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“What I want you to do is this: Go to the basketball court. Stay at the basketball court. You can build your entire existence there” (“Quello che voglio che tu faccia è questo: vai al campo da basket. Resta al campo da basket. Puoi costruire lì la tua intera esistenza”). Nella sua lettera di addio alla palla a spicchi, “Letter to My Younger Self”, scritta nel 2016 in occasione del suo ritiro, Walter Ray Allen ripercorse sostanzialmente la sua vita, ricordando di aver avuto uno scopo ben preciso: allenarsi e crescere su un campo da basket.

È proprio su quel rettangolo che si forgiò, che crebbe come uomo, che conobbe persone e realizzò il suo sogno, ovvero diventare un professionista in Nba. Il resto, come si suol dire, è storia: Ray diventò uno dei migliori tiratori di sempre, il migliore a livello di meccanica, e condusse, da protagonista, Celtics e Heat agli anelli del 2008 e 2013. Giocherà contro i suoi eroi Michael Jordan e Clyde Drexler, scenderà sul parquet al fianco di Kevin Garnett, Paul Pierce, Lebron James e Dwayne Wade, disputando ben 18 stagioni nella National Basketball Association.

On the road

Nato a Merced (California) il 20 luglio 1975, Allen ebbe una giovinezza caratterizzata da diversi spostamenti. Suo padre era membro dell’Air Force e lui, Ray, dovette spesso cambiare città e scuola, dovendo stringere ogni volta nuove amicizie con ragazzi che non aveva mai visto prima. Da Northern California alla Germania, da Oklahoma all’Inghilterra, da Southern California a South Carolina, di posti ne girò tantissimi. E questo gli permise di sviluppare un carattere forte e resistente, di rimanere lucido e concentrato anche nei momenti più difficili, oltre ad avere una certa disciplina e cura dei dettagli. Appena possibile, trascorreva del tempo su un campo da basket: voleva migliorare e diventare un vero e proprio giocatore di pallacanestro, senza avere rimpianti.

Amante dei libri e salutista, giocò alla Hillcrest High School dal 1989 al 1993, per poi indossare la canotta degli UConn Huskies fino al 1996 sotto il comando del leggendario allenatore Jim Calhoun. Quei tre anni e quei duri allenamenti lo portarono a rendersi eleggibile al Draft 1996: dopo Allen Iverson, Marcus Camby, Shareef Abdur-Rahim e Stephon Marbury, i Timberwolves lo chiamarono con la pick 5, anche se effettuarono subito uno scambio con i Bucks. La carriera di “Candyman” iniziò dunque a Milwaukee, al contrario di quella di Marbury che sbarcò a Minnesota.

I primi anni

Ray indossò la maglia dei Bucks dal 1996 al 2003. Nelle prime due stagioni, la franchigia del Wisconsin non raggiunse la post-season, mentre nelle due successive annate saranno i Pacers a giustiziare Milwaukee al primo turno di playoff. Allen si migliorò anno dopo anno, raggiungendo stabilmente 20 o più punti di media a partita, e, con George Karl in panchina (2000-01), i Bucks compirono enormi passi in avanti, eliminati solo alle Eastern Conference Finals per mano dei 76ers di Iverson e Mutombo.

Poi un’altra stagione e mezza senza particolari risultati e a quel punto la prima svolta: il 20 febbraio 2003 Ray Allen fu ceduto da Milwaukee a Seattle in un trade che, con un percorso inverso, portò ai Bucks Gary Payton e Desmond Mason. I Supersonics si assicurarono le prestazioni di un giocatore in grado di fare qualsiasi cosa su un campo da basket: una guardia abile in uscita dai blocchi e nel tiro da tre punti, anche buttandosi indietro; abile a schiacciare e a difendere forte sulle guardie avversarie, insomma un all-around player in un certo senso. Eppure, nonostante il nativo di Merced diede il meglio di sé dal 2003 al 2007 (sempre sopra i 23 punti di media in RS), Seattle agguantò i playoff solo nel 2004, uscendo al secondo turno per mano degli Spurs. Allen voleva di più, voleva sostanzialmente una squadra da titolo: un’opportunità che gli si presentò nell’estate del 2007.

