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Qual è la capitale del Brasile? Roma. E c’è pure l’Imperatore. Scherzi del destino, stavolta a tinte giallorosse, e più che ridere oggi ai tifosi dell’AS Roma potrà scendere una lacrimuccia. Perché siamo pronti a fare un tuffo nel passato – glorioso e anche meno – della squadra capitolina. E perché il focus sarà sui tanti giocatori brasiliani passati per l’Olimpico.

Spoiler alert, ma inutile: non sono tutti Falcao, ma non sono nemmeno tutti Gerson. Roma è stata casa ospitale e ostile per tanti giocatori arrivati dalla parte verdeoro del Sud America. C’è chi ha fatto innamorare e chi ha illuso: storie di vita, che proviamo a ricordarvi qui in basso.

I brasiliani della Roma: TOP

Falcao: perché non si poteva non partire da lui. Da Paulo Roberto Falcao, l’Ottavo Re di Roma, come prima di lui l’attaccante Amadeo Amadei, come dopo di lui tale Francesco Totti. E’ stato uno dei centrocampisti più forti della storia del calcio e ha giocato solo in tre squadre: sei anni all’Internacional, cinque alla Roma, uno al San Paolo. In giallorosso colleziona oltre cento presenze mettendo a segno 22 reti e solo un brutto litigio con Dino Viola lo allontanerà dalla Capitale.

Aldair: il gran capitano. Flamengo, Benfica (e finale di Champions), poi l’amore viscerale con Roma e la romanità. Acquistato da Viola nel 1990, Aldair si fa presto un simbolo della squadra, restando in giallorosso per ben 13 anni. In pochi come lui, anche umanamente: rinuncerà alla fascia di capitano nel 1999 per cederla all’allora talento emergente Francesco Totti. Insieme vinceranno uno scudetto bellissimo.

Alisson: tra i più forti di sempre. Ed è una storia strana, quella di Alisson alla Roma. Perché dopo l’acquisto nel luglio del 2016, i primi mesi non sono affatto facili, tant’è che diventa la riserva di Szczesny. Dopo le prime partite in Europa League, approfitta della cessione del polacco alla Juventus e si dimostra il portiere più forte del campionato. Poi del mondo. Ma quella è giò una storia a tinte Liverpool.

Cafu: il pendolino. Che nel gennaio del 1995, appena diventato campione del mondo con il Brasile, si trasferisce al Saragozza e poi il rientro al Palmeiras del gruppo Parmalat. Sembrava scritto il suo passaggio al Parma, invece fu la fortuna giallorossa su segnalazione di Falcao. Nel 1997, il passaggio in Italia, il debutto sotto i carichi di Zeman, lo scudetto per mano di Fabio Capello. Incredibile ma vero: il passaggio al Milan arrivò a zero, la Roma non rinnovò perché lo ritenne un giocatore finito. Occhio lungo…

Cerezo: il professionista. E se avete capito il riferimento, avete colto anche la grandezza di Cerezo nella Roma di metà anni Ottanta. Arriva in Italia nel 1983 e vi resta per nove stagioni, iniziando nella Roma più forte: quella delle due Coppe Italia del 1984 e 1986 e soprattutto della finale di Coppa Campioni, persa contro il Liverpool. Ah, poi ci sarebbe quel 2 marzo 1986: due rigori sbagliati nella stessa partita.

Da Costa: il bomber. Ottavo posto nella classifica dei marcatori della Roma in Serie A. Detiene tutt’oggi il record assoluto dei gol segnati nel derby di Roma, con 12 reti. Una storia d’amore immensa, durata appena cinque anni e mezzo.

Doni: la sorpresa. Dopo l’arrivo per soli 18mila euro dalla Juventude, Doni diventa il secondo portiere straniero della storia della Roma. Il titolare era Curci, poi Spalletti si accorge di lui: nasce una storia bella e intensa. Sei anni di grandi picchi e qualche basso.

Emerson: il puma. Da ventidue milioni di dollari. E al primo allenamento? Una bella rottura dei legamenti del ginocchio sinistro, fuori sei mesi. Per fortuna, Emerson è sempre stato di una tempra durissima. E fu decisiva l’accoglienza della piazza nei suoi confronti: alla presentazione della squadra all’Olimpico, nell’anno che poi avrebbe portato allo scudetto, il suo nome fu accompagnato da un’ovazione. Pianse lacrime di gioia. E tornò per vincere.

Juan: l’altro capitano. Un signore della difesa. Preso dal Bayer Leverkusen e impostosi per ben cinque anni ad altissimi livelli. Non a caso parliamo di uno dei migliori difensori del Brasile degli ultimi trent’anni.

Maicon: il veterano. Dopo aver vinto tutto con l’Inter, sembrava a corto di benzina. E invece ne aveva, Maicon. Eccome. Fino alla fine, fino all’ultimo. A supportare la Roma di Spalletti.

