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La sorte dei grandi è quella di vincere. Ma il destino delle leggende è misterioso.

Crujiff, Puskas e Roberto Baggio – per non citare che tre “pesi massimi” del calcio mondiale – condividono, oltre al fatto di essere icone della storia del calcio mondiale di ogni tempo, anche lo sciagurato fato d’aver mancato il titolo mondiale come ultimo (e idealmente definitivo) coronamento delle proprie straordinarie carriere.

Bruno Pizzul, leggenda nel suo campo, quello delle radio- e tele-cronache sportive, si lega ai sopracitati per non essere riuscito, nel corso della sua lunga e meravigliosa carriera, a raccontare – in prima persona, perlomeno – la vittoria degli Azzurri (né al Mondiale né all’Europeo). Il paradosso è alimentato poi dal fatto che Pizzul si è ritrovato a fare da voce narrante delle avventure azzurre in circostanze a dir poco favorevoli.

Pizzul e la Nazionale, nel solco dei grandi

Come quando, nel mondiale americano del 1994, Bruno Pizzul commenta con emozione prima la straordinaria prestazione di Roberto Baggio contro la Nigeria ai quarti, in una delle partite più difficili e palpitanti nella storia della Nazionale, poi la cocente delusione per quel rigore sparato alle stelle proprio dal Divin Codino a Pasadena, nella finale contro il Brasile – in tutto ciò, il rammarico di Pizzul è aggravato dall’amore incondizionato per Roberto Baggio, che andrebbe letto ogni volta con la voce nasale ed unica del nostro cantore sportivo.

Così nel 2000, quando in un Europeo giocato da protagonisti, e con alle spalle la straordinaria lotteria dei calci di rigore – fin lì maledetta per Pizzul – vinta grazie a Toldo e compagni nella sfida contro l’Olanda, il cammino degli Azzurri è costretto ad arrestarsi proprio sul più bello contro la Francia campione del mondo, prima con la beffa del gol di Wiltord a tempo ormai scaduto e poi contro quel tiro maledetto che, per la regola del golden-goal, assegnò la vittoria del trofeo ai francesi, con sommo rammarico di tutti noi, e di Pizzul in primis – uno che le emozioni sapeva mascherarle a dovere, ma non sempre, non quando la Nazionale scendeva in campo.

Telecronista a cavallo tra la scuola dei Carosio e dei Martellini, ma anche dei Ciotti, e quella (più fresca, più vicina a noi) dei Caressa e dei Trevisani, ma anche dei Piccinini, l’abilità narrativa di Pizzul risiede proprio in questa sua peculiare capacità di saper raccontare ed emozionare senza l’artificio delle urla e degli acuti, delle esagerazioni iperboliche – così battute ai giorni nostri – e delle parole inventate per colpire lo spettatore.

Il senso della misura di Pizzul, e la sua incredibile bravura, sta proprio in questo posizionamento tra le austere descrizioni di Carosio e Martellini – quest’ultimo mai scomposto, e che addirittura si scusò con gli spettatori per aver leggermente mutato tono di voce in quella che fu definita “la partita del secolo”, contro la Germania in Messico, nel 1970, finita 4-3 per gli Azzurri – l’abilità di Pizzul, dicevamo, sta nel posizionarsi a dovere tra l’antico modo di fare telecronaca e il nuovo (che avanza senza tener conto di chi sta dietro).

Proprio per questo Pizzul vanta tante presenze con gli Azzurri quante nelle competizioni europee per club e, ovviamente, per il campionato italiano. La sua conoscenza è tanto vasta da non arrestarsi ad una (breve) competizione, ma tale da poter debordare in qualunque contesto pallonaro.

Lui che, nato in un’Italia in cui bastava davvero un oggetto rotondo – più che un pallone di cuoio – per far felice un bambino e creare i presupposti per una partita di calcio, aveva iniziato proprio calcando i campi d’Italia, e con discreto successo.

Dal campo alla cuffia, sempre dietro ad un pallone

Originario di Gorizia – come tutti gli italiani attaccatissimi al suolo natio –, aveva prima giocato per i locali del Cormons, poi per la Pro Gorizia.

Da qui al Catania, a molti chilometri da casa, ma in Serie B, dove riesce a ritagliarsi uno spazio discreto in cui figurare come calciatore.

È proprio in questo periodo che, salito il Catania in Serie A, partecipa anche se solo dalla panchina, alla celeberrima partita del “clamoroso al Cibali!”, pronunciato (forse…) da Sandro Ciotti. È il 4 giugno del ’61 e si gioca Catania-Inter, e il Catania clamorosamente va sul 2-0; da cui la celebre esclamazione del radiocronista.

Di lì a poco sarà però già ad uno stage della RAI come radiocronista (1969). Prima di questo un’esperienza ad Ischia ne conclude le brevi ma intense gesta del calciatore.

Poi, la primissima telecronaca nel 1970 (Juve-Bologna di Coppa Italia, in cui Pizzul si presenta con 15 minuti di ritardo, trattenuto ad una cena dal mitico Beppe Viola di cui sarà grande amico).

Pizzul è precoce, imberbe ed inesperto, ma già bravissimo. Inizia una fiorente collaborazione con Carlo Sassi in RAI prima di passare a Domenica Sprint, per poi commentare già nello stesso anno il Mondiale del 1970.

In quest’ultimo, inizialmente, ci sono Carosio a commentare gli Azzurri e Martellini le restanti partite del girone. Ma il celebre episodio del guardalinee etiope nella sfida contro Israele costa carissimo – e con somma ingiustizia, si è poi dimostrato – al grande Nicolò Carosio, che lascia l’Italia a Martellini con Pizzul che va al commento delle restanti partite mondiali.

Così Pizzul subentrerà a Martellini dopo il 1982, penultimo mondiale vinto dagli Azzurri – altra occasione in cui Martellini potrà a ragione andar leggermente fuori dal consueto tono statuario per un’emozione difficile da trattenere.

Nostalgia azzurra

Da lì al 2006 commenterà Pizzul. Ma già nel 2006 Pizzul non ci sarà più; l’ultimo mondiale commentato da Bruno sarà quello del 2002, quello del folle Byron Moreno, sul quale Pizzul apparecchierà una tavola ironica ma pungente in occasione della maledetta partita contro la Corea che ci costerà carissima – quella è forse la Nazionale più forte del XXI secolo. Una conclusione amara, per Pizzul, che dunque non commenterà, almeno in RAI, il successo ai mondiali del 2006.

Come 16 anni prima non aveva potuto commentare che con somma tristezza la sconfitta degli Azzurri contro l’Argentina di Maradona e Caniggia – quella che a sua detta rimane la più grande delusione da italiano e commentatore della Nazionale. Riusciamo quasi a vederlo, comunque, Bruno Pizzul, commentare col suo “sì!” inconfondibile il rigore di Grosso che spiazza Barthez e ci consegna il quarto titolo mondiale della nostra storia.

Storia di cui Pizzul fa parte, a prescindere da qualsiasi “delusione”. Niente e nessuno può togliere Pizzul alla Nazionale; perché la Nazionale è anche la voce di Bruno Pizzul.