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Domani giocherà la prima finale della carriera in un torneo del Grande Slam, ma non se lo aspettava quasi nessuno. Nemmeno la stessa Jasmine Paolini, che però prima del torneo era numero 13 al mondo e dodicesima testa di serie. Ma quando si esplode a 28 anni, in genere, non è frutto del caso. E non lo è nemmeno stavolta.

Jasmine Paolini, 163cm di lotta e di governo

La prima considerazione che chiunque farebbe su Jasmine Paolini, ma anche su un qualunque collega uomo con fisico in controtendenza rispetto agli standard attuali del tennis, è relativo alla “cilindrata” e alle limitazioni che ne conseguono. Quando sei alta un metro e sessantatre centimetri, ma anche se sei Diego Schartzman con il tuo generosissimo metro e settanta, ci sono situazioni in cui partirai comunque svantaggiato. Al servizio hai molto meno angolo utile per centrare il campo e meno leve per sprigionare potenza, e poi devi fare l’abitudine a giocare moltissimi colpi sopra la spalla in più rispetto a colleghi e colleghe più alti.

Dunque, per emergere da “nanetti” o sei un fenomeno della natura come era Justine Henin (che pure aveva 6-7 cm in più rispetto a Jasmine, che male non fanno), oppure fai di necessità virtù. Tradotto in termini pratici, lavori il triplo/quadruplo degli altri per riuscire a trovare modi per mantenere competitività e per minimizzare le situazioni di svantaggio.

Saper aspettare il proprio momento

Jasmine Paolini è entrata tra le prime 100 del mondo nel novembre 2019, a quasi 24 anni. Ha vinto il suo primo torneo nel circuito maggiore a 25 anni e mezzo, nel luglio 2021 a Portorose in Slovenia. Nei tornei del Grande Slam, è andata per la prima volta oltre il secondo turno nello scorso gennaio in Australia, a 28 anni appena compiuti. Sempre a 28 anni, vince il suo primo WTA Premier 1000 nel febbraio scorso in Dubai e centra la sua prima finale del Grande Slam a Parigi.

La fortuna bisogna guadagnarsela

Il successo in Dubai è avvenuto in maniera che appariva quasi casuale, certamente fortunata. Swiatek che perde in semifinale da Kalinskaya, Sabalenka out al 2° turno, Jabeur ritirata prima del torneo e Rybakina ritirata prima del quarto di finale proprio con Jasmine Paolini.

Come sappiamo bene, tuttavia, nel tennis la fortuna non esiste, o meglio è nulla se non si coglie l’occasione di trasformarla in qualcosa di reale con il proprio gioco.

Ad ogni modo, quel successo ha dato fiducia al lavoro fatto insieme al coach Renzo Furlan, co-autore del miracolo di cui stiamo raccontando. Oltre alla fiducia, ha dato una cascata di punti che hanno permesso a Jasmine di affrontare per la prima volta una stagione con l’agevolo di una classifica da top 20. Il Roland Garros attuale è la dimostrazione di come la fortuna vada fatta fruttare.

Il grande lavoro di coach Renzo Furlan

Jasmine Paolini e il suo team guidato da Renzo Furlan hanno lavorato tantissimo sul servizio, per rendere più incisiva la prima e più profonda e lavorata la seconda, in modo da non far perdere campo alla toscana. Oltre a questo, Paolini ha lavorato tantissimo sul piano fisico, per sfruttare tutti i vantaggi della fantastica velocità di base di cui dispone grazie alle leve ridotte e al baricentro basso. Furlan ha inoltre lavorato moltissimo sulla potenza, per trovare le soluzioni più adatte alla struttura fisica della ragazza, ma anche e soprattutto a migliorare la resistenza che è un valore forse sottovalutato, nel tennis femminile.

Il resto lo fa l’esperienza. Ancora, nei punti importanti, Jasmine Paolini tende a essere un po’ emotiva. Ma l’esperienza ad altissimi livelli la puoi fare quando quei livelli inizi a calpestarli regolarmente, e pazienza se questo accade quando la maggior parte delle tenniste di vertice sono già da tempo nella piena maturità, alcune già in burnout se non prematuramente ritirate.

Invece Jasmine è lì, con il suo sorriso contagioso e il suo tennis che non è solo grinta e corsa, ma anche potenza e intelligenza tattica. Iga Swiatek, soprattutto sulla prediletta terra rossa, sembra il classico mostro invincibile dei videogames, ma Naomi Osaka ha mostrato che c’è sempre un granello di sabbia che può far saltare un ingranaggio.