Georgetown, New York, Seattle e Orlando: sono state queste le quattro tappe dell’illustre carriera di Patrick Ewing, uno dei centri più forti di sempre nella storia dell’Nba. Gioco in post-basso, schiacciate, jumper dalla media, difese fisiche e stoppate, insomma il suo arsenale in campo era infinito. È riuscito a vincere un titolo Ncaa e due medaglie d’oro con gli Stati Uniti (1984 e 1992), ma ha mancato l’obiettivo più importante, l’anello Nba, pur essendoci andato molto vicino ai playoff 1994 con la maglia dei Knicks, franchigia con cui ha riscritto la storia degli anni Novanta.
Georgetown e Draft
Nato a Kingston in Giamaica il 5 agosto 1962, Ewing si trasferì in Massachusetts all’età di 12 anni e ben presto otterrà anche il passaporto americano. La sua gloriosa storia cestistica iniziò alla Georgetown University, con gli Hoyas che furono una delle squadre più temibili di quegli anni. Tre sono le finali Ncaa raggiunte da Ewing e dalla sua Georgetown, con un solo successo: la prima nel 1982 (sconfitta in finale dal jumper di Michael Jordan), la seconda nel 1984 (vittoria contro la Houston di Olajuwon) e la terza nel 1985 (sconfitta contro Villanova).
E dopo essersi guadagnato anche la medaglia d’oro alle Olimpiadi estive di Los Angeles 1984, il centro degli Hoyas venne chiamato dai Knicks con la pick numero 1 al Draft 1985 (Mullin alla 5, Oakley alla 9, Malone alla 13 e Dumars alla 18), una scelta che pagò buoni dividenti a New York. Ewing, per altro, si guadagnò il titolo di Rookie dell’anno, grazie ai 20 punti, 9 rimbalzi e 2.1 stoppate messe a referto di media nel primo anno in Nba.
I Knicks non raggiunsero i playoff nel 1986 e neanche nel 1987, ma già l’anno successivo, con Rick Pitino in panchina, New York assaggiò la post-season, sconfitta dai Celtics al primo turno. Sempre Pitino guidò i Knicks al secondo turno del 1989 (sconfitta contro i Bulls), poi nel 1990 la svolta, con la firma prima di John Starks (playmaker di 191 centimetri che giunse a New York senza i favori del pronostico) e successivamente di Pat Riley, quest’ultima nell’estate 1991.
Gli anni Novanta
Partiamo dalla fine. Dopo la sconfitta alle Finals 1999 contro gli Spurs di Tim Duncan e David Robinson, il presidente dei Knicks (e poi anche del Madison Square Garden) Dave Checketts scelse di premiare la squadra per il lavoro fatto in quella stagione. Contro ogni pronostico New York raggiunse la finalissima e dunque Checketts decise di regalare a tutti i componenti del gruppo un orologio Movado con il bracciale d’argento e il quadrante blu: la scritta recitava “New York Knicks, 1999 Eastern Conference Champions”. C’è ovviamente un motivo per cui il presidente dei Knicks, colui che creò e plasmò la New York degli anni ’90 a livello di roster, prese questa decisione. Quei Knicks, composti da un gruppo di giocatori che lottavano su ogni possesso, vennero bollati come una squadra “quasi vincente”, dato che non agguantarono mai l’anello e dunque era doveroso riconoscere in qualche altro modo la grandezza di un team che il titolo lo sfiorò in diverse occasioni.
