma è anche, più pragmaticamente, la trasposizione epica dei 20 gol che Schick ha già segnato quest’anno in Bundesliga. Su 20 partite giocate. Quando il suo vice-allenatore ai tempi del Bohemians (Repubblica Ceca), Thomas Trucha, aveva detto che «Patrik quando è in campo si trasforma in un predatore», nessuno gli aveva creduto. Soprattutto i tifosi della Roma, che dopo averlo visto incantare – anche se per poco – alla Sampdoria si erano dovuti presto ricredere.

La vera svolta nella carriera del ceco avviene – come spesso capita ai più talentuosi – sotto il segno di un allenatore all’altezza, in grado di valorizzarne l’incommensurabile qualità tecnica. Parliamo di quel Nagelsmann che oggi lo osserva a distanza, da avversario e tecnico della squadra (il Bayern) e del centravanti (Robert Lewandowski) più forti di Germania.

Insieme a Timo Werner al Lipsia Schick cresce e ritrova la perduta fiducia sottoporta. L’esperienza al Leverkusen, iniziata con qualche balbettio a causa del cambio di allenatore, lo sta oggi ripagando del tempo perduto. Nel 4-2-3-1 pensato e finemente applicato da Gerardo Seoane – nome incredibile e terribilmente fumettistico, a proposito di personaggi immaginari – Schick è il finale perfetto di una storia d’amore scritta e diretta da Florian Wirtz, l’altro fenomeno del Leverkusen (prossimo avversario dell’Atalanta in Europa League).

Le statistiche mostruose di Schick

Il secondo inventa, il primo realizza. Ed è interessante allora capire come lo fa.

Perché Schick non è semplicemente quello del gol alla Bergkamp contro il Crotone (stagione 2016/17), né quello dell’eurogol ad EURO 2020 contro la Scozia da metà campo. Lo Schick 2021/22 è quello che segna di testa – meglio di lui solo Lewandowski –, che segna di destro e di sinistro, che è secondo – sempre dietro Lewa, che fa un altro sport – per expected goals (0.72). Dei 20 gol totali fin qui segnati in Bundes (0 in Europa League), Schick ne ha segnati 15 di piede (sui 34 tentativi totali nella porta avversaria). Il suo valore di mercato, da 28 milioni a settembre, è cresciuto a dismisura portandosi oggi a 40 milioni.

Schick segna un gol ogni 85’ (percentuale del 98%). Dei 20 totali fin qui segnati, solo 1 è stato realizzato dagli 11 metri. La percentuale di tiri tentati a partita è 3.60, con una conversione in porta dell’1.64%. La statistica va pesata.

Schick a differenza delle precedenti esperienze – anche quella di Lipsia, quando giocava in tandem con Werner – è il riferimento unico ed inequivocabile dell’attacco delle aspirine. È lui il terminale offensivo, e questa responsabilità gli ha fatto tirare fuori petto e muscoli – in tutti i sensi, come abbiamo visto.

Nel fraseggio le sue percentuali sono più basse rispetto agli scorsi anni: Schick completa il 72.5% dei passaggi effettuati verso i compagni. Ne tenta appena 19.43 a partita (completandone il 14.08%). Il dato davvero interessante è quello riguardante i tiri che portano ad altri tiri – vale a dire quei tiri che creano scompiglio a portiere e difesa avversaria, e che non concludono l’azione ma la tengono in stand-by: 0.41 (95%) a partita.

Schick, che si è evoluto, non ha però perso la proverbiale classe con cui lo avevamo conosciuto in Italia. Egli rimane un giocatore di un altro livello, di una qualità specifica – quella dei fuoriclasse: 0.26 è la percentuale dei dribbling ogni 90’. Di questi, l’86% va a buon fine. Tutte le volte che Schick ha tentato un tunnel in stagione, la palla l’avversario non l’ha vista più.

Dei 31.66 tocchi totali per 90’, Schick ne realizza 1.34 nella propria area di rigore, 6.47 in quella avversaria (con una capacità di conversione in occasione da gol dell’82%).

Per dirla con Rudi Völler, dg del Leverkusen che volle fortemente Patrik Schick nel 2020, parliamo di «un attaccante di caratura internazionale. La sua capacità di attaccare la profondità e la sua abilità realizzativa si sposeranno alla perfezione con il nostro sistema offensivo».

La citazione dell’attuale dg del Leverkusen risale al giorno dell’acquisto: chapeau. L’elegante cigno spaurito dei tempi di Roma è diventato un superuomo all’ombra di Leverkusen.