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Per i tanti che l’hanno visto in campo, è stato un giocatore semplicemente eccellente.

Per chi si è poi affezionato al calciatore, una nota di tristezza, una folata d’amarezza: quanto avrebbe potuto dare in più, quanto ancora calcio avrebbe potuto insegnare. Anche perché, Fabian O’Neill, trequartista tipico e per questo meraviglioso, ha lasciato il calcio ancor prima dei 30 anni. Il motivo è presto spiegato: una vita di eccessi. Tanta notte con tanto calcio è sempre un’equazione impossibile da portare a termine.

“El Mago” aveva irradiato il Nacional, e da lì è emigrato nel calcio italiano. Ha condiviso spogliatoio, gol e rettangolo verde con Zinedine Zidane. Che ha confessato la sua ammirazione per le caratteristiche e il talento del calciatore uruguaiano.

Fino all’ultima goccia della bottiglia

Su O’Neill hanno scritto un libro bellissimo, ‘Hasta la ultima gota’, fino all’ultima goccia.

Fu presentato al Museo del Calcio di Montevideo, dove Fabian è considerato e ricordato ancora oggi tra i migliori della storia uruguagia. Non una qualsiasi. Il libro racconta gli aneddoti della vita del calciatore, tanto dentro come fuori dal campo di gioco.

Per farvi capire la grandezza del mito: in appena 48 ore, era stato polverizzato in tutte le librerie del paese. Specialmente in quella di Paso de los Toros, 209 chilometri a nord di Montevideo: è la sua città natale, dove tutto ha avuto inizio. Anche il racconto.

Fabian O’Neill ha avuto tutto. Denaro, fama, donne. La sua abilità in campo l’ha portato a giocare nel Nacional, al Cagliari, al Perugia. Nella Juventus. È stato elogiato da Zinedine Zidane e ha fatto parte della controversa spedizione uruguaiana alla Coppa del Mondo del 2002. Viveva a un passo dalle dipendenze e lontano da un comportamento professionale. Quando, all’alba dei 30 anni, decise di ritirarsi dal calcio, lasciò ai tifosi l’amara sensazione che avrebbe potuto andare oltre, che avrebbe potuto raggiungere lo status di giocatore d’elite che non è mai stato.

I suoi racconti

“Avevo 14 milioni di dollari in banca e un contabile per gestire i miei conti, oggi non ho nemmeno un contatore elettrico in casa mia…”. Questa è la massima definitiva della storia di O’Neill. Che ha avuto tutto e subito. Già nell’anno del suo debutto, il 1992, era diventato campione d’Uruguay con il Nacional. 63 presenze e 15 gol dopo, era in Italia: la maglia del Cagliari gli calzava a pennello, quel mancino era semplicemente la fine del mondo. Giocava da centrocampista centrale: prendeva e distribuiva. Inventava. Facendosi un nome.

136 gare con i sardi: quattro anni spaziali, conditi da 16 reti contro squadre come Lazio, Roma, Fiorentina. Prestazioni di livello che attirarono inevitabilmente le attenzioni delle grandi: la spuntò la Juventus, pronta a dargli il ruolo di vice Zidane, già nel mirino delle più grandi del mercato. Era tutto apparecchiato: avrebbe dovuto alzare il livello, alzarlo ad altezza Juve. Per un po’ lo fece, tant’è che Zidane lo ricorda ancora oggi come “il miglior giocatore con cui abbia mai giocato”.

Per noti, troppo noti, motivi non riuscì a resistere: andò via dopo un anno, direzione Perugia. Sei mesi dopo, ancora a Cagliari. Nel 2003, il ritiro nel club del cuore.

Una storia dura

È sempre stato conosciuto più per la sua vita fuori dal calcio che per quello che faceva in campo. Come sempre, sono le storie dell’infanzia a definirci.

E O’Neill in questo è stato il più umano di tutti. Già all’età di nove anni, vendeva salsicce in un bordello e faceva commissioni per le prostitute del posto. Ne aveva appena dieci quando iniziò a bere, in un ambiente impregnato di fumo e di cattive intenzioni. Era un ragazzino, Fabian, costantemente alle prese con scene di ordinaria follia. Erano normalità. Non uno scotto da pagare. Del resto, con chi avrebbe potuto prendersela? Con il destino?

Il destino era stato anche buono con lui: gli aveva donato due piedi fatati, pronti per fargli spiccare il volo. Se ne rendeva conto ogni volta che conquistava la palla sul campetto dietro casa.

Nel pieno di quell’ebbrezza, O’Neill ci piazzava scommesse – corse dei cavalli, le sue preferite -, alcool, sigarette e scorribande tra amici.

Tra mille, è stato però il bere a distruggerlo totalmente. Per quel bicchiere non ha potuto sfruttare il suo talento al massimo. Ha perso molto capitale, non ha investito, è stato in cattive compagnie ed è finito con quasi nulla.

Oggi vive come se queste montagne russe di emozioni non fossero mai esistite. Hasta la ultima gota. Fino al prossimo rehab.