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Quante storie abbiamo letto in cui il calcio è stato uno strumento di riscatto sociale, di fuga dalla povertà per ragazzini cresciuti in zone degradate.

La costante di tutte queste storie in cui questi ragazzi si impongono i nei vari campionati e firmano contratti che tolgono loro stessi e le loro famiglie dalla povertà è sempre il talento e la volontà di affermarsi.

Tranne che nel caso di Carlos Henrique Raposo, l’uomo che riuscì a costruirsi una carriera da calciatore professionista senza mai imparare a giocare a pallone. Al posto di talento e abnegazione, Raposo sviluppò un’incredibile faccia tosta, che gli fruttò ricchi ingaggi per tutta la carriera, nonostante non fosse assolutamente in grado di giocare a calcio!

Un ragazzino delle favelas come tanti, ma che non sapeva giocare a calcio

Carlos Henrique Raposo nasce a Rio Pardo, nel sud del Brasile non troppo distante da Porto Alegre, il 2 aprile 1963. La sua infanzia non è stata per nulla agiata: a 10 anni viveva in una discarica, e nonostante la sua passione per lo studio, la madre (che da lì a poco sarebbe morta di cirrosi epatica causata dall’alcolismo) lo obbligava a giocare a calcio, in maniera da poter portare a casa un po’ di soldi.

Entra nelle giovanili del Botafogo, ma poi la madre cede il suo cartellino ad un procuratore che lo lega a sé con una clausola milionaria. Non potendo riscattare il suo cartellino, continua a cercare nuovi ingaggi in maniera da poter versare la percentuale al suo procuratore.

Ecco quindi che arriva a giocare nelle giovanili del Flamengo, per poi trasferirsi in Messico al Puebla a 16 anni e brevemente anche negli Stati Uniti con i Patriots di El Paso.

In questo periodo però si rende conto che a parte una certa forza fisica e un discreto tiro, non possiede minimamente le qualità per poter fare il calciatore professionista.

Torna in Brasile, al Botafogo, ma a 20 anni capisce che la sua carriera da calciatore è già agli sgoccioli. Nonostante non amasse per nulla la vita dell’atleta però Raposo si rende conto di amare la vita del calciatore, con tutti gli agi e i privilegi che comporta.

Ecco che quindi il suo scopo diventa quello di continuare a fare il calciatore, pur non essendone capace.

L’importante non è saper giocare a calcio, ma essere nella squadra

Carlos Henrique inizia ad essere soprannominato Kaiser non si sa bene perché (alcuni dicono per una certa somiglianza con Beckenbauer, altri perché il suo fisico ricordava una bottiglia di birra dallo stesso marchio).

Grazie ad una certa somiglianza, si spaccia per Renato Gaucho con le donne, ovvero quel Renato Portaluppi che avrebbe poi indossato anche la maglia della Roma impressionando nelle notti della dolce vita della capitale piuttosto che sul campo. Gli copia l’acconciatura, si veste come lui, e sfrutta il suo nome per folleggiare nei locali di Rio de Janeiro. 

Quando Portaluppi lo scopre, Carlos Henrique si deve nascondere nel bagno di un locale per evitare il confronto con il suo “alter ego”. I due però poi si chiariranno e diventeranno grandissimi amici. Con il tempo inizia a stringere amicizia con i veri calciatori al di fuori dal campo da calcio, nei locali notturni e nelle camere d’albergo che affittava e riempiva di prostitute per tutti i compagni.

Vero e proprio procacciatore di donne e divertimento delle notti, generoso e disponibile ad aiutare i compagni ad ogni occasione, era impossibile che non venisse preso in simpatia negli spogliatoi, nonostante sul campo di allenamento fosse praticamente un fantasma.

Se giocava nelle partitelle di allenamento, faceva attenzione a farsi trovare sempre nelle zone di campo opposte a dove c’era la palla: se la squadra attaccava, lui rientrava in difesa, se l’azione si spostava sulla fascia destra, lui si allargava a sinistra.

Quando gli allenatori iniziavano ad insospettirsi, trovava qualche compagno che gli doveva un favore disposto a commettere qualche entrata dura in allenamento che lo costringesse a rimanere a riposo.

In un’epoca in cui le risonanze magnetiche non erano ancora diffuse, i medici sociali dovevano fidarsi della sua parola nel determinare i fastidi fisici che lo costringevano fuori dal campo. Se poi si doveva rendere necessario qualche consulto medico, c’era sempre un amico dentista disposto a firmargli dei certificati medici che attestassero la sua indisponibilità.

Da un’ingaggio all’altro, senza mai giocare, fino all’Europa

Senza mai scendere in campo in partita Raposo diventa comunque amico dei migliori calciatori brasiliani, da Renato Gaucho a Romario, passando per Ricardo Rocha, Djalminha che sarà anche suo testimone di nozze, Bebeto, Andrare, Careca, Edmundo, Marinho e via dicendo.

