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Il ricordo non sempre è lieto ma la storia, solitamente, la raccontano i vincitori.

Nel calcio, poi, dove ciò che conta è il campo, le chiacchiere stanno a zero in ogni caso. E se Chiellini può permettersi di sfottere Sarri per i festeggiamenti prematuri (pre Fiorentina-Napoli e post Juventus-Napoli), Guardiola e Klopp alimentare il proprio fuoco reciproco, Mourinho e Conte giocare con la stampa come il gatto col topo, l’Ancona ha poche parole da spendere sulla stagione 2003/2004, la peggiore di sempre di una squadra italiana nella massima serie del nostro calcio da quando esiste il girone unico.

Il prologo di questa storia disastrosa è la promozione nella stagione 2002/2003, ai danni di un Palermo (di Zamparini) ben più favorito della formazione marchigiana che con la guida di Gigi Simoni in panchina e di qualche giocatore d’esperienza in campo è riuscito nell’impresa di ritornare nella massima dopo i tempi del «Raton» Zarate e Lajos Detari.

Le speranze sulla permanenza dell’Ancona in massima serie – se è errato definirle alte – non possiamo certamente catalogarle come utopiche. Nel campionato cadetto la coppia Ganz-Graffiedi fa fuoco e fiamme, le parate di Scarpi tengono più di una volta in vita i biancorossi e le pesantissime reti dei centrocampisti Maini e Perovic risultano fondamentali per conquistare l’ultimo posto disponibile per il volo in Serie A, esattamente dieci anni dopo l’ultima disastrosa apparizione in massima serie.

Fare peggio di quella volta sembra impossibile. E invece.

Presenze alla mano la formazione dell’Ancona 2003/2004. Da notare che alcuni di questi non hanno nemmeno giocato assieme.
Questa è invece una formazione di quell’Ancona con cui tutti avremmo sognato di vincere uno scudetto a Football Manager

Inizio da incubo

Invece il mercato rivoluzione la rosa biancorossa.

La quantità degli acquisti ci costringe ad operare in ordine alfabetico (stiamo parlando solo del mercato estivo; come vedremo quello invernale riserverà ulteriori sorprese e ribaltoni): Andersson, Baccin, Berretta, Bilica, Bruno, Carrus, Di Francesco, Hubner, Mads Jorgensen – il fratello di quello Jorgensen protagonista nell’Udinese e poi nella Fiorentina –, Luiso , Marcon, Milanese, Pandev – un appena ventenne Goran Pandev –, Poggi, Rapajc, Sommese, Sussi e Viali.

Potenziale giovanile in gambe come quelle di Pandev e Mads Jorgensen a cui viene data la dieci, ma anche esperienza in uomini come Hubner – che per la prima e unica volta nella sua carriera non segnerà neanche un gol in stagione – Di Francesco, Sommese.

L’attacco è davvero un inno al calcio nostalgico con gente come Ganz, Hubner, Poggi, Luiso e Rapajc. Il centrocampo non è da meno con il trio Beretta – Di Francesco – Andersson, arrivato dopo le stagioni nel Bari di Fascetti.

Dietro la palma dell’uomo più freak di quel mercato orchestrato da Pieroni spetta a Fabio Bilica, ricordato dai più per aver parato un rigore Shevchenko nel Novembre del 1999.

Sulla carta una squadra interessante, nella pratica un disastro assoluto. Si tratta di una formazione che probabilmente a fine anni 90′ avrebbe potuto lottare per la zona Uefa, ma che calata nel calcio della stagione 2003/2004 è troppo vecchia e demotivata per produrre risultati che siano vicini alle decenza su un terreno di gioco.

L’allenatore Leonardo Menichini non riesce – difficile fare altrimenti – a gestire quella rosa così numerosa e confusa. Le sue difficoltà sono, più che a livello di singoli, a livello di gruppo.

