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I corsi e i ricorsi storici. Poi, la rincorsa verso la storia. Un gioco di parole che non potrà mai raccogliere l’emozione – fortissima – di un attimo, ma che può dare la misura di come sia stato determinante in un processo enorme, ben più grande di quella singola partita. Dinamo Kiev-Inter, quel 4 novembre del 2009, è stata esattamente una resurrezione.

I nerazzurri erano spacciati, condannati all’eliminazione appena cinque minuti prima della fine della partita di Kiev. Nessuno osava immaginare una rimonta, eppure bastava un gol: erano stati annichiliti e colpiti persino nelle speranze.

Sempre Sheva

In quel momento, l’Inter si trovava infatti all’ultimo posto nel girone con la Dinamo Kiev: aveva accumulato appena 3 punti in classifica, con l’ultima gara al Camp Nou di Barcellona tutta da giocare e possibilmente da vincere. A proposito di corsi e ricorsi storici: chi era stato, fino a quel momento, il giudice del destino interista? Andriy Shevchenko, un passato storico al Milan e una sfilza di derby decisi dal suo talento cristallino. Aveva segnato lui, con un tiro deviato e per questo efficace: il vantaggio ucraino sarebbe stato il colpo definitivo per l’ambizione europea di una squadra che in Italia non smetteva di vincere. Che avrebbe dovuto consacrarsi in Europa, però: perché altrimenti certi cicli rischiano di valere la metà.

Cinque minuti per ribaltare una sorte. Non per pareggiare – sarebbe stato inutile – ma per portare a casa l’unico tesoro in grado di alimentare l’illusione prima e il sogno poi. Ma facciamo un passo indietro. Mourinho aveva appena recuperato Sneijder, e nonostante una forma precaria aveva deciso di non poter fare a meno dell’olandese. L’aveva allora piazzato alle spalle di Milito ed Eto’o. Stankovic arretrava sulla linea dei centrocampisti, Zanetti e Cambiasso a coprirgli le spalle. Chivu sull’out mancino, Lucio-Samuel a completare, con i brasiliani Maicon e Julio Cesar. Gli ucraini partivano invece spavaldi: Sheva agiva sugli esterni con Yarmolenko dall’altra parte e Milevsky punta centrale. A Kiev, neanche a dirlo, la serata è ghiacciata. Infima. Brutta gatta da pelare.

Dopo un buon inizio nerazzurro – Sneijder ci prova subito e sfiora la traversa -, gli ucraini iniziano a macinare gioco, occasioni, speranze. E’ il minuto 21 quando Shevchenko sfrutta una sponda di Milevsky e beffa Julio Cesar. Il sinistro è velenoso, Mourinho è esterrefatto. Ma non lo dà mai a vedere, sebbene la mancanza di idee nel gioco nerazzurro sia palpabile, indifendibile. Soprattutto, preoccupante.

I cambi

Nella tempesta, dopo un paio di occasioni sparse di Eto’o e Milito, Mourinho non resta a guardare la sua Inter spaesata. Rompe gli indugi, chiama Thiago Motta e poi avvicina Balotelli: entrano subito, a inizio ripresa. L’offensiva nerazzurra si fa offensivissima, alla trazione anteriore, di tanto in tanto, il tecnico portoghese predica calma ma in particolare sacrificio. Del resto, sarebbe bastato un contropiede, un guizzo di Sheva, e il sogno Champions avrebbe mandato in onda i titoli di coda.

Ma le grandi imprese sono per chi non ha paura di rischiare. E Mou, da questo punto di vista, è sempre stato un fattore senza eguali. Quell’Inter, nonostante le corse a perdifiato e la palla senza voglia di entrare, continuava a produrre azioni, a crearsi un margine, a suonarle alla Dinamo pronta al ko tecnico. Il primo destro arriva al minuto 86: Sneijder inventa e Milito sfrutta, di mancino, senza pietà. Regalando altri tre minuti per cambiare l’istante che cambierà la storia.

Tre minuti. Ottantasette. Ottantotto. Ottantanove. Tre minuti per riscrivere tutto, tre minuti per andare a Barcellona con una situazione di classifica nettamente differente. Tre minuti per far sì che una mazzata colossale non possa avere poi influenza pure sul cammino in campionato. Tre minuti. Di gioco e di emozioni. Fino alla trattenuta sbagliata di Bogush, portiere degli ucraini, sulla quale si avventa Sneijder con fare da Milito.

Un colpo dolce e secco, come nella migliore tradizione olandese, e la rete che si gonfia, finalmente di certezze. Il boato per l’1-2 è enorme ed è tutto della panchina interista; le telecamere faticano a pescare Mourinho: correva fortissimo e in direzione Julio Cesar, pronto ad abbracciare il suo estremo difensore. Da quella partita in poi, per l’Inter del Triplete saranno sogni realizzati in fila indiana. Uno dopo l’altro. Con quel minuto ottantanove come mantra inaspettato: tutto, ma proprio tutto, sarebbe stato possibile. E le fredde difficoltà di Kiev saranno solo un ricordo nella notte calda di Madrid