Mancini: e quel gol al Lione. Primo flash quando si pensa al passato di Amantino Mancini alla Roma: una rete di una bellezza pura, giusta cornice di un quadro di ben cinque anni ad altissimi livelli, con 40 gol e 154 presenze. Poi fu chiamato da Mancini, l’attuale CT, all’Inter. Poi il Milan. Poi il declino. Ma che anni all’ombra della Capitale, dal 2003 al 2008.

Marquinhos: il giovane rampante. Un solo anno alla Roma, appena diciottenne, e già titolare e fortissimo punto di riferimento per i giallorossi. Il passaggio al PSG non fu indolore, nonostante i 31,4 milioni di euro sborsati dal PSG.

Paulo Sergio: l’ultimo del tridente. E cioè quello con Delvecchio e Totti, prima di Montella. Siamo nel 1997 e siamo nella Roma di Zeman. Pur non vincendo, Paulo Sergio diventa un idolo della tifoseria. Saranno stati quei 25 gol in poco più di 60 presenze…

Simplicio: il semplificatore. E pupillo di Spalletti, che nella sua prima versione romanista non rinuncia praticamente mai a lui. Arrivato dal Palermo nel 2010, Simplicio si era fatto voler bene da tutti, tecnici e tifosi. Soprattutto i compagni: perché portava palloni e segnava, toglieva le castagne dal fuoco e rifiniva. Due anni di vero impegno. Sempre apprezzato.

Taddei: trionfo di nostalgia. Con nove anni di Roma all’attivo. Nel 2005, arrivò alla Roma a costo zero e per anni è stato un titolare di una squadra fortissima, allenata ai tempi da Luciano Spalletti. Era noto per l’amore verso i colori giallorossi: “Quando indosso questa maglia mi trasformo. Io mi sento di Roma e sono romanista, è come se fossi nato qua”.

Zago: l’altra metà della scelta di Falcao. Che aveva ben consigliato Cafu, che con Zago fu sforunato ma non impreciso. Anche perché il giocatore meritava, e ad innamorarsene fu ancora Zeman. Pronti, via e nell’esordio dopo pochi minuti viene pure espulso. Con la Roma arrivò il salto di qualità, comunque.

I brasiliani della Roma: FLOP

Adriano: l’imperatore perduto. Dopo essersi “rirpeso” con la maglia del Flamengo, prova a tornare in Italia dopo le parentesi Parma, Fiorentina e soprattutto Inter. Sceglie la Roma, posando il giorno della presentazione al Flaminio con una sciarpa particolare: “Mo’ te gonfio” (ed era sovrappeso, ben visibile). Debutta in Supercoppa, ma non trova continuità. A gennaio è già finita.

Baptista: stagioni mai riscattate. Frase presa in prestito da una celebre telecronaca di Carlo Zampa, noto telecronista tifoso dei giallorossi. Eppure Julio arriva con grandi aspettative dal Real Madrid. Saranno proprio queste a tradirlo nei tre anni di Roma.

Dodò: troppo giovane. E troppo fragile, come dimostrato anche all’Inter. Trenta partite in due anni, poca consistenza.

Fabio Junior: arriva coi crismi di fuoriclasse dal Cruzeiro, alla Roma nel 1999 si rivela un attaccante normalissimo. Trenta miliardi di lire per il “nuovo Ronaldo”: Zeman gli fece capire più volte che avrebbe preferito Shevchenko. E in effetti…

Gerson: altro investimento perso. Diciassette milioni di euro, ecco quanto spende la Roma che lo porta in Italia nel gennaio del 2016. Parte subito male: non c’è posto per lui, poiché extracomunitario. Rifiuta il Frosinone e torna alla Fluminese. Rientrato ancora a Roma, fa sempre panchina. Prova a riprenderlo Di Francesco, fa pure gol, ma proprio non si integra.

Julio Sergio: il miglior terzo portiere al mondo. Citazione spallettiana, che infatti lo farà debuttare dopo un problema di Doni e le prestazioni opache (eufemismo) di Artur, che più avanti descriveremo. Buon inizio, poi la scena di Brescia-Roma per sempre nel cuore dei tifosi. Ma gli infortuni gli precludono un futuro radioso, portandolo sempre più in difficoltà fino alla bocciatura di Montella.

Marquinho: che senza ‘s’ si fa fatica. Arrivato come centrocampista di qualità, di Marquinho – due stagioni a Roma – si ricordano sei mesi in prestito al Verona. Lì dimostrò qualcosa, in giallorosso troppo discontinuo.

Vagner: pupillo di Zeman. Dopo due anni di assoluta qualità al Santos di Pelé, venne richiesto da Zeman per il centrocampo della sua Roma. Otto miliardi di lire: va via dopo 10 presenze in due anni.

Artur: il disastro. Nell’agosto del 2008, arriva un altro portiere brasiliano dal Cesena. Otto novembre 2008 e Doni dà forfait: entra lui, e da titolare giocherà contro Bologna, Sampdoria, Torino e Milan in campionato. Dalla sfida con la Juve, Spalletti lo accantona preferendogli Julio Sergio. Aveva sbagliato, e tanto. Finì per essere il quarto portiere della rosa.