Il suo solo cognome evoca già eventi storici del passato, con la Libia al centro di scenari importanti dal punto di vista economico e sociale.
Ma malgrado Saadi Gheddafi sia il terzogenito del ben più noto Mu’ammar, leader massimo del paese nordafricano per quasi quarant’anni, la sua carriera è legata più che altro a situazioni imprenditoriali, giuridiche e calcistiche.
Tre aspetti però, che si incrociano in maniera quasi indissolubile, tanto che la sua stessa presenza (almeno in termini di statistiche) nella Serie A italiana, è più che altro frutto dell’intuizione di quel geniaccio di Luciano Gaucci, che intuì le sue potenzialità al di là del discorso puramente tecnico.
Il grande bluff
Partiamo proprio da un discorso meramente sportivo, là dove il buon Saadi Gheddafi si è preso subito il suo spazio in un paese che di fatto la sua famiglia dominava in lungo e in largo.
Oltre alle “naturali” cariche politiche infatti, Saadi ha mostrato subito il suo interesse per il mondo del pallone, tanto da essere schierato fin da giovanissimo nelle file di quelle che erano le squadre migliori della Libia.
Il suo esordio in patria proprio nel 2000, con la maglia del Al-Ahly di Tripoli, dove come centrocampista (un trequartista che spaziava un po’ dove voleva), mette a segno tre reti in 24 presenze. Poi il cambio di casacca, con i cugini del Al-Ittihad Tripoli dove la stagione successiva gioca una quarantina di partite chiudendo con 19 gol all’attivo, niente meno che il capo-cannoniere del torneo.
Un exploit che però non convince in pieno l’allora allenatore della nazionale Libica, Franco Scoglio, le cui reticenze nel convocarlo gli costarono la panchina. I motivi erano semplici, secondo l’allenatore italiano le sue prestazioni e i suoi gol erano arrivato soltanto per una certa reticenza nel marcarlo che non per suoi meriti (e il fatto che in pratica non si allenasse mai confermava il tutto).
Ciò nonostante, almeno nei tabellini ufficiali il suo nome era sempre tra i protagonisti. In campo, così come fuori, visto che alle sue spalle e soprattutto per le sue tasche, viaggiavano i capitali e gli investimenti di un paese intero. Fu per quello che a un certo punto, entrò in scena un personaggio incredibile come il patron del Perugia, Luciano Gaucci, che si inventò un trasferimento impossibile.
L’arrivo in Italia
Fin da ragazzo il figlio del leader libico dimostra un amore per il calcio molto accentuato che si riferisce soprattutto alla serie A, che negli anni 90′ all’epoca della adolescenza di Gheddafi jr era sulla cresta dell’onda. È capitato che il giovane rampollo fosse anche invitato a qualche allenamento di formazioni di A, come testimonia la foto di copertina di questo articolo che lo ritrae con Zoff e Gascoigne in una Lazio dei primi anni 90′.
Dobbiamo aanche pensare che Saadi Gheddafi non è solo un calciatore, anzi, in verità quello è paragonabile a un suo hobby. Una passione che si era manifestata prima nel campo con il passare del tempo si sostanzia anche con interventi imprenditoriali importanti, al punto di diventare azionista della maggiore società di calcio italiana (la Juventus, che è anche la squadra per cui ha sempre detto di tifare) oltre a essere impegnato con la Triestina, tramite la Tamoil (di cui è proprietario).
Insomma quando ci immaginiamo Luciano Gaucci seduto allo stesso tavolo con Saadi, stiamo pur certi che il loro primo argomento di discussione non è il calcio in quanto tale. Ne è semmai la conclusione di un discorso, quello in cui secondo alcune fonti, viene fuori quasi una battuta del giovane libico che esprime la sua voglia di giocare in Serie A. La risposta di Gaucci non è la classica risata che ci si sarebbe aspettati, ma un’intuizione su quello che potrebbe essere l’eco mediatico di un trasferimento considerato impossibile.
E così fu. Il nome di Saadi Gheddafi è sulle prime pagine di tutti i giornali, sportivi e non, come il primo calciatore libico (figlio di un Capo di Stato) a giocare in Serie A. Con tanto di un mega party di benvenuto che accoglie giornalisti e figure di spicco di praticamente tutto il mondo (anche in questo caso, non solo sportivo).
Il Perugia diventa così il centro del mondo calcistico per un breve periodo, e proprio nel suo momento di apice in una stagione che la vede non solo tornare alla gloria della Coppa Uefa (dopo aver vinto la Coppa Intertoto) ma anche arrivare a una storica semifinale di Coppa Italia contro il Milan. Peccato che invece il finale si rivelerà disastroso sotto tutti i punti di vista, per il Perugia e per Gheddafi.
