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Non tutte le storie sono fatte per brillare. Alcune cominciano con il passo emozionante della grande attesa e finiscono con l’eco triste dell’illusione. Il calcio, che vive di emozioni e molte di queste sono però immediate, sa essere crudele. Soprattutto con chi non risponde alle aspettative. E la Serie A 2024-25, fin qui, ha lasciato per strada più di qualche dispiacere.

Tra promesse mancate, partenze opache e talenti offuscati, cinque nomi spiccano su tutti. Koopmeiners, Douglas Luiz e Nico Gonzalez a Torino, Theo Hernandez a Milano, Taremi all’Inter: campioni che dovevano cambiare il volto delle rispettive squadre, e che invece sembrano rimasti impigliati nella ragnatela dei propri fantasmi.

TEUN KOOPMEINERS (Juventus)

“Oh, finalmente”. Si diceva così, no? Il suo arrivo a Torino era stato accolto come l’ingresso del direttore d’orchestra in una sinfonia che attendeva solo il suo tocco. Ma fin qui, Teun Koopmeiners ha più cercato di adattarsi che di dominare.

Pagato caro, inseguito a lungo, il centrocampista olandese sembrava l’innesto perfetto per il nuovo progetto targato Thiago Motta. Visione, equilibrio, capacità d’inserimento: tutte qualità che si sono però perse tra schemi ancora acerbi e una forma fisica mai veramente convincente. La sensazione è che Koopmeiners abbia giocato sempre a metà del suo potenziale, come se avesse un freno a mano emotivo che gli impedisce di osare.

I numeri parlano chiaro: 4 gol, 3 assist, pochissime giocate decisive. Ma è soprattutto la sensazione di passività che preoccupa. In un centrocampo che ha bisogno di leadership, Koopmeiners finora è sembrato più comparsa che regista. Forse l’adattamento richiede tempo. Forse serve un’idea più chiara attorno a lui. Ma la Juventus lo ha preso per guidare, non per mimetizzarsi.

DOUGLAS LUIZ (Juventus)

A proposito di Juve. In Premier League era l’anima dell’Aston Villa, il motore nascosto dietro le accelerazioni e le geometrie della squadra di Emery. A Torino, invece, Douglas Luiz si è ritrovato dentro a una macchina che non riconosce.

Con il suo arrivo, la Juventus pensava di avere finalmente un play moderno, capace di unire intensità e tecnica. Ma per tutto l’anno il brasiliano ha deluso su entrambi i fronti. Troppo lento nel pensiero per le esigenze del calcio italiano, troppo leggero nei contrasti per reggere i ritmi imposti da Motta, Douglas Luiz è sembrato spesso un corpo estraneo al gioco.

Anche lui, come Koopmeiners, ha risentito della confusione tattica iniziale. Ma se l’olandese almeno ha mostrato qualche fiammata, il brasiliano è apparso spento, prevedibile, quasi intimorito. Come se non volesse sbagliare più che cercare di sorprendere. Poi i problemi fisici: l’handicap più grosso.

NICO GONZALEZ (Juventus)

Nico Gonzalez doveva essere il lampo argentino nella nuova Juventus: l’elemento di rottura, l’esterno in grado di saltare l’uomo, creare superiorità, accendere lo stadio. Invece, per parecchie fasi, il suo arrivo è stato come un temporale che minaccia ma non arriva mai.

Tra infortuni muscolari, ricadute e prestazioni intermittenti, il talento ex Fiorentina non è riuscito a imporsi. E quando è sceso in campo, ha mostrato solo a sprazzi quella verve tecnica che a Firenze faceva sognare. Alla Juve, finora, è sembrato più un calciatore in via di guarigione che un’ala devastante.

Il suo problema non è solo fisico: è anche mentale. In una squadra che chiede concretezza, Nico spesso si rifugia nella giocata sterile, nella serpentina senza scopo. Manca il veleno sotto porta, manca l’incisività, manca – paradossalmente – la fame. E dire che la Juventus aveva puntato forte su di lui, sacrificando Chiesa sull’altare del cambiamento.

THEO HERNANDEZ (Milan)

Un tempo era l’uomo in grado di cambiare le partite con una sola corsa. Quest’anno, Theo Hernandez è sembrato invece l’ombra stanca di quel giocatore che faceva impazzire le difese. Il Milan, che si è aggrappato ai suoi senatori per tenere viva la speranza, si è ritrovato invece con un Theo svuotato, opaco, prevedibile. Fisicamente meno esplosivo, mentalmente distratto, il francese ha smarrito quella scintilla che lo rendeva devastante. Le sue cavalcate sono diventate rare, quasi temute da lui stesso. E in fase difensiva, non che fosse punto forte, le incertezze sono diventate più frequenti.

Nel Milan di Fonseca prima e Conceiçao poi, che ha cercato a lungo l’identità tra mille difficoltà, Theo avrebbe dovuto essere un faro. Invece sembra un’anima inquieta in cerca di sé. E questo, per chi lo ha visto dominare le fasce d’Europa, ha fatto male.

MEHDI TAREMI (Inter)

Lo avevano preso per garantire esperienza e alternative. Doveva essere il vice Thuram, il centravanti maturo, utile in campionato e micidiale nelle notti europee. E invece, Mehdi Taremi all’Inter si è trasformato in una figura ai margini, incapace di trovare un ruolo nella corazzata nerazzurra.

Classe 1992, protagonista al Porto, il centravanti iraniano ha vissuto l’atterraggio in Serie A quasi come uno choc. Lento, spesso in ritardo nelle letture, poco coinvolto nel gioco di Inzaghi, Taremi non è mai riuscito davvero a entrare nella rotazione. Le rare occasioni in campo hanno mostrato un giocatore spaesato, lontano parente di quello ammirato in Champions League.

Non è un problema di volontà – l’impegno non è mai mancato – ma di compatibilità. Con l’Inter che gioca in verticale, rapida, brillante, Taremi è apparso troppo statico.