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Oggi Stuart (Stu) Errol Ungar avrebbe 68 anni.

Invece la storia del giocatore di poker più famoso di sempre si è interrotta nel 1998. Ungar è morto un anno dopo aver vinto il suo terzo Main Event WSOP e aver battuto tutti i più forti avversari di quel periodo. Tutti ad eccezione di uno: il proprio demone interiore che lo ha consumato attraverso l’abuso di cocaina prima e di crack poi. Aveva solo 45 anni.

Non possiamo – e soprattutto non vogliamo – addentrarci qui in un’analisi se quel demone sia il frutto delle tante disavventure personali (la perdita dei genitori nel 1978, il figlio adottivo morto suicida) o se invece sia una destino quasi ineluttabile di chi vive a metà tra genio e sregolatezza.

Vogliamo invece provare ad immaginare cosa sarebbe successo se Stuey non fosse morto, solo e disperato, in quello squallido motel di Las Vegas. Cosa sarebbe successo a lui e al mondo del poker che conosciamo.

La nostra è una storia impossibile, naturalmente. Un po’ come i tentativi di paragonare grandi campioni del medesimo sport ma divisi dal tempo. Chi è più forte tra Pelé, Maradona e Cristiano Ronaldo? A parità di racchette, meglio Borg o Djokovic?

Una delle ultime foto di Stu Ungar (credits PokerNews)

E’ difficile dire se Stu Ungar sia stato il più forte giocatore di poker di tutti i tempi.

Di sicuro è stato il più forte del suo tempo. Un periodo che va dall’esordio nel 1980 con la prima vittoria nel Main Event WSOP (il secondo titolo arriva nel 1981), fino al 1997, anno del clamoroso triplete. Clamoroso soprattutto perché si tratta di un comeback a 7 di distanza dal collasso per overdose.

La vicenda è nota. Nel 1990 Ungar domina il chipcount per due giorni, poi, raggiunto il final table, non si presenta in sala alla ripresa dei giochi. Lo staff del casinò lo trova disteso sul letto della sua stanza, in overdose. Viene ricoverato d’urgenza all’ospedale. Incredibilmente, riesce a riprendere il torneo e ad arrivare al final table, ma la gara è ormai compromessa. Chiuderà 9°, realizzando comunque un’impresa che sa di disperazione e miracolo al tempo stesso.

Ma la storia di The Kid (altro nickname di Ungar) parla anche di numeri che trascendono il tempo dei suoi successi.

A cominciare dal field del Main Event vinto del 1997: 312 giocatori, molti di più rispetto a quelli del ventennio precedente. In questo senso non ci sono dubbi che il livello di Stuey superi quello di tutti i giocatori degli anni ’70, Doyle Brunson compreso.

E poi ci sono le vincite. Ungar è rimasto nella top 10 della All-Time Money dal luglio del 1984 fino all’aprile del 2004, 6 anni e mezzo dopo la sua morte. Anche se la cifra riportata su TheHendonmob.com è 3.677.000 dollari, fonti vicine al campione indicano in 30 milioni di dollari il totale incassato tra tornei di poker e tavoli di cash game, sessioni di blackjack ed eventi di gin rummy.

Stu Ungar è tuttora unanimemente considerato il più forte di sempre nel gin rummy. Così forte da venire bannato da organizzatori di tornei e casinò, convinti che la sua presenza scoraggiasse la partecipazione degli altri giocatori. Stessa sorte gli è toccata nel blackjack.

Nonostante le vincite, Stu Ungar è morto in condizioni di povertà dopo aver dilapidato quasi tutto con la scommesse e l’acquisto di sostanze stupefacenti.

Ma nella nostra storia impossibile ci immaginiamo Ungar in grado di superare la dipendenza dalla droga. E pertanto anche in grado di giocare e ottenere risultati negli anni successivi al 1998. Magari di arrivare al final table del Main Event WSOP 2003, l’evento che ha cambiato per sempre il mondo del poker.

Come sarebbe andata se Stu Ungar fosse stato presente a quel tavolo finale? Avrebbe chiamato il famoso bluff, poi risultato decisivo per la vittoria finale di Chris Moneymaker? Non ce ne voglia Sam Farha, vittima di quella giocata, ma Stu Ungar era dotato di una lettura sugli avversari e di un’intuizione fuori dal normale. Non per nulla è suo il cosiddetto “call del secolo“. E anche la posta in palio non è mai stata un deterrente per lui.

Siamo convinti che Stu Ungar avrebbe fatto la mossa giusta chiamando l’all-in di Moneymaker. A quel punto avrebbe molto probabilmente vinto il suo quarto Main Event WSOP.

Ci piace pensare a un finale così e a una storia in grado di emozionare non solo agli amanti di questo gioco.

Ma siamo altrettanto convinti che il destino del poker non sarebbe cambiato e questo, in fondo, è un bene. L’online ha portato il poker ovunque, rendendolo un gioco per tutti. Oggi i tornei sono competizioni con field enormi, impensabili ai tempi di Ungar. Il poker è diventato un fenomeno mediatico, grazie a televisioni e canali social. Il livello medio dei giocatori si è alzato moltissimo, e vincere è diventato più difficile anche per i migliori.

Tra questi ci sarebbe stato anche Stu Ungar. In fondo lo stile aggressivo che l’online ha portato nel gioco, Ungar la praticava già nei suoi anni d’oro.

Ce lo immaginiamo nelle pokeroom di tutto il mondo, carte in mano e tante chips sul tavolo, che si guadagna da vivere giocando, la sua specialità. Magari con il brand di qualche sponsor addosso, ambito da tutti i media di settore e da qualche talk show americano.

La realtà, invece, è più triste. Ed è ciò che ci resta di lui.

Stu Ungar con la figlia Stephanie (credits PokerNews)

In primis ci sono le tante pagine scritte, quelle dei libri (in particolare One of a Kind: The Rise and Fall of Stuey “The Kid” UngarThe World’s Greatest Poker Player di Nolan Dalla e Peter Alson) e le centinaia disponibili in rete.

Su di lui è stato girato anche un film. Il titolo è “High Roller“, per la regia di A. Vidmer. Nel ruolo di Ungar c’è Michael Imperioli, il Christopher Moltisanti della serie tv I Soprano.

E poi c’è il ricordo nelle parole della figlia Stephanie, alla quale Stu Ungar è sempre stato molto legato, fino alla fine.

Per ultima ci rimane l’epigrafe incisa sulla sua lapide nel Palm Valley View Memorial Park di Las Vegas. Sette parole che sintetizzano la storia del “più grande di sempre”:

A great person, but a greater loss

Immagine di testa: Stu Ungar (al centro) prima della finale del Main Event WSOP 1980, vinta contro Doyle Brunson (a sx). Photo Credits PokerNews