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Da anni è una delle voci più apprezzate del tennis in tv e commenta i più importanti tornei internazionali, tra Eurosport e Sky. Federico Ferrero oggi si intrattiene con noi, parlando del tennis di ieri e di oggi, di Sinner e Alcaraz ma anche del “fischio” di Ivanisevic e di Lew Hoad, del talento di Musetti e del rapporto tra Berlusconi e i baffi.

Chi è Federico Ferrero, la voce del tennis in Italia

Nato a Cuneo nel 1976, Federico ha da sempre nel tennis la grande passione. Dopo la laurea in Giurisprudenza, inizia ad occuparsene per lavoro, prima scrivendone e poi da commentatore tv. Dal 2005 lavora per Eurosport, a cui si è in seguito aggiunta la collaborazione con Sky Sport.

Nella scorsa primavera, è uscito “Parlare al silenzio – la mania di raccontare il tennis”, un libro che è uno sconfinato atto d’amore verso questo sport, prima di essere un’autobiografia (qui il link per maggiori info).

In un momento in cui il tennis sta toccando vette inesplorate di popolarità, riuscendo persino a insidiare quella del calcio (che comunque rischia di contaminarlo, ma ne parleremo tra poco), non c’era occasione migliore per intervistare un protagonista, seppure dall’altra parte della barricata. Una voce suadente, mai invadente e che per questo si arriva a percepire persino come amica, dopo ore e ore di tennis guardato in tv.

Intervista a Federico Ferrero, dai grandi del passato al dualismo Sinner-Alcaraz e i mali del tifo “calcistico”

Ciao Federico e benvenuto su PSN. La prima domanda che mi viene in mente è proprio dovuta al fatto che tu hai vissuto in pieno – professionalmente – l’era dei Big 3 che ora è giunta a conclusione. Ecco, con alle spalle la soddisfazione di aver testimoniato da vicino l’epoca dei tre più grandi di sempre, c0è qualche tennista del passato che avresti voluto commentare?

Sicuramente Michael Stich, che era il mio idolo. Nel senso che ho fatto in tempo a seguirlo e mi piaceva tantissimo come giocava, ma ovviamente non a commentarlo, visto che si ritirò nel 1997 quando io ero al secondo anno di università. Se dovessi sceglierne uno del passato, mi sarebbe piaciuto di certo commentare un grande australiano, come Lew Hoad. Sceglierei lui perché pare fosse un tennista già moderno, nonostante appartenesse – diciamo così – all’antichità tennistica.

A proposito di antichità, nel tennis esistono sempre i nostalgici: dei campioni di un tempo, dei “eh ma vorrei vederli con le racchette di legno”, eccetera. Secondo te come si esce da questo “nostalgismo”?

Secondo me il tennis si presta molto a essere uno sport anche nostalgico, perché è uno sport di regole antiche e – se vogliamo – ogni tanto anche anacronistiche. Il tennis è molto legato alla tradizione, anche se spesso i giocatori stessi non ne sono consapevoli. Mi viene sempre in mente Sampras, che era un artista in campo ma non si rendeva conto di produrre arte, dovevano dirglielo gli altri perché lui non ci arrivava. Detto questo, direi che dal “nostalgismo” non si esce, o meglio, il tennis va benissimo così, anche con questa sua componente un po’ malinconica che guarda sempre un po’ indietro e non solo avanti.

Oggi sembra di assistere a un dibattito tra scuole di pensiero che diventa scontro fra tifoserie, “sinneristi” vs “alcarazisti”. Tu come la vedi?

Lo vedo nella maniera più sbagliata possibile. Si tratta di un dibattito calcistico, grezzo, cafone, ignorante, mentre invece una differenza di preferenze va benissimo. Se a un italiano piace più veder giocare Alcaraz, perché non dovrebbe poterlo dire? Il tennis è uno sport internazionale, non sei per forza col bandierone, o costretto a tifare per l’italiano pallettaro che gioca contro un artista, ma non sta bene tifare contro l’italiano. Che poi nel tennis non si tifa contro, quando si fa un punto fortunato si chiede scusa, mentre nel calcio si gode quando il tuo avversario fa autogol. Sono due mondi diversi e vorrei che rimanessero il più possibile separati. Anche se ho qualche dubbio…

In comune con il calcio, pare esserci anche il problema dei genitori ingombranti. Ma nel tennis forse è anche più grave, o no?

