A partire dall’inizio degli anni Duemila, da quando cioè è diventato un fenomeno globale, il poker ha lottato in maniera sistematica per costruire un’immagine positiva di sé. L’immagine di un gioco per tutti modellato sul formato “sportivo”, cioè i tornei, e di un ambiente sano, distante anni luce dalla bisca figlia dei saloon del Vecchio West. Alla fine ci è riuscito.
Gli eroi del poker che conosciamo oggi sono da un lato i pro player sponsorizzati, grandi campioni del live ma soprattutto abili comunicatori (Daniel Negreanu ne è un esempio); dall’altro ci sono i grinder dell’online, fenomeni nel “macinare” mani su mani e al tempo stesso freddi esecutori della GTO. Questa, però, è solo una parte della storia di questo gioco e noi racconteremmo una versione edulcorata del poker se escludessimo i suoi antieroi.
Uno di questi, forse il più carismatico, è David Ulliott. Nasce il primo di aprile del 1954 a Hull, città della costa est inglese, da una modesta famiglia che vive in un quartiere operaio. La città in quel periodo offre poco e il giovane David è il classico ragazzino “testa calda” che ha voglia di farsi strada da solo, magari trascurando qualche regola. Lascia infatti la scuola a soli 15 anni, si sposa a 19 e a 20 è già nei guai con la giustizia.
Finisce in carcere due volte. La prima per furti con scasso, quasi tutti organizzati in combutta con gli stessi proprietari dei negozi presi di mira, per frodare le assicurazioni. L’ultimo, un bookmaker, non è però d’accordo: l’operazione si conclude con l’arresto del giovane David Ulliott, dopo una settimana di inseguimenti. Si fa 9 mesi di prigione, i primi due in isolamento per 23 ore al giorno. La seconda volta dietro le sbarre arriva quando il futuro poker pro ha 28 anni: questa volta è una rissa fuori da un nightclub (non è la prima a dire la verità) che gli costa 18 mesi di reclusione, la maggior parte dei quali trascorsi di nuovo in isolamento. Dopo il rilascio David Ulliott capisce che è meglio rigare dritto. Nel frattempo, però, ha già scoperto il mondo del gioco.
All’inizio c’è la passione per le scommesse sui cavalli ereditata dal padre. Ma lentamente si fanno strada il Texas Hold’em e altre varianti di poker americano. Già prima del secondo arresto, David Ulliot gestisce una piccola bisca clandestina in città, dove è lui l’uomo da battere. E’ così superiore che nessuno vuole più sfidarlo. A quel punto il giovane poker player inizia a girare per i casinò inglesi in cerca di altre partite.
Nel 1990 nel casinò Napoleons di Leeds incontra Gary Whitaker, proprietario di un bar a Wakefield con la passione per il gioco. Per alcuni anni i due formeranno un team “on the road” dedito alle scommesse e alla grosse partite di cash game. Ma i giocatori delle grandi città sono più preparati e difficili da battere di quelli ai quali era abituato. E così David Ulliott capisce di dover migliorare il proprio gioco, fatto di troppi bluff. Le iniziali sconfitte si trasformano in vittorie che il più delle volte sono a 5 cifre. Devilfish è pronto a debuttare nel mondo del poker che conta.
A proposito della “manta” (“devilfish” in italiano), da dove gli arriva questo nickname? La storia è molto particolare. Una sera David Ulliot viene invitato ad una ricca partita privata. Raggiunta la casa dall’ospite, Stevie Au-Yeung, è sul punto di entrare quando qualcosa nella sua testa gli dice che non è una buona serata. Torna in hotel a bere qualcosa ma così facendo evita l’assalto – forse organizzato da qualche giocatore invitato alla partita – di tre rapinatori armati che ripuliscono tutti i presenti. Questa premonizione non gli impedisce però di ripresentarsi alla stessa partita poco tempo dopo.
E’ lui stesso a raccontarlo nel suo libro Devilfish: The Life & Times of a Poker Legend: “Non puoi permettere a una modesta rapina di tenerti fuori da una bella partita… Quella sera stavo giocando al meglio, il mio poker girava alla grande e avevo il controllo completo sul tavolo. Stevie a un certo punto si alza e, sorridendo, mi dà del devilfish“.