Le parti sono troppo differenti tra di loro, e il malcapitato mister non riesce a raggrupparle in uno stile di gioco comune. Ovvia conseguenza, l’Ancona perde tre partite su quattro in Serie A, e Menichini fa le valigie anzitempo.

Con un punticino nello stomaco e l’assoluta necessità di rifornimenti alimentari, subentra Nedo Sonetti, ma cambia poco. Nonostante l’esperienza del nuovo allenatore biancorosso, l’Ancona ottiene sotto la sua gestione – cioè fino a gennaio – solo le briciole. Il pareggio esterno sul campo della Reggina, pensate, è l’unico punto ottenuto fuori casa dai marchigiani.

Con Galeone si affonda

A gennaio c’è bisogno della scossa, e la scossa si chiama Giovanni Galeone.

L’allenatore mentore di Massimiliano Allegri arriva con grande entusiasmo, ma come Menichini è costretto a fare i conti con una dirigenza folle sul mercato. Come fosse una partita di Paintball, i colori della formazione biancorossa si mischiano a casaccio e senza badare al numero delle nuove caselle.

Se ne vanno in 18 (sic!): sempre in ordine alfabetico; Baccin, Luiso, Parente, Roccati, Scarpi, Sussi e Viali a dicembre; Bruno, Carrus, Degano, Di Francesco, Hubner, Jorgensen, Maltagliati, Perovic, Poggi, Russo e Potenza a gennaio.

Nelle Marche arrivano Bucchi (uno dei pochissimi a salvarsi in quella stagione disastrosa e rientrato nel calcio giocato dopo il dramma della perdita della fidanzata), Dino Baggio (al suo canto del cigno), Hedman, Goretti, Grabbi, Luis Helguera, Sartor, Sogliano, Zavagno, Jardel.

Quest’ultimo, Mario Jardel, dopo aver fatto fuoco e fiamme con le maglie di Porto e Galatasaray in giro per mezza Europa, arriva in Italia per chiudere degnamente una carriera ricca di soddisfazioni. Ha 31 anni, ma è già sul viale del tramonto. Anzi diciamo proprio che l’ha abbondantemente percorso tutto.

È talmente confuso al suo arrivo ad Ancona che all’esordio saluta i tifosi del Perugia anziché quelli della squadra di cui porta stemma e maglietta. Un po’ come quando incontriamo qualcuno ma lo scambiamo per qualcun altro. Più o meno…

Insomma non contento del disastro nel girone d’andata, Pieroni reitera lo stesso schema nel mercato di gennaio: abbiamo anche qui il fratello scarso di qualcuno (stavolta tocca al povero Luis Helguera) e un manipolo di giocatori buoni per quando si assegnavano 2 punti a vittoria e la numerazione era ancora da 1 a 11.

Una catastrofe annunciata, con la ciliegina sulla torta rappresentata da Marione Jardel, arrivato in condizioni fisiche imbarazzanti per un bancario, figuriamoci per un calciatore.

Il disastro infatti prosegue, ma quantomeno l’Ancona riesce a conquistare due vittorie. E per assurdo lo fa solamente una volta sancita la matematica retrocessione.

La prima contro il Bologna (3-2 con goal di Bucchi e doppietta di Rapajc), la seconda contro l’Empoli (a segno Milanese e Sommese) nell’ultima uscita casalinga della stagione. In un clima surreale segnato dall’imbarazzo dei presenti come degli assenti, l’Ancona chiude con 13 punti in 34 gare.

Nessuno, ripetiamolo, ha mai fatto peggio. Ben 45 giocatori in campo, nessuno degno di nota. Ma i guai non finiscono qui. Il presidente Ermanno Pieroni viene infatti arrestato per truffa; il club fallisce e oggi se ne sono perse quasi del tutto le tracce.

Eppure Ancona è una piazza che merita un sogno. O che, quantomeno, meriterebbe di svegliarsi dall’incubo che dal 2004 la assilla.