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Alessandro, detto Alex, più affettuosamente Ale, non immaginava di fare la storia della Juventus il giorno in cui, poco più che sedicenne, c’era stato il primo approccio di un club così grande nei suoi confronti.

‘Grande’ non per la storia, ma per la dimensione che rappresentava: Ale era un ragazzino di Conegliano, era cresciuto nella campagna e accompagnato ogni giorno da papà agli allenamenti.

Non sognava, quel grande: certi scorci di provincia ti incatenano lì anche con i pensieri. Eppure sapeva del suo talento. Gli piaceva essere sempre il più forte (specialmente quando giocava con gli amici di suoi fratello). Era orgoglioso delle prime chiamate a casa, per proporgli un futuro così diverso.

Aveva scelto Padova anche per questo: per avere una tappa intermedia, per atterrare con entrambi i piedi saldi al suolo al momento del salto. Uno alla volta, quasi trattenendo tutta quella qualità. Questa era l’idea primordiale: poi in qualche mese sono arrivati debutto, attenzioni, offerta, Boniperti, la Juventus.

A testa bassa e con i capelli “troppo lunghi“, Del Piero ha fatto il passo verso Del Piero. Da ragazzino a uomo. E da uomo a simbolo.

Da simbolo a giocatore più importante (e più presente) di una storia sì grande come quella della Juventus.

I primi passi

Nell’estate del 1993, grazie a Boniperti, firma il suo primo contratto da professionista. Per Ale era un sogno: non aveva mai nascosto il tifo per i bianconeri, era cresciuto con la Juve del Trap e se l’era ritrovato nella seconda versione della sua vita juventina. Inizia con Cuccureddu (altro mito), l’esordio a Foggia e il gol – ormai famosissimo – alla Reggiana già alla seconda alla Juve: palla che balza sinistro a incrociare e Del Piero che si prende la Juventus.

Nella prima stagione porta a casa 14 gettoni, un campionato, una Coppa Italia e la Coppa Uefa. In quella successiva, è la Juve a cambiare: un infortunio porta Baggio sempre più lontano da Torino.

Ora: prendere il posto di Baggio, capitano e comunque simbolo della Juventus, non è un esercizio comune. Ci voglio spalle forti e Del Piero ha dovuto irrobustirle gara dopo gara, facendo innamorare sempre più i tifosi, ormai pronti a mettere Roby in un angolo preferendogli il ‘ragazzo’.

La Juve non si lascia scappare l’occasione: si svincola dal “peso” di Baggio e lancia Del Piero. Nel 1995, con Luca Vialli e Fabrizio Ravanelli, il tridente lo chiude proprio Alex. Finisce come tutti sanno: con la Coppa dei Campioni tra le braccia di Del Piero. In pochi anni, era diventato più grande dei suoi sogni.

L’infortunio: mai più lo stesso Del Piero

La Coppa Campioni. L’Intercontinentale con il gol al River Plate. La Supercoppa con due gol e due assist al Psg. La finale persa col Dortmund e quel gol come un urlo strozzato in gola.

Il Del Piero di quegli anni è semplicemente irresistibile: nel 1996 tutti si aspettano che vinca il Pallone d’Oro, ma alla fine vince Sammer. Nel 1997, Ronaldo lo supera nettamente, e l’appuntamento sembra comunque solo rimandato. Semplicemente, dopo il Fenomeno nerazzurro, c’è quello bianconero.

Nel 1998 supera Platini per numero di gol in Champions League (nessuno ha segnato quanto lui) e ancora una finale lo aspetta a fine stagione: stavolta c’è il Real Madrid e un’altra delusione dietro l’angolo.

Niente, però, paragonato al dolore più forte della sua carriera: sul campo dell’Udinese, nel tentativo di calciare gli crolla il ginocchio. Si tratta di lesione del legamento crociato anteriore e posteriore. È durissima. E le lacrime sono inevitabili, così come l’intervento chirurgico negli Stati Uniti. Servirà una riabilitazione di 9 mesi: stagione finita dopo 8 partite.

Per tanti, sarà l’inizio di un piccolo crollo per “Pinturicchio”, come lo chiamava l’Avvocato (che ben presto lo soprannominò “Godot” per l’attesa): da quel crack Del Piero faticò a rientrare, a dare continuità alle sue prestazioni, ai colpi, ai guizzi.

