Veniva chiamato “Il Postino” per quella sua innata capacità di dispensare pallacanestro ogni volta che scendeva in campo. Era costante e il suo rendimento non passò inosservato nel corso della sua carriera: Karl viene infatti ricordato come una delle ali grandi più forti di sempre e come una delle icone degli Utah Jazz degli anni Novanta, capaci di raggiungere per ben due volte le Nba Finals. Come successo per il suo collega John Stockton, Malone non vinse mai un titolo Nba, “consolandosi” con due medaglie d’oro olimpiche a Barcellona 1992 e Atlanta 1996. Una vita, quella di Malone, animata anche da alcune vicende controverse.
Dalla Louisiana all’Nba
Il 24 luglio 1963 mamma Shirley diede alla luce il nono figlio, Karl Anthony Malone. Nacque a Summerfield, in Louisiana, una zona povera e in cui la famiglia Malone possedeva una fattoria. Il padre, Shendrick, si spinse però fino al suicidio quando Karl aveva solo tre anni: quella tragedia portò Shirley a dover badare, da sola, ai suoi nove figli. Lavorò molto per assicurare la vita ai suoi ragazzi e lo stesso Karl, come gli altri fratelli e sorelle del resto, fu costretto a dare una mano.
E dopo aver dominato per tre anni con la canotta della Summerfield High School, Karl scelse il college di Louisiana Tech, abbastanza vicino a casa per poter continuare ad aiutare la sua famiglia in caso di bisogno – rifiutò altri atenei, come quello dell’Arkansas. Dal 1982 al 1985 rimase al college (nel 1984 portò l’università al torneo Ncaa) e addirittura venne selezionato dal leggendario coach Bobby Knight per alcuni allenamenti in vista delle Olimpiadi di Los Angeles 1984. Verrà scartato, come successo al futuro compagno di squadra John Stockton: i due si conobbero meglio alla mensa del campus di Indiana e, da quel momento, si instaurò un sincero rapporto, fortificatosi negli anni.
Nel 1985 si rese eleggibile per il Draft Nba. Con la scelta numero 1 i Knicks si assicurarono Pat Ewing; con la numero 7 i Warriors chiamarono Chris Mullin, mentre, appena dietro, i Mavs scelsero Detlef Schrempf e i Cavs Charles Oakley. Nello stesso Draft in cui Joe Dumars finì ai Pistons con la numero 18 (una vera e propria “steal”), i Jazz chiamarono con la pick 13 proprio Karl Malone. Il dado era tratto.
“Stockton to Malone” alle Finals
Malone disputò 18 stagioni con la casacca di Utah, giocando stabilmente al fianco di Stockton. Karl chiuse con almeno 20 punti di media in 17 annate consecutive in RS (31 punti ad allacciata di scarpa nel 1990), mantenendosi costante anche ai playoff. Anche i rimbalzi (per ben 10 anni andò in doppia cifra di media) e la difesa non furono mai un problema per Karl, il quale risultò un giocatore a tutto tondo, sempre disponibile e presente a dare una mano in campo, pur essendo una stella.
Le sue prestazioni, rese eccellenti anche dalla connection con Stockton, lo portarono a vincere anche il premio di Mvp della Regular Season in ben due occasioni (1996-97 e 1998-99), senza dimenticare le numerose apparizioni all’All Star Game (di cui fu Mvp per due volte) e i riconoscimenti nel miglior quintetto difensivo.
Il Postino, artista anche del tiro dalla media, condusse i suoi Jazz alle Finals 1997 e 1998, anche se l’anello, come detto più volte su questi schermi, sfumò a causa del dominio dei Chicago Bulls. Proprio Michael Jordan rubò il pallone più importante della carriera dalle mani di Karl Malone in gara 6 delle finali 1998: sul capovolgimento di fronte, MJ segnò il tiro decisivo, senza che Stockton riuscisse a replicare dall’altra parte nei secondi mancanti.
E, ad onor di cronaca, proprio nel 1998 Malone partecipò ad un incontro di wrestling: a “Bash at the Beach” (WCW), affiancato da Dallas Paige, sfidò Hulk Hogan e soprattutto Dennis Rodman (suo avversario anche in campo), perdendo nuovamente – un membro dell’NWO si intrufolò sul ring e permise a Hogan e Rodman di vincere l’incontro, chiaramente in una maniera non propriamente corretta.
Da Salt Lake City a Los Angeles
Al momento del ritiro dall’Nba del suo storico compagno John Stockton, Karl decise di unirsi ai Lakers per provare a raggiungere ciò che gli mancava: il titolo. E dunque, nell’estate 2002, il Postino diventò un giallo-viola. Il team era una parata di stelle, a cominciare da Shaquille O’Neal e Kobe Bryant, passando per Gary Payton e Rick Fox, fino ad arrivare a Derek Fisher, Devean George e Luke Walton.
Un roster stellare che riuscì a vincere 56 gare in stagione regolare e capace di regolare i Rockets di Yao Ming, gli Spurs di Tim Duncan e i Timberwolves di Kevin Garnett nei primi tre turni di playoff, prima delle Finals. Ad attendere Malone e compagni c’erano i Detroit Pistons guidati da Rip Hamilton, Chauncey Billups e i due Wallace, Rasheed e Ben. In quella che sarebbe stata la sua ultima stagione, Malone saltò diverse partite in regular season (ne disputò solo 42 sulle consuete 82), anche se tornò in tempo per la post-season e nella finalissima viaggiò a 5 punti e 7.3 rimbalzi di media. Ancora una volta, l’anello sfumò sul più bello: quei Pistons imposero il proprio modo di giocare e vinsero senza troppe difficoltà la serie.
Proprio ai Lakers si rese però protagonista di un fatto negativo, come del resto successe in altre fasi della sua vita. Karl e Kobe ruppero i rapporti in seguito ad una dichiarazione controversa da parte dello stesso Malone: “Sono a caccia di una bella messicana”, aveva detto alla moglie di Kobe, Vanessa Bryant, nel 2004. Una frase che non era passata inosservata, specie perché diversi anni prima, quando era un ventenne (si parla del 1984), Karl mise incinta una ragazzina di appena 13 anni. Quest’ultimo fatto non ebbe chissà che clamore mediatico (visti anche i tempi), dato che la stessa famiglia della bambina non sporse denuncia – per quanto il tutto non si mai stato chiarito.
La fine
Tornando alla palla a spicchi, il Postino ha potuto comunque consolarsi con alcuni record. In particolare, oltre ad essere stato inserito nella lista dei 50 migliori atleti della storia dell’Nba e nella Hall of Fame a pieno diritto, Karl ha concluso la sua carriera a quota 36.374 punti segnati, dietro solo a Kareem Abdul-Jabbar e Lebron James. I Jazz hanno anche deciso di ritirare la sua maglia il 24 marzo 2006, rendendo onore ad un artista del parquet come lui. Pur senza anello, ha comunque avuto la possibilità di gioire: nel 1992 e nel 1996 Karl si è portato a casa due medaglie d’oro con Team Usa, facendo parte anche del famosissimo Dream Team.