Nel tennis è più grave perché c’è una componente più personale: il genitore paga il maestro, porta il figlio ai tornei e spesso vuole ingerire nelle scelte anche tecniche, che non lo riguardano. In generale, ha ragione chi dice che quando vede un ragazzo che gioca bene vuole conoscere subito i genitori, e non per vedere se sono alti e prestanti fisicamente, ma perché spesso sono proprio loro a rovinare i figli, buttando addosso ai ragazzi le loro frustrazioni, bruciandoli o limitandone le carriere.

Federico Ferrero (Facebook)

L’esplosione degli italiani nel tennis: i casi Jasmine Paolini e Lorenzo Musetti

Il tennis italiano sta vivendo un momento incredibile, impronosticabile. Oltre a Sinner che sta nell’Empireo, ci sono altre punte di diamante come Jasmine Paolini e Lorenzo Musetti, senza citare gli altri. Ad esempio, che ruolo pensi possa avere Jasmine Paolini in un momento senza dominatrici vere?

Secondo me alle WTA Finals abbiamo visto un po’ una dimostrazione. Ovvero che abbiamo una giocatrice che ha fatto cose eccezionali, che ha davanti a sé alcune tenniste con cui ha difficoltà a far partita pari proprio per una enorme differenza di stazza. Io non farei troppo affidamento a quest’anno come standard, perché parliamo di una giocatrice che fino all’anno scorso faticava ad andare oltre il 2° turno negli Slam. Quindi non vorrei che qualcuno, se il prossimo anno giocasse solo una finale Slam invece delle due di quest’anno, dicesse che si tratta di un’annata fallimentare. Io metterei dodici firme, per vedere Jasmine Paolini giocare un’altra finale Slam nel 2025, non due. Secondo me sarebbe un grandissimo successo chiudere l’anno prossimo tra le top 10.

E di Musetti, che idea ti sei fatto?

Musetti è un giocatore da grandi tornei e da grandi avversari, magari un po’ meno quando si tratta di fare punti altrove. Vederlo giocare è bellissimo anche se io, onestamente, non pensavo potesse essere così efficace anche ai massimi livelli. Stupidamente, vedendolo così estetico, temevo fosse anche un po’ frivolo. Invece, in tutta evidenza, mi sbagliavo. Detto questo, chi spera che si agganci a una carriera “alla Sinner” secondo me si sbaglia di grosso, ma come del resto si sbaglia parlando di quasi tutti, anche lo stesso Alcaraz.

Spesso Musetti si è segnalato per atteggiamenti un po’ immaturi, come quando ha tirato fuori l’alibi della fortuna avuta da alcuni avversari contro di lui. Ma può davvero incidere, la fortuna nel tennis?

Nick Bollettieri diceva “più ti alleni, più sarai fortunato”, nel senso che è vero che una partita si può decidere per un nastro, una riga eccetera, ma tendenzialmente, nel lungo termine, se sei più forte, è più facile che tu sia anche fortunato. Se ipotizziamo due tennisti di pari abilità e li facessimo scontrare per 100 volte, non è che quello che si allena di meno potrebbe vincere perché è più fortunato. Grazie alla fortuna potrà vincere qualche partita in più, ma in una carriera la fortuna non ha alcuna incidenza.

Il calendario troppo fitto e le polemiche sui prezzi del tennis

Di recente, proprio Alcaraz ha rilanciato la questione del calendario troppo fitto. Pensando anche a casi che ci sono stati di burnout o depressione vera e propria, secondo te è vero che si gioca troppo?

Sì, è vero che si gioca troppo, ma basterebbe giocare meno. I tennisti possono giocare meno, magari producendo certificati come fanno in genere. Il problema è che poi vanno a giocare le esibizioni strapagate, e allora viene meno quel discorso. O meglio, è vero che si gioca troppo, ma chi se ne lamenta poi non mostra coerenza. In generale, comunque, a me non piace aver stiracchiato i Masters 1000 che ormai sono dilatati su quasi due settimane, tranne poche eccezioni come Bercy. E poi il fine stagione è troppo breve. In genere si gioca tanto in rapporto all’intensità della competizione, che una volta non c’era.