Come detto, fu l’arrivo di Pat Riley a cambiare le carte in tavola e Ewing risultò il principale attore di una New York che gettò letteralmente il sangue sul parquet. Patrick era un centro dinamico e dalla mano morbida: poteva attaccare profondo dal post-basso oppure trovare il fondo della retina con un jumper dalla media, era un grande rimbalzista e anche uno stoppatore, insomma su entrambe le metà campo poteva dire la sua. Ai playoff 1994, i Knicks affrontarono, oltre ai New Jersey Nets al primo turno (3-1 la serie), anche le due grandi rivali degli anni Novanta: i Chicago Bulls (privi di sua maestà MJ) al secondo turno e gli Indiana Pacers alle Eastern Conference Finals. In entrambi i casi, si raggiunse gara 7 e New York risultò parecchio cinica, battendo sia i Bulls sia soprattutto i Pacers alla “bella”. E proprio contro Indiana, Ewing si rese protagonista di una prestazione da consegnare ai posteri nel più classico dei “win or go home”, piazzando 24 punti, 22 rimbalzi, 7 assist e 5 stoppate, oltre alla schiacciata a 26 secondi dalla fine che, di fatto, risultò decisiva.
Le due finali amarissime
Come già anticipato su questi schermi, anche le Finals 1994 si chiusero al settimo atto della serie. New York sfidò i Rockets di Hakeem “The Dream” Olajuwon e ne uscì con il morale sotto i piedi. Questo perché, sul vantaggio di 3-2, i Knicks si fecero rimontare e, anche a causa della pessima prestazione in gara 7 di Starks, caddero per mano di una Houston guidata proprio da Olajuwon, protagonista indiscusso delle sette battaglie. Ewing concluse in doppia-doppia di media (18.9 punti e 12.4 rimbalzi, oltre a 4.3 stoppate), ma Hakeem risultò semplicemente in stato di grazia, conducendo i Rockets ad uno storico titolo.
Ai playoff del 1995, Ewing segnò il canestro della vittoria in gara 5 contro i Pacers (Eastern Conference Semifinals), ma nell’ennesima gara 7 sbagliò il tiro del possibile vantaggio ad una manciata di secondi dal termine. Reggie Miller chiuderà i conti dalla lunetta e i Knicks verranno eliminati proprio al Madison Square Garden.
La Grande Mela dovette aspettare altri quattro anni prima di potersi godere nuovamente l’atmosfera delle Finals. E la squadra era stata decisamente modificata a livello di roster: via Starks e Oakley, dentro Sprewell, Houston, Camby e soprattutto Larry Johnson. I Knicks, la cui panchina fu affidata a Jeff Van Gundy, raggiunsero la post-season da testa di serie numero 8, ma compirono una cavalcata clamorosa, superando Miami, Atlanta e la solita Indiana in rapida sequenza e raggiungendo, da underdogs, la finalissima contro San Antonio. La vera beffa però avvenne nel bel mezzo della serie contro i Pacers: gli esami strumentali segnalarono la lacerazione parziale del tendine d’Achille di Patrick Ewing. New York, grazie a Larry Johnson, ottenne comunque le Finals (prima testa di serie numero 8 a riuscirci), ma ad un prezzo altissimo, ovvero la perdita del suo faro. Ed infatti in finale non ci fu storia: gli Spurs passeggiarono su una New York comunque coriacea, capace di vincere una gara nell’emergenza più totale. Checketts, proprio in virtù della resilienza mostrata in campo e della stagione straordinaria, regalò il sopracitato orologio Movado, anche se, probabilmente, tutti avrebbero preferito un vero e proprio anello, Ewing compreso.
Epilogo
Il centro ex Hoyas chiese e ottenne uno scambio nel 2000, direzione Seattle Supersonics. Giocò 79 partite, prima delle 69 disputate con la canotta di Orlando, franchigia con cui concluse la sua gloriosa carriera. Nel 2003, al Garden, venne ritirata la sua maglia numero 33, con la quale è diventato uno dei migliori 75 giocatori della storia Nba, pur senza anello. La sua carriera da allenatore è iniziata nel 2002, da vice coach dei Wizards, passando poi a Houston, Orlando e Charlotte, sempre con lo stesso ruolo. Dal 2017 al 2023 è tornato a casa, da capoallenatore di quella Georgetown che condusse al titolo Ncaa da giocatore nel 1984. A completare la sua splendida carriera da Hall of Famer è l’oro conquistato a Barcellona 1992 con l’unico e inimitabile Dream Team.