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Nel poker, con l’espressione donk bet si intende la puntata al flop di un giocatore che agisce fuori posizione e che nel round preflop non è stato l’aggressore (questo termine indica chi domina l’azione con un rilancio o un controrilancio).

Per evitare dubbi, facciamo subito un rapido esempio. Il giocatore in posizione di Bottone rilancia preflop e riceve il call solo da parte del Big Bling. Quando scende il flop, il BB esce puntando: la sua è una classica “donk bet”.

Ma perché si chiama così? L’espressione ha una connotazione negativa perché il termine “donk” (derivato dall’inglese “donkey”, cioè “asino”) viene di solito affibbiato a un giocatore scarso o comunque inesperto. Nel caso di una donk bet, colui che la effettua infrange due concetti strategici in un solo colpo: rinuncia alla possibilità di rimanere “nascosto” agendo per secondo e si espone al potenziale rilancio dell’avversario, obbligandosi così ad un call più oneroso per vedere il turn.

La donk bet è stata molto in voga sul finire degli anni ’90 e i primi del Duemila, quando il Texas Hold’em Limit era ancora molto giocato e il No Limit stava solo carburando. Ma con il boom della “Cadillac del poker” e l’arrivo di una strategia molto più aggressiva messa a punto sulle piattaforme online, la donk bet è quasi scomparsa. E’ tornata in voga di recente, grazie sia al field di giocatori live rimpolpato da tanti nuovi appassionati, sia ad alcuni top players che l’hanno riscoperta. Questi ultimi, però, la utilizzano in situazione molti specifiche e con scopi diversi.

Qui invece ci mettiamo nei panni di chi oggi deve affrontare una donk bet durante un torneo dal vivo. Una situazione, questa, in cui si è trovato Jonathan Little nel 2019, durante il Main Event delle World Series Of Poker.

Jonathan Little (credits PokerNews)

Oltre ad essere uno dei migliori coach di poker a livello mondiale, il giocatore classe 1984 originario di Pensacola (Florida, USA) ha vinto tantissimo. Dal 2006 – anno del suo primo in the money – ad oggi, Little è andato a premio ben 158 volte nei tornei da vivo.

I risultati più importanti li ha ottenuti nel World Poker Tour. Nel 2007 si è imposto nel WPT Mirage Poker Showdown di Las Vegas, per più di un milione di dollari. Pochi mesi più tardi è arrivato secondo nel WPT North American Poker Championships e nel 2008 ha conquistato il primo posto alle World Finals sempre targate WPT, per un payout di 1,1 milioni di dollari.

Ma Little vanta un bel palmares anche in altri tour. Ad esempio, ha raggiunto due volte il final table della PCA. Nel 2007 è arrivato 5° mentre proprio quest’anno è stato il primo out del tavolo finale (9° posto). Infine le WSOP. A Las Vegas è andato ITM 43 volte delle quali 4 sono final table, mentre a Parigi (WSOPE 2013) ha ottenuto due piazzamenti. Il suo best targato WSOP è il terzo posto da $239k nel $5k NLH 6-Handed edizione 2013. Le sue vincite oggi ammontano complessivamente a poco più di 8 milioni di dollari.

Rimaniamo però nell’ambito delle WSOP per raccontare la mano che lo ha messo di fronte alla famigerata donk bet.

Photo by SEBASTIEN BOZON/AFP via Getty Images

L’azione si svolge su un tavolo a 9 giocatori, quando i bui sono 1.500/3.000 bb ante 3.000. Tutti foldano fino a Jonathan Little che da cutoff apre puntando 8.000. Lo stack del pro americano in quel momento è di 212.000 chips, pari a 71 big blinds. Il suo raise trova due call: quelli dello Small Blind (stack 62 bb) del Big Blind (71).

Scende il flop: 10♣9♣5♥. Il giocatore in posizione di SB esce puntando in donk bet 7mila chips. Il BB folda e l’azione arriva all’original raiser, cioè Little, che in mano ha Q♣J♦. Con il progetto di scala a incastro, due overcard e l’opzione di chiudere colore runner-runner, lo statunitense si limita a chiamare per tre motivi. Innanzitutto perché ingrandire il piatto in questo momento non ha senso, le pot odds sono già buone. Il vantaggio della posizione, inoltre, gli permette di essere attendista. Infine, ha un po’ di lettura sullo stile dell’avversario: è un loose-aggressive e potrebbe reagire in maniera imprevedibile ad un eventuale rilancio di Little.

Si passa così al turn, un 8♣ che chiude scala per l’americano ma anche un potenziale colore per il suo avversario. Quest’ultimo punta ancora aggiungendo al piatto 18mila gettoni. L’unica azione sensata di Little è chiamare, perché un rilancio batterebbe solo un bluff o una mano marginale, mentre subirebbe un controrilancio da un colore chiuso.

Il river porta un 7♣. Il Big Blind adesso fa check. Little ci pensa un po’ ma alla fine sceglie di non investire altre chips, nonostante abbia completato il suo flush draw. Il motivo è simile a quello precedente: è difficile ottenere un call, se non da un colore superiore chiuso dall’avversario (A♣ o K♣), oppure da una scala colore (J♣ o 6♣).

Il check-behind di Little porta allo showdown: oppo mostra 8♠7♠, doppia coppia, e cede il piatto di fronte al colore di fiori del pro statunitense.