Nel tuo libro, fai anche delle considerazioni sul business del tennis. Quest’anno ci sono state polemiche sui suoi costi, sia in occasione degli spalti vuoti al Roland Garros che per i costi pazzeschi della finale di Wimbledon. E oggi c’è chi si lamenta per i prezzi delle ATP Finals. Che mi dici, a riguardo?

La finale di Wimbledon è come la Scala, non si può pretendere di far pagare poco gli eventi di eccellenza. Anche alle Finals, c’è chi si lamenta del prezzo dei biglietti, ma semplicemente non è l’evento da andare a vedere, se tu vuoi guardare tennis. Anche Wimbledon, per dire, ci si può andare ma non alla finale. Vai al primo turno, che fra trasferta e tutto quanto costicchia comunque. Io credo che comandi il mercato. Prendiamo di nuovo Torino: ci sono pochi posti e una domanda mondiale, anzi anche quella nazionale sarebbe già sovrabbondante, perché è chiaro che tutti vorrebbero andare a vedere Sinner. Quindi è normale che i prezzi salgano, anche se a volte in maniera fastidiosa. Il problema è che la gente pretende di vedere Sinner-Alcaraz oppure niente. Forse c’è anche qualcosa di sbagliato nel messaggio che il tennis-business veicola.

Federico Ferrero tra passato e futuro: dal “fischio” di Ivanisevic ai possibili rivali di Sinner e Alcaraz

Fin dal titolo, il tuo libro richiama alla dimensione acustica del tennis. Ma toglimi una curiosità: c’è (o c’è stato) un tennista che potresti riconoscere anche a occhi chiusi, dal suono dell’impatto con la palla?

No, a meno che non mi permetta di sentire anche il “grunting” (ovvero i gemiti che emettono alcuni giocatori quando colpiscono la palla, ndr). Pensandoci, però, mi viene in mente Goran Ivanisevic, che giocava con la Head Prestige, che aveva questa caratteristica, una specie di sibilo. Quella racchetta la usavano in tanti, ma quando Ivanisevic colpiva di dritto, sembrava avesse in mano un fischietto. Per il resto no, non ho un udito così sviluppato da poter riconoscere un tennista dall’impatto sulle corde.

ivanisevic wimbledon 2001
Goran Ivanisevic

Un ultimo spoiler sul tuo libro, in cui a un certo punto racconti un aneddoto su Silvio Berlusconi che non avrebbe voluto Gianni Clerici al commento, ma venne convinto da Rino Tommasi. Andò davvero così?

In realtà io non c’ero, l’ho solo sentito raccontare appunto da Rino. Ricordo che a Berlusconi non piaceva vedere la gente che andava in televisione con baffi e barba, li avrebbe voluti tutti sbarbati e puliti come quando si va in banca. Ad esempio, Marino Bartoletti non piaceva a Berlusconi perché aveva i baffi, mentre Clerici non gli piaceva per quella voce effeminata e questa inflessione dialettale comasca, che lui rifiutava. Poi Rino riuscì a imporsi, perché “Clerici è Clerici, chi se ne frega del timbro di voce?”. Ovviamente, aveva ragione lui.

Chiudo con un occhio sul futuro, visto che abbiamo le ATP Finals e il 2025 dietro l’angolo. Secondo te ci può essere un terzo incomodo, tra Jannik e Carlos?

Non so, faccio un po’ di fatica. Direi Zverev, ma c’è sempre il dubbio sul “quando”. Salvo Wimbledon, teoricamente sempre, nel senso che sia in Australia che a Parigi che agli US Open ha giocato benissimo, ma sappiamo che problemi ha. Arriva lì e poi ha delle difficoltà mentali che gli altri due non hanno. Per cui faccio fatica a trovare un’alternativa pronta già per il 2025. Ci sono quelli che promettono molto bene, per esempio Mensik, ma ancora gli manca un bel pezzo. Quindi, se parliamo di classifica e di continuità, ti dico che c’è Sinner, a distanza Alcaraz, a distanza tutti gli altri. A livello di Slam, invece, entrambi partono nettamente davanti a tutti, magari a Wimbledon e Parigi un pelo in più Alcaraz, a Melbourne e New York un pelo in più Sinner.  Un vero terzo, per il 2025, faccio fatica a individuarlo.