Il nickname gli si appiccica come una seconda pelle. In realtà Stevie Au-Yeung lo usa pensando erroneamente al “blowfish”, ovvero il pesce palla: che è velenoso da mangiare se non è prima cucinato in maniera corretta. Forse è questo il senso che meglio si applica al David Ulliott poker player, ma a noi piace comunque immaginarlo come una “manta”, un pesce misterioso che sembra volare liberamente nelle profondità del mare. Anche perché per vincere 6,2 milioni di dollari nei tornei di poker devi saperti muovere con abilità in mezzo ai pro di tutto il mondo.
Il primo in the money, David Ulliott lo mette a segno a Londra nel 1993, in un piccolo torneo da 200 sterline di buy-in. Chiude 6° e fa pari con le spese di iscrizione. Ne seguiranno altri 226, alcuni dei quali storici.
Nel gennaio del 1997 vola per la prima volta a Las Vegas, sempre accompagnato dall’amico Gary Whitaker. Sulla strada verso la Strip, vede un torneo che lo ispira, il Four Queens Poker Classic Omaha tournament. Si iscrive e lo vince. E’ il suo primo grande risultato, non tanto per il payout (20.700 dollari) ma perché nell’HU finale batte Men “The Master” Nguyen, 4° un anno prima nel ME WSOP e già detentore di altri 3 braccialetti WSOP. La parola WSOP suona bene nella testa del player inglese, che decide di rimanere un altro po’ a Vegas.
Una saggia decisione. Tre mesi più tardi, infatti, vince il titolo WSOP nel $2.000 Pot Limit Hold’em, per 180mila dollari di premio. Non è il risultato più ricco della sua carriera, perché il record è un 3° posto ottenuto nel $15.000+400 Doyle Brunson Classic che vale $674.500, ma è uno dei più prestigiosi, insieme alla vittoria nella tappa WPT di Tunica (USA) nel 2003, ripagata con altri $590K.
L’ultimo piazzamento a premio della sua carriera è datato 26 giugno 2014. Nel febbraio del 2015 gli viene diagnosticato un cancro al colon. La notizia viene resa pubblica poco dopo, ma c’è appena il tempo perché gli amici riescano a salutarlo. Il 6 aprile 2015 David Ulliott si spegne, 5 giorni dopo il suo 61° compleanno, lasciando la terza moglie Anpakita, gli 8 figli avuti nel corso dei tre matrimoni e una community del poker che unita gli rende omaggio.
Ma anche negli ultimi mesi di vita, Devilfish rimane se stesso. Dopo aver reso pubblica la notizia della malattia, Ulliott dichiara: “E’ la mano che mi ha riservato la vita. Ho ricevuto tante brutte carte e sono sempre riuscito a trasformarle in mani vincenti. Sarà così anche per questa“. In realtà i medici lo hanno già informato che c’è poca speranza. Dopo aver ricevuto il referto, infatti, chiama subito sua moglie e le dice: “Andiamo a mangiare fuori questa sera. Ma non credo che prenderò il dessert, forse non è adatto all’occasione“.
Nel 2017, dopo anni in cui i vari Phil Hellmuth, Daniel Negreanu, Doyle Brunson, Sam Trickett, Marcel Luske, Liv Boeree, Victoria Coren, John Duthie e altri ne hanno sostenuto la candidatura, David Ulliott viene inserito nella Hall of Fame del poker.
David Ulliott è stato un personaggio amato e odiato al tempo stesso per i suoi eccessi. Giocatore spettacolare ma anche gambler. Divertente, con un grande sense of humor, ma spesso anche arrogante con gli avversari. Un po’ spaccone, un po’ hipster, un po’ dandy, un po’ canaglia con quei quegli anelli simili a tirapugni decorati dal suo nick: DEVIL e FISH.
Cosa ci resta di lui oggi? Oltre alla memoria delle sue imprese al tavolo da gioco, ci resta soprattutto l’immagine di un vero antieroe del poker e l’esempio di una scelta esistenziale, quella che un suo celebre conterraneo ha sintetizzato in un aforisma, più di un secolo fa:
“la vita è troppo importante per essere presa sul serio” (Oscar Wilde).
Per chi fosse interessato a conoscere meglio la figura di David Ulliott, oltre alla già citata autobiografia esiste bel documentario disponibile su YouTube e raggiungibile anche da qui.
Foto di testa: David “Devilfish” Ulliott (credits Neil Stoddard, The Stars Group)