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L’Inter del 1997/98 è pura nostalgia.

Lo è nelle immagini che evoca – su tutte l’abbraccio tra Ronaldo e Simoni, nei primi giorni d’allenamento della stagione -, lo è nelle magliette che ricorda – la terza era uno spettacolo incredibile -, nelle battute di Peppino Prisco e nel lavoro di Sandro Mazzola.

Nella costruzione, sì, di una squadra con la S maiuscola, che solo il destino (o chi per lui) privò di uno scudetto altrimenti meritato. Siamo nell’Italia forse calcisticamente più solida: le sette sorelle si dividono uno scudetto all’anno, dopo il grande Milan è il momento della grande Juventus.

E la grande Inter? Sta nascendo, per volontà del facoltoso e tifosissimo presidente, Massimo Moratti.

Moratti era ormai ossessionato dalla ricerca del successo, che fino a quel momento non era arrivato sotto la sua gestione: nell’estate del 1997, la mossa è quella di cambiare allenatore, di dare una nuova aria alla squadra.

La decisione arriva allora quasi d’istinto, pur ragionata: in panchina sarebbe andato Gigi Simoni, vecchia volpe e massima esperienza.

Aveva guidato il Napoli un anno prima, raccogliendo le macerie di una squadra ancora scossa dai successi e dall’addio ormai datato di Maradona: il girone d’andata era stato ottimo – gli azzurri addirittura secondi alle spalle della Juve -, poi per dieci turni il Napoli non ha più vinto e allora Ferlaino l’ha esonerato.

Poco dopo, alle cronache arriva la notizia: Simoni era già diventato l’allenatore dell’Inter.

Il mercato dell’Inter 1997-1998

ronaldo inter
Ronaldo esulta durante la sua prima stagione al’Inter

È l’estate del 1997. È luglio. È una stagione che appena iniziata, ha già riservato mille sorprese.

L’Inter mette a segno un numero incredibile di operazioni. Alcune minori, altre che avrebbero trovato un senso solo successivamente. Intanto c’è la questione Cruz: prima firma per l’Inter, poi va al Milan. Nel mezzo finisce la grande storia di Francesco Moriero, finito ai nerazzurri per poco più di una cifra simbolica e in grado pure di fare la differenza.

Dal Vicenza arriva Luigi Sartor, ex Juve; dall’Auxerre arriva Taribo West, un pilastro. A centrocampo, il Psg cede Benoit Cauet e oltre a Moriero, il grande colpo nel mezzo è Diego Pablo Simeone.

L’argentino aveva dimostrato doti fuori dal comune all’Atletico Madrid: in tre stagioni si era imposto come uno dei migliori interpreti del ruolo in tutta Europa. In più, una porzione di carriera l’aveva già vissuta in Italia, al Pisa, prima di passare al Siviglia e poi ai Colchoneros. Ergo: l’acquisto perfetto.

E così la pensava Simoni, che vedeva sfilare alla Pinetina campioni su campioni. Un altro era Ze Elias: dieci miliardi per strapparlo al Leverkusen. E con Delvecchio che intanto passava alla Roma e Kallon ancora in prestito al Bologna, c’era solo un grande colpo da fare: quello in attacco.

Meraviglia delle meraviglie, Moratti fa una follia da innamorato: 48 miliardi di lire per strappare al Barcellona Luiz da Lima Ronaldo. Il Fenomeno. Il colpo dell’estate veste nerazzurri, al suo fianco un uruguaiano tutto tecnica e talento: il Chino Recoba, che gli ruberà la scena nello storico debutto.

E, in uscita? Angloma al Valencia. Ferrari al Genoa. Pistone al Newcastle. Ince al Liverpool. Sforza al Kaiserslautern e poi Berti al Tottenham. Non erano i tempi in cui serviva “fare sacrifici sul mercato”. Tutt’altro. Basti vedere la sessione autunnale: Colonnese e Paulo Sousa a stagione in corso, tanto per gradire.

La rosa dell’Inter 1997-1998

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Moriero, vera rivelazione di quella stagione

Una squadra sostanzialmente fortissima, allenata da un tecnico preparato e navigato.