Il primo titolo

Lo scambio che cambiò la vita a “Mr Clutch” avvenne il 28 giugno 2007. Allen e Glen Davis si trasferirono a Boston in cambio di Delonte West, Wally Szczerbiak e Jeff Green (quinta scelta assoluta). Dopo undici stagioni senza anello, Ray si unì alla corte di coach Doc Rivers e creò il trio delle meraviglie insieme a Kevin Garnett e Paul Pierce.

Nell’annata 2007-08, Ray contribuirà al più che positivo record stagionale (66-16), realizzando 17.4 punti (quasi il 40% da tre), 3.7 rimbalzi e 3.1 assist di media. I Celtics, dopo aver battuto in rapida sequenza Hawks, Cavs e Pistons nei primi tre turni playoff, arriveranno alle Nba Finals e neanche i Lakers di Bryant riusciranno a fermarli. La guardia di Boston chiuse a quota 20.3 punti ad allacciata di scarpa la serie, migliorando le sue medie della RS e difendendo nel miglior dei modi proprio su Kobe. Le finali si conclusero con un netto 4-2 per i biancoverdi, regalando ad Allen il primo titolo della sua gloriosa carriera.

Boston proverà nuovamente l’assalto all’anello, ma si infrangerà contro il muro dei Magic nel 2009, contro quello dei Lakers nel 2010 (ancora alle Finals) e quello degli Heat nel 2011 e 2012. Finì così un ciclo, che portò Ray ad una scelta non particolarmente apprezzata dai suoi storici compagni di squadra: unirsi a Miami e tentare un nuovo assalto al titolo.

Il secondo anello

James, Wade e Bosh erano appena saliti sul trono Nba nel 2012 (battuti i Thunder) e credevano che un aiuto in più, in questo caso Allen, sarebbe potuto servire per un possibile back to back. Il nativo di Merced firmò un contratto triennale, alla ricerca nuovamente della gloria.

E proprio alla prima annata in maglia Heat, Ray risultò decisivo per la conquista del titolo: sotto di 3 punti a circa 5.2 secondi dal termine di gara 6 delle Finals contro gli Spurs – questi ultimi avanti 3-2 nella serie – Allen trovò l’equilibrio e mise a referto un tiro di vitale importanza. La sua tripla, dopo rimbalzo offensivo di Bosh, permise alla squadra di Spoelstra di agguantare il pareggio e poi di vincere il match al supplementare. San Antonio si sgretolò ad un passo dal traguardo, perdendo anche gara 7 e regalando a Lebron e compagni una nuova gioia. Ancora una volta era risultata decisiva la sua perfetta meccanica di tiro, insegnata anche ai giovani di oggi come esempio da seguire.

Flavio Tranquillo celebrò il canestro dello “specialista” degli Heat con una frase che tutti i fan e i tifosi all’ascolto probabilmente pensarono nel momento in cui videro quelle immagini: “Tre punti, tutta la vita. Tiro impossibile, nessuno può segnare questo tiro se non si chiama Ray Allen”.

Per altro, la mattina dopo aver vinto le Finals, Ray si alzò intorno alle 8: non riuscendo a dormire, prese la macchina e si diresse dal suo dentista, quest’ultimo incredulo per la visita inaspettata visto il momento di gloria. Unico.

Il ritiro

L’evento appena descritto, ovvero la vittoria del 2013, sarà l’ultima pennellata della carriera di Allen. Gli Heat infatti caddero alle Finals 2014 proprio contro gli stessi Spurs battuti un anno prima: questa fu l’ultima stagione di Ray, il quale, tramite la lettera descritta in apertura, annunciò il ritiro nel 2016.

Un ragazzo partito da lontano e che a piccoli passi arrivò a realizzare quello che per lui era un sogno. Insomma, la sceneggiatura perfetta di un film spettacolare. Un film che ha visto Ray Allen interpretare come meglio non avrebbe potuto la sua parte, proprio come fece durante le riprese dell’ormai celebre “He Got Game” di Spike Lee (con Denzel Washington) del 1998, di cui fu il protagonista e che gli regalò il soprannome di “Jesus Shuttlesworth”.

Chiuse la sua carriera a quota 1300 partite giocate in Regular Season e 24.505 punti segnati, senza dimenticare le 2979 triple mandate a bersaglio (più le 385 ai playoff). Vinse un oro a Sidney 2000 con Team Usa e, inutile dirlo, venne inserito nella Basketball Hall of Fame nel 2018.