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Quando Giampiero Boniperti e Alessandro Del Piero si sono ritrovati al centro dello Stadium, mentre tutto intorno si inaugurava una nuova era, la sensazione più feroce dei presenti fu quella di un passaggio di testimone storico. Non solo per il momento che stava vivendo la Juventus, ma per l’importanza che in quell’istante ricopriva lo stesso capitano e il numero 10 bianconero: era il tramite della vecchia e nuova squadra, era sceso negli inferi della Serie B e avrebbe concluso quell’annata da campione d’Italia.

Ecco: nessuno si aspettava più un Ale trascinatore. Gli anni gloriosi erano passati, lo stesso Del Piero era consapevole che quello sarebbe stato l’ultimo scampolo di vita bianconera, anche se non avrebbe voluto mai ammetterlo tra Antonio Conte e Andrea Agnelli. Eppure, in quelle chiacchierate così potenti, in quel momento in cui Boniperti e Del Piero sono stati di fianco, la storia della Juve ha smesso di resistere nei libri e si è fatta volti, si è fatta ricordi vocali.

Soprattutto, è emerso alla memoria di chi c’era e di chi l’ha studiato, quei giorni in cui a Torino si affacciava un giovane fantasista dal Padova: aveva i capelli lunghi – e già questo mandava fuori il Presidentissimo – e un talento smisurato. Era d’origini venete e si sentiva dall’accento. Era destro e poteva anche crescere all’ombra del mancino di Baggio. Era ormai e subito pronto a esplodere, per questo non si perse tempo.

La prima volta di Del Piero alla Juventus

Nell’estate del 1993, Alex Del Piero aveva diciannove anni. Le prime partite nel Padova erano arrivate un anno prima: all’età di 17 anni, nel marzo del 1992, sotto la guida di Bruno Mazzia, era subentrato a Putelli nella partita con il Messina. Aveva vissuto una stagione e mezza da giovane rampante e poi da protagonista assoluto. Ecco perché la Juve non voleva farselo scappare: 5 miliardi di lire subito al Padova, compreso il cartellino di Bonaiuti. Per il Dieci, un sogno: era cresciuto nel mito di Platini e della squadra campione del mondo 1982, quasi tutta bianconera. Trapattoni, allora tecnico, lo portò con sé in ritiro, ma la decisione della società fu quella di donargli del tempo. Più tempo. Prima mossa: andare in Primavera, all’epoca allenata da Cuccureddu.

Nel frattempo, le occasioni: l’esordio contro il Foggia il 12 settembre del 1993, al posto di Ravanelli. Tre giorni dopo, la chance in Coppa Uefa, contro la Lokomotiv Mosca. Una settimana dopo, il gol contro la Reggiana. E la prima tripletta, poi, dopo qualche mese: 4-0 con cui la Juve batté il Parma. Tutti si accorsero di qualcosa di diverso, di un talento cristallino e di una storia pronta a sbocciare insieme alla grande crescita vissuta dai bianconeri. Da lì in poi cambierà tutto e tutto sarà attorno ad Ale: arrivano Giraudo, Bettega e Moggi; c’è Umberto Agnelli a dirigere dietro le quinte la Juventus, l’Avvocato a innamorarsi perdutamente di questo talentino in grado di essere decisivo così giovane. In panchina, un feeling schietto con Marcello Lippi.

Nella stagione 1995-1996, Del Piero diventa allora il punto focale, a tal punto da oscurare Roby Baggio, che nella stagione successiva deciderà di emigrare verso altri lidi. Con Vialli e Ravanelli, sotto la guida di Lippi, la Juventus è una squadra meravigliosa, in grado di cambiare costantemente passo e di tenere un ritmo superiore alle altre. La svolta offensiva della squadra permette a Del Piero di essere il talento creatore del gioco: Vialli rifiniva, Ravanelli correva per tre, Ale si sacrificava ma aveva anche modo di creare quella superiorità numerica fondamentale.

L’esplosione di Del Piero

Il 13 settembre del 1995 arriva il primo gol in Champions League, con quello che sarà il suo marchio di fabbrica: un tiro a giro sul secondo palo. Sarà proprio quella competizione a dargli la consacrazione definitiva, a renderlo forse il talento più cristallino e atteso sull’intera scena mondiale: 5 gol consecutivi nelle prime cinque partite – solo Morata ci riuscirà, 20 anni dopo – più la rete fondamentale al Real Madrid, squadra da sempre colpita con il suo destro. Erano i quarti di finale, la partita probabilmente più difficile di tutte: un video girato da Vialli, e presente su Youtube, racconta la felicità di un ragazzo che non vuole lasciare gli spogliatoi alla fine della partita. In quella notte, il piccolo Alessandro è diventato Del Piero. Al tredicesimo gol stagionale, con la prima e fortissima candidatura al Pallone d’Oro, poi vinto (per alcuni inspiegabilmente) dal tedesco Sammer.

Quella Champions, ecco, sappiamo com’è andata a finire: con un tagli di barba certamente discutibile, Ale Del Piero prese la coppa e la sollevò a più riprese sotto il cielo di Roma. Ma non fu quello, il Del Piero ‘prime’, come si dice in gergo: la versione più forte, più matura, più completa di ADP arrivò un anno più tardi, nel 1997 che gli consegnò la vittoria (con gol decisivo) in Intercontinentale contro il River Plate, poi la prestazione superba con il Psg nella doppia finale di Supercoppa Europea (autore di una doppietta e di due assist). Peccato per uno strappo muscolare insidioso: gli tolse due mesi, lo privò probabilmente anche del riconoscimento di France Football, finito non immeritatamente al Fenomeno, Ronaldo.

E’ solo il primo di una serie di piccoli acciacchi, che consegneranno a Del Piero anche la dote della resilienza, poi acuita dalle finali di Champions perse. Dopo una stagione ad alti livelli tra il 1997 e il 1998, finito nuovamente nella lista per il Pallone d’Oro, Alex raggiunge quasi il grado di onnipotenza: è il primo aprile del 1998, contro il Monaco, tripletta superiore in grado di fargli superare Platini per numero di gol in Champions. 5 gol nella fase a gironi, altri 5 in quella a eliminazione diretta: 10 reti totali in Europa, da sommare ai 21 in campionato e uno in Coppa Italia. 32 gol, ecco, non le aveva mai fatte. Proprio mai. Quell’anno aprirà le porte anche alla grande beffa dell’infortunio (gravissimo) al ginocchio. Per tanti, il vecchio Del Piero non è più tornato. Eppure, i record di una Signora come la Juve, sono stati tutti battuti.