Cosa poteva andare storto? Ci arriveremo. Intanto, uno sguardo alla completezza della rosa: Pagliuca era il portiere della nazionale, Mazzantini e Nuzzo onestissime riserve; in difesa, c’era Beppe Bergomi agli sgoccioli di carriera con l’obiettivo Francia 1998; dietro di lui cresceva Javier Zanetti, Fabio Galante era già una certezza al pari di Salvatore Fresi. West però cambiò i piani, un po’ di tutti: nessuno si aspettava potesse prendersi l’Inter così. L’Inter poi di Paganin, mai stata di Sartor, in autunno anche di Ciccio Colonnese.

A centrocampo, Youri Djorkaeff guidava la corsa al talento, ma l’Inter si presentava ogni volta con una qualità in mediana superiore: Aron Winter, la geometria di Ze Elias, Cauet e poi Paulo Sousa. Moriero divenne presto il jolly da non farsi scappare, Simeone crebbe in una maniera tanto rapida quanto continua. Sbocciava a ogni partita.

In attacco, armamentario pesante: non solo il Fenomeno – cioè, soprattutto il Fenomeno -, ma il vecchio bomber Marco Branca, Nwankwo Kanu e Ivan Zamorano, infine Alvaro Recoba rimasto a prendere il posto di Maurizio Ganz partito in direzione dell’altra metà di Milano, con più di qualche recriminazione. Che dire?

La stagione

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Il momento decisivo della Serie A 97/98: il famoso contatto Ronaldo-Iuliano

Una rivoluzione in tutto e per tutto, negli uomini e nelle ambizioni. L’Inter partì a razzo, come meglio non poteva: 8 vittorie consecutive, solidamente in testa alla classifica dalla giornata 1.

In Coppa Italia passò senza avere problemi; in Coppa Uefa allo stesso modo. Ronaldo si confermava il fuoriclasse che ci si aspettava, ma alle sue spalle non c’erano i soliti noti: c’era Moriero, pagato un tozzo di pane dai cugini del Milan, ritrovatisi con un Cruz ormai alla fine della fiera.

Il 4 gennaio del 1998, arriva la prima gara della verità: è il derby d’Italia di San Siro. La Juve attacca e l’Inter resiste, poi Djorkaeff sistema i conti dopo una magia di Ronaldo: ora Simoni è ufficialmente candidato al titolo.

Il Derby di Milano arriva invece in Coppa Italia e qui c’è un pesante scricchiolio: 5-0 per i rossoneri, che passano e si involano verso le semifinali. Fu l’inizio di un piccolo tracollo, del quale la Juve prese forte vantaggio, conquistando presto il titolo di campione d’inverno.

E mentre in Coppa Uefa tutto andava per il verso giusto, nella lotta scudetto l’ambiente si surriscaldava sempre di più: 6 vittorie di fila, capitolo nuovamente aperto e Juve che perde terreno, fino a scivolare a una sola lunghezza di distanza. Alle semifinali europee con lo Spartak Mosca – doppietta di Ronaldo passata agli annali -, si contrapponeva l’attesa e la speranza di ogni domenica, con un chiaro appuntamento fissato in rosso sul calendario: 26 aprile 1998. JuventusInter.

Al Delle Alpi, la Juve sblocca il punteggio a metà del primo tempo: a segno il solito Del Piero. Nella ripresa, però, si fa la storia: scontro tra Ronaldo e Iuliano, Ceccarini che guarda e non fischia, la panchina nerazzurra che protesta ed entra in campo. Sul proseguimento dell’azione, West abbatte ancora Del Piero e causa calcio di rigore: dagli undici metri, il numero 10 si fa parare la conclusione da Pagliuca. Ze Elias sgomita Deschamps e prende il rosso, così come Simoni, fino all’ultimo dei suoi giorni con un angolo dei suoi pensieri dedicato a quei momenti concitati. La partita terminò per 1-0, vinse la Juve. Le discussioni si protraggono ancora oggi: ai tempi finirono pure in Parlamento.

La stagione? Fu comunque superlativa: vittoria in Coppa Uefa contro una fortissima Lazio, secondo posto e Champions League conquistata. Era la prima del Fenomeno, la prima di una grande Inter.