Ogni volta che cercava un nuovo ingaggio, poteva contare su queste amicizie eccellenti e su un curriculum veritiero ma dai particolari gonfiati ad arte. Era decisivo poi qualche tocco di teatro, come un finto telefono cellulare con cui faceva finta di parlare con i presidenti dei grandi club, in maniera da spingere i suoi interlocutori a chiudere le trattative in fretta per superare una concorrenza inesistente.

Una volta firmato il contratto e incassato l’anticipo, Raposo iniziava la sua trafila di finti infortuni, arrivando anche al punto di non ricevere più lo stipendio. Non gli importava più di tanto: era già pronto a ripetere la recita con qualche altra squadra, e a incassare così l’anticipo su un nuovo contratto.

Arriva anche in Europa, ingaggiato dal Gazelec Ajaccio sulla scia dell’ottima presentazione fatta di lui dal connazionale Fabinho. Ma al momento della firma del contratto, viene presentato nel piccolo stadio della città corsa, stracolmo di tifosi curiosi di vedere all’opera il nuovo “talento” brasiliano della squadra.

Capendo di dover improvvisare per non tradire le sue misere doti tecniche, Carlos Henrique indossa la maglia, ma invece che palleggiare e dare mostra delle sue capacità tecniche, bacia lo stemma della magia e afferra una bandiera della Corsica, avvolgendosi con essa e salutando il pubblico con slogan corsi!

Una volta acceso l’entusiasmo della folla, iniziò a calciare i palloni in tribuna, “omaggiando” così i tifosi per il loro calore e nascondendo le sue lacune tecniche.

Addirittura il titolo di campione carioca

L’esperienza in Corsica si concluse, ovviamente, senza nemmeno una presenza ufficiale, così tornò in Brasile, a Rio de Janeiro, dove una sera assistette ad una rissa in cui fu coinvolto un centrocampista del Fluminense.

Carlos Henrique si prese la colpa al posto del collega, il quale per sdebitarsi gli fece avere un colloquio con il presidente del club  Fábio José Egypto da Silva. Millantando accordi commerciali con una società francese, riuscì a strappare un ingaggio con la squadra per la stagione 1987/88.

Le cronache sportive ci consegnano addirittura 15 presenze, mai da titolare, di Raposo con la maglia del Fluminense che a fine stagione conquista il campionato statale carioca. Nel palmares di Raposo compare quindi, incredibilmente, anche la dicitura di Campione dello Stato di Rio de Janeiro.

Passa in seguito al Vasco de Gama, continuando la sua opera di procacciatore di donne e divertimenti per tutta la squadra, organizzando feste di ogni tipo, e fingendo infortuni su infortuni, tanto che la società chiese al famoso massaggiatore e santone Pai Santana di ricorrere anche alla magia nera per guarirlo. 

Raposo continuò la carriera poi in squadre minori, firmando ad un certo punto anche per il Bangu, di proprietà di Castor de Andrade, famigerato uomo d’affari brasiliano che gestiva il più grande giro di scommesse del paese. Un giorno, mentre il presidente è in tribuna ad assistere ad una partita, l’allenatore gli chiede di iniziare a scaldarsi perché sarebbe entrato in campo.

Entrando in campo Raposo avrebbe smascherato il suo bluff davanti al presidente, per cui mentre si riscaldava a bordocampo colse il pretesto di un tifoso che lo insultava per il suo taglio di capelli e scatenò una rissa con i supporter avversari, ottenendo di essere espulso ed allontanato dal campo prima ancora di entrare in campo.

Negli spogliatoi fu raggiunto da un furioso Castor de Andrade, ma Raposo gli spiegò che la causa scatenante della rissa erano stati gli insulti rivolti proprio al presidente, che per lui era come un secondo padre, e che non era riuscito proprio ad ignorare. Colpito da tale lealtà, Castor lo abbracciò e gli prolungò il contratto di altri sei mesi.

Raposo Oggi: che fine ha fatto il “kaiser

“Le squadre illudono un sacco di giocatori, qualcuno doveva pur vendicarli”.

Carlos Henrique Raposo

Ritiratosi dal calcio giocato nel 2003, ha reso nota la sua storia solo nel 2011, vedendosi dedicato quindi prima un libro nel 2018 e poi un film-documentario, Kaiser: Il più grande truffatore della storia del calcio, nel 2019.

Oggi Carlos Henrique Raposo dice di guadagnarsi da vivere onestamente, facendo il personal trainer ad una selezionata clientela femminile.

Della sua carriera costruita sulle menzogne e sugli inganni, nessun rimpianto.