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Il mago delle promozioni in quella che è stata la casa del Mago, senza aggiunte e con la M maiuscola di chi fa la storia. Era un signore, Gigi Simoni.

E ne abbiamo avuto ulteriormente prova quando ci ha lasciato il 22 maggio, in un anno tristissimo e con il suo vuoto troppo facilmente colmato dall’arrivo prorompente di altri vuoti, più o meno profondi.

Ha fatto la storia dell’Inter, però è stato tantissimo oltre l’Inter. È stato Napoli, Torino, Genoa, Cremonese, Cska Sofia, persino Juventus. Come, Juventus? Sì. Un anno da calciatore: era il 1967 e durò appena undici partite.

Ecco, ce n’è da raccontare. Di quel ragazzo emiliano cresciuto alla Fiorentina, che ha fatto la storia del Mantova e poi del Torino. A Cremona è stato amato alla follia, quindi nominato ‘allenatore del secolo’ dei grigiorossi. Per il Genoa è parte fondamentale della hall of fame. Per tanti, sarà sempre l’allenatore del cuore di Ronaldo il Fenomeno.

Simoni, il calciatore

Per capire la grandezza dell’allenatore, va colto il percorso da calciatore. Ha fatto parte del Mantova di Edmondo Fabbri, promosso in Serie A, ed è stato il primo passo verso una visione diversa del calcio, più legata al gioco, meno alla frenesia da risultato. Nel 1961, al Napoli ottiene la promozione e la vittoria in Coppa Italia.

Torna a Mantova ed è finalmente Serie A. Anzi: sono ben due campionati, prima di trasferirsi al Torino dove con un grandioso Gigi Meroni forma una coppia pazzesca. Ah, Simoni era una mezzala di profonda qualità.

Tre anni al Torino, da vero idolo dei tifosi. Poi, il tradimento: arrivò la chiamata della Juventus, che aveva quasi messo sotto contratto Meroni senza però tener conto delle pressioni dei tifosi granata. Simoni fu una sorta di risarcimento, ma con i bianconeri non scoccherà mai la scintilla: semplicemente, non si sentì mai ben voluto dall’altra parte.

Da qui montò una rivalità che lo accompagnò per tutta la vita, a partire dalle esperienze successive fino ad arrivare a quella più importante: i tre anni al Genoa. Era il 1971 e fu un triennio importante, tale da permettergli di cominciare l’avventura in panchina già a 35 anni. Già da Genova.

Simoni, l’allenatore

Quella del Grifone è un’occasione unica, non sono tante le panchine sulle quali si ha la possibilità di sperimentare. Subentra immediatamente a Guido Vincenzi, in B, e in quattro stagioni ottiene una promozione e un undicesimo posto alla prima in A. Dopo Marassi, ecco il Brescia ed è (altra) promozione. Genova e salvezze, poi Pisa e un’altra B vinta.

È tutto un saltare da una categoria all’altra, pure quando sembra arrivare finalmente una consacrazione: la chiamata della Lazio è intrigante, ma Simoni non è fatto per affezionarsi. È fatto per aggiustare le cose, per rendere efficace un gruppo, fino a spremerlo.

Ha le maniere da progetto ma il fare di un muratore: passo dopo passo, costruisce una squadra senza avere il tempo per godersela. Tante micro storie, nessuna davvero d’amore. Non capita alla Lazio, non capita a Empoli o a Cosenza, figuriamoci alla Carrarese.

È invece Cremona, il posto del cuore: e la guida per quattro anni, vincendo una Coppa Anglo-Italiana nel 1992-1993 battendo a Wembley in finale il Derby County.

Nel 1996, il break decisivo: c’è il Napoli. Con il quale, dopo un ottimo girone d’andata, crolla clamorosamente senza vittorie per 10 turni: lascia la squadra al sestultimo posto e in finale di Coppa Italia (quella poi vinta dal Vicenza di Guidolin), sostituito da Montefusco.

Sembra finita, e invece è solo iniziata. Nel luglio successivo, l’Inter mantiene la parola: Simoni diventa tecnico dei nerazzurri e come primo regala scarta un Fenomeno.

Grazie ai gol di Ronaldo, la formazione milanese contende il primato alla Juventus: tutto si decide allo scontro diretto di Torino, vinto dai bianconeri tra le polemiche furiose degli interisti e in particolare di mister Gigi. A fine partita, persino espulso: era entrato sul terreno di gioco e gliene aveva dette di tutte, all’arbitro Ceccarini. Accusato di non aver accordato un rigore per un contatto in area tra Iuliano e Ronaldo.

Ah, quel campionato lo chiude al secondo posto, e Simoni porta a casa pure una Coppa Uefa (batte la Lazio al Parco dei Principi). Nella stagione successiva scarta invece il Codino: ma non c’è Baggio che tenga davanti alle difficoltà di quella squadra. Moratti, amareggiato, deciderà di esonerarlo.

Due grandi aneddoti

Piacenza, Torino, un po’ di esperienza in Bulgaria con il Cska Sofia. Poi Ancona e Napoli, fino a Siena, Lucchese e una vita da direttore tecnico, prima del Gubbio e ancora della Cremonese. Gigi Simoni ha fatto parlare di sé per tutta la vita, soprattutto per i risultati ma anche per i grandi aneddoti sul suo conto.

A partire dal debutto in Nazionale dell’altro Gigi, Gigi Riva. Simoni, convocato per tre raduni della nazionale dal CT Edmondo Fabbri (il suo primo allenatore), rimase coinvolto in un episodio molto divertente.

Nell’amichevole contro l’Ungheria del 27 giugno 1965, prestò la sua maglia, numero 16, al debuttante Gigi Riva che sostituì immediatamente l’infortunato Ezio Pascutti. Niccolò Carosio, telecronista della gara, finì per ripetere ‘Gigi Simoni’ convinto che in campo ci fosse l’allora giocatore del Torino e non il super bomber.

Ma le immagini che l’hanno reso celebre, ovviamente, sono quelle di Torino.

Del 26 aprile del ’98. Delle proteste dopo il celebre contatto Iuliano-Ronaldo. “Si vergogni, si vergogni”, le parole rivolte all’arbitro che gli causarono l’espulsione.

A mente fredda, Simoni era ancora un fiume in piena:

Mi auguro di aver visto male, che la sensazione di un rigore netto non sia vera. Spero di dover andare a chiedere scusa all’arbitro. In quel caso avrei sbagliato due volte. Giudicando e reagendo come ho fatto. È stato istintivo. Perché era una partita in cui era in gioco tutto. Un anno di lavoro, una carriera

Gigi Simoni dopo Juve-Inter del 26 Aprile 1998

La sua reazione fu umana e il primo pensiero – come sempre – fu rivolto ai giocatori: “Penso a loro. Non deve essere facile vedere una stagione, tanta fatica decisa da una cosa del genere”.

No, non fu facile. E fu la condanna di quella squadra: fortissima e lanciatissima, piegata da un episodio con troppe ripercussioni.