Una stagione terribile
Saadi dal canto suo è al settimo cielo, il suo sogno della Serie A si è avverato, e con la maglia numero 19 del Perugia si appresta a calcare i campi di quello che è uno dei campionati più difficili del mondo. Il tutto per la modica cifra di trecento mila euro per una singola stagione di contratto. Briciole per lui, che l’avrebbe fatto anche gratis (anzi, probabile si sarà dovuto far carico di investimenti ben maggiori).
Ma c’è attesa in realtà anche dal punto di vista tecnico. Perchè Gaucci è noto per le sue scelte pazze, ma è anche vero che a volte dalle sue pazzie sono poi nate delle rose preziose (ad esempio Nakata).
Qua però la sentenza (negativa) è data da Serse Cosmi, che evidentemente non lo reputa all’altezza tanto da lasciarlo quasi sempre in tribuna salvo poche eccezioni in cui scalda comunque soltanto la sua sedia in panchina. Il giocatore libico torna però alla ribalta sulle pagine dei giornali, ma anche questa volta il calcio giocato c’entra poco.
Siamo a novembre, con zero minuti all’attivo e qualche rumors sulla sua vita extra calcistica, quando arriva la notizia della sua positività al “nandrolone” (che già aveva mietuto vittime importanti in quella stagione). Tra chi sostiene che sia tutto un complotto e chi invece lo attacca, il libico sceglie la diplomatica via del silenzio, accettando di buon grado i tre mesi di squalifica.
Mesi in cui segue la sua squadra da lontano, osservando impotente il declino in classifica che porterà a fine stagione alla retrocessione degli umbri (oltre all’eliminazione dalla Uefa ad opera del PSV nei sedicesimi e a quella contro il Milan nella semifinale di Coppa Italia). Non prima però di aver in qualche modo visto esaudire anche il suo ultimo sogno calcistico: giocare contro la sua squadra del cuore.
A tre giornate dal termine del campionato infatti, si gioca Perugia-Juventus, e a quindici minuti dalla fine trova spazio per la sua prima (e unica) apparizione in Serie A della stagione. Per la cronaca, gli umbri vinceranno quell’incontro e anche gli altri due a seguire (contro Roma e Ancona), ma non sarà sufficiente.
Gheddafi protagonista (fuori dal campo)
Le stagioni successive segnano due cambi di maglia, il primo con l’Udinese (dove ritrova lo stesso Serse Cosmi) e poi con la Sampdoria. Ma l’esito in campo è sempre lo stesso: una sola presenza in maglia friulana per un piccolo scampolo di partita. Poi nient’altro. Qualche panchina, qualche tribuna e tante feste.
La cronaca infatti racconta di un Saadi assoluto protagonista fuori dal campo, con eccessi di ogni tipo e una vita lussuosa e dissoluta. Tra feste, location da sogno, cibi prelibati e extra di ogni tipo, si narra di spese giornaliere nell’ordine delle decine di migliaia di euro. La sua è insomma più la vita di una rock star mondiale, che non quella di un calciatore professionista.
Quando per puro caso scende in campo (vedi quegli unici dieci minuti contro il Cagliari in maglia Udinese), appare decisamente fuori forma e quasi spaesato, ma certamente contento. Come può esserlo un bambino che può avere tutti i giocattoli che vuole, anche quelli più irraggiungibili. Almeno per un breve momento.
Una conclusione drammatica
La carriera calcistica di Saadi Gheddafi si può quindi riassumente in un grande bluff, dove una piccolissima percentuale di talento è servita a creare uno scenario al limite dell’impossibile. Quel tanto che basta da far apparire credibile una scelta sportiva, che aveva invece chiaramente mire economiche, mediatiche e politiche.
Ma il lato calcistico passa in secondo piano quando parliamo dei suoi ultimi anni. Dopo la caduta dell’impero libico creato dal padre infatti, è stato un calvario di prigioni e processi. La guerra in Libia del 2011 lo aveva costretto a rifugiarsi in Niger, salvo poi venire imprigionato nel 2014 nelle carceri di Tripoli.
Dalla vita lussuosa da Star, alle torture nelle carceri libiche, il passo è stato breve. Crimini di guerra, omicidi, erano tante le accuse che l’hanno tenuto imprigionato fino allo scorso anno, quando ha potuto respirare di nuovo aria di libertà, probabilmente in Turchia, dove può ricominciare una nuova vita.
E dove il calcio sarà ormai solo un lontano ricordo.