Erano anche gli anni di Ancelotti: i risultati offuscarono spesso il suo sacrificio. Il gol al Bari, dedicato al padre appena scomparso, l’immagine di quelle stagioni.

Capitano e poi bandiera

A proposito di padri: la Juve nel 2001 torna nelle mani di Marcello Lippi. Per Del Piero è una notizia esclusivamente positiva. Intanto è capitano della squadra, promosso da dirigenza e compagni nonostante la permanenza di Antonio Conte.

Poi torna nelle migliori condizioni per far bene: in quella stagione, con 16 gol solo in A, Alex è decisivo per il ritorno allo scudetto. E nell’annata successiva arrivano 10 gol nelle prime 7 partite. Sembrava di fatto un ritorno al passato, idealizzato anche dal percorso in Champions: ma ancora una volta, la Juve si ferma in finale, nonostante Del Piero capocannoniere.

Dal 2004 al 2006, il rapporto con Fabio Capello è invece molto discusso: a Torino è arrivato un attaccante forte, drastico, nel suo gioco qualitativo ci mette tanto fisico e strappi. È l’opposto di Alex e per questo a tratti sembra funzionare molto di più. Zlatan Ibrahimovic è un freno alle ambizioni di Del Piero e anche per questo ci mette un po’ prima di raggiungere Bettega e poi Boniperti.

Alla fine, con una tripletta alla Fiorentina, diventa il miglior cannoniere di sempre nella storia della Juventus. Quando sembrava a un passo dallo strappo in estate, forse la prima e unica volta, Calciopoli irrompe sui bianconeri. Del Piero è davanti a una scelta: andare in B con la sua squadra del cuore, provare esperienze altrove. Aveva appena vinto un Mondiale da protagonista. Poteva andare ovunque.

La serie B, la rinascita, l’ultimo anno

Alla fine? È andato a Rimini. Dove si giocava la prima gara della storia della Juventus in Serie B: in quell’anno è il capocannoniere della squadra, lo sarà anche nel primo anno in A dopo la rifondazione.

Nel 2007, Del Piero raggiunge 500 presenze con la Juve: solo Scirea e Furino ce l’hanno fatta. Con la doppietta all’Arezzo (di Conte), regala il ritorno in Serie A ai bianconeri.

È l’inizio di un percorso particolare: la Juve non era ancora tornata la vera Juve, eppure con Ranieri era riuscita subito a rientrare nella top 4, dunque a regalarsi la Champions League. A proposito: il 2008 è un anno candido.

Il 5 novembre è un giorno meraviglioso. Ale, da capitano, riesce a battere il Real dei nuovi Galacticos con una doppietta al Bernabeu che gli vale la standing ovation. Anche Diego Armando Maradona si alza e applaude: tra dieci c’è una connessione rara.

Con l’amico Ferrara non va, con Delneri il feeling non è mai quello giusto (nonostante le giochi quasi tutte). Ma è con il presidente Andrea Agnelli, insediatosi nell’estate del 2010, che qualcosa di rompe.

Agnelli è il primo a immaginare una Juventus senza il Capitano, senza la bandiera. Alex ha invece ancora voglia di giocare: quando tutto sembra andare verso un saluto, la contromossa del dieci è quella di pubblicare un video in cui annuncia l’intenzione di firmare un contratto in bianco. Agnelli è messo alle strette. Si arriva a un accordo freddo. Un altro anno, poi l’annuncio del presidente: “Sarà il suo ultimo”. ADP non era stato avvisato, evidentemente.

Così come per Totti, e chissà per quanti altri, Del Piero ha un’uscita sul retro della sua storia.

Neanche l’arrivo di Conte – con il quale il rapporto è cordiale, ma il cambio di fascia non è stato certo dimenticato – gli offre una grande occasione di riscatto.

L’inaugurazione dello Stadium è il suo ingresso ufficiale nella hall of fame, anche se ancora da giocatore. Lo scudetto a fine anno, invece, è un regalo inaspettato del destino. Sul quale mette persino lui la firma, nonostante la manciata di apparizioni.

Prima l’Inter, poi la Lazio. Infine, il saluto commosso con l’Atalanta. Era finita l’era del più forte, tra le lacrime e l’incredulità di tanti. Fa anche questo, l’amore incondizionato.