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C’era una volta la difesa a tre più famosa d’Italia, ben prima che fosse regola e non eccezione, ben prima che si parlasse di superleghe e blasoni milionari. C’era una volta una favola: durò poco e qualche motivo è intuibile, ma aveva ugualmente tutti i crismi del racconto epico. Del Davide che corre tanto forte quanto Golia e che da provinciale mette in moto una squadra forte, non qualitativamente eccelsa, però compatta e ‘necessaria’ per poter competere a certe altezze senza accusare il dislivello.

E allora, eccoci al quattordici settembre del 2005. Una notte magica, come davvero in pochi l’avevano immaginata. La Cenerentola del girone C di Champions League non dà spazio, fiato, modo al Panathinaikos di riprendersi dopo una sberla. Pardon: tre sberle. Perché quel gruppo di giovani, forti e terribili, capitanati da chi un anno dopo sarebbe diventato Campione del Mondo, ha cambiato per sempre il modo di intendere la parola e la squadra Udinese.

Le scelte

Era l’esordio nell’Europa che conta. E tutto il Friuli, in festa, accoglieva con la speranza di stupire ma con la certezza che sarebbe stata durissima.

In panchina, un Serse Cosmi in versione normalizzatore: all’entusiasmo dei suoi e della piazza, continuava a predicare calma e a dare consigli. Sapeva benissimo quanto contasse quell’incontro, quanto un primo passo giusto avrebbe dato la molla mentale ai giocatori. Quanto, davvero, avrebbe dato consapevolezza e ambizione. Certezze che poi il mister avrebbe messo nel bagagliaio di una stagione durissima, terminata ben oltre la metà classifica, con 17 sconfitte e appena 43 punti in classifica.

Ecco, quelli saranno i piani disastrosi del maggio successivo; nella brezza di settembre c’è ancora l’illusione di poter cambiare per sempre il proprio destino. Svelato il motivo per il quale Cosmi non si fermava esclusivamente sul non prenderle: la difesa era pesante, ma l’attacco leggerissimo. Di Natale, l’estro, la fantasia, il dieci, a supporto delle involate e della profondità di Iaquinta, stavolta orfano di Di Michele. In mezzo, Zenoni e Candela sugli esterni; Vidigal, Obodo e Muntari a centrocampo. Il trio difensivo con Juarez, Natali e Felipe; De Sanctis in porta.

I greci, allenati da Malesani, rispondono con un modulo speculare, nel quale Torghelle lavora da punta unica. Sono una squadra collaudata: conoscono l’ambiente, giocano da una vita in Champions e alla musichetta, insomma, non ci saranno particolare patemi. Differentemente dai bianconeri: qualche gamba tremerà all’inno Champions, è anche normale che accada.

La missione

Ora: l’ambizione primaria era frenare il fraseggio corto del Pana. Rompere il loro gioco e magari far volare gli esterni, con Iaquinta pronto a dettare passaggi in avanti o movimenti sul primo palo. Ed ecco che, come da programma, Zenoni s’invola sulla destra e lancia un pallone interessante sul secondo palo: è un assist calibrato, Iaquinta di testa è impossibile da fermare e gonfia la rete alle spalle di Galinovic. Tripudio. Gioia. Urla forsennate. Sarà anche stonato dalla botta, ma Vincenzone quel coro lo ascolterà dal primo all’ultimo istante.

Oh, ricordate quel lavoro di testa a cui ambiva Cosmi? Ne sa davvero troppe. E troppe ne ha viste. Mai, però, aveva visto la sua Udinese correre così tanto e così bene (no, non sono azioni correlate).

Più volte, invece, aveva visto l’attacco profondo di Iaquinta, che dopo aver lasciato spazio e tempo alle occasioni di Vidigal e Di Natale, piazza nuovamente le luci di una notte storica su di sé. Proprio Di Natale corre in avanti sull’ennesimo recupero della difesa: con i greci schierati, Iaquinta detta il passaggio, che arriva con i giri perfetti.

Tocco morbido e il centravanti s’invola verso il portiere: serpentina e destro a porta vuota. Spettacolo. Ma ancor più bello sarà il gol del definitivo 3-0: giocata al volo e sinistro che bacia il primo palo. Come? Sì, prima di testa, poi di destro, quindi di sinistro. Totale.

Cosmi, chiaramente, esulta e si esalta. Regala una standing ovation a Totò Di Natale, sostituito a fine gara da Di Michele. Iaquinta fallirà per due volte il poker, ma non conta più nulla: Berenquerença, arbitro della gara, ha fischiato la fine della partita che lancia il sogno Udinese. Presto, troppo presto, trasformatosi in illusione.