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Non è comune vedere un difensore indossare la maglia numero 11. Nonostante la numerazione da 1 a 11 per coloro che scendono in campo sia stata abbandonata da anni, e dall’anno prossimo anche per i dilettanti sarà possibile scegliere un numero di maglia da abbinare al proprio nome per tutta la stagione, alcuni numeri particolare restano legati a dei ruoli specifici: il 9 è la punta, il 2 ed il 3 normalmente sono i terzini, il 10 il giocatore di fantasia, il 4 il regista arretrato, e via dicendo. Il numero 11 in genere appartiene ad un’ala o comunque ad un giocatore offensivo. 

Poi, ovviamente c’è chi prende le convenzioni e le ribalta, più per voglia di visibilità che altro, normalmente. Poi capita di vedere un difensore che indossa il numero 11 ed effettivamente ha numeri da attaccante in fatto di gol. È questo il caso di Aleksandar Kolarov, difensore della Roma che da terzino sinistro si sta trasformando nel terzo centrale del pacchetto arretrato giallorosso, che nonostante il suo ruolo difensivo è il terzo marcatore della squadra.

Il segreto di Kolarov risiede nella sua incredibile efficacia nel tiro, ed in particolare nel tiro da fermo, tanto che anche la scelta del numero di maglia sembra quasi un omaggio ad un connazionale con cui ha tantissimo punti in comune, sia tecnici che a livello di carriera, uno dei più grandi specialisti dei calci di punizione della storia del calcio: Sinisa Mihajlovic

MIHAJLOVIC-KOLAROV

Sinisa Mihajlovic, il cecchino dei campi da calcio

Sinisa Mihajlovic è nato a Vukovar, al confine tra Serbia e Croazia, nell’allora Jugoslavia, il 20 febbraio 1969 da padre serbo e madre croata. Inizia a giocare nella squadra del suo villaggio, Borovo, per poi passare al Vojvodina, con cui si laurea campione di Jugoslavia nel 88/89, e quindi, nel gennaio del 1991, poco prima dei 22 anni, nella maggiore squadra jugoslava, la Stella Rossa. Nel ruolo di centrocampista sinistro, Sinisa diventa subito titolare nella formazione di Belgrado, arrivando anche a vincere, oltre al campionato jugoslavo, la Coppa dei Campioni nel 1991.  

Nella stagione successiva la Stella Rossa si ripete in campionato e vince anche la Coppa Intercontinentale, ma in Jugoslavia scoppia la guerra civile, che vede in Vukovar il teatro di una delle più cruente battaglie dall’inizio del conflitto, dopo mesi di varie schermaglie più o meno gravi tra serbi e croati. Sono i mesi in cui lo sport jugoslavo si frammenta e in cui le vicende politiche entrano con prepotenza negli stadi e nei palazzetti, arrivando a distruggere anche amicizie come quella tra Divac e Petrovic.

Grazie all’amicizia con alcuni personaggi dell’ambiente ultras della Stella Rossa, militanti nell’esercito serbo, come Zeljko Raznatovic, detto Arkan, Sinisa riesce a mettere in salvo la sua famiglia, ma la Jugoslavia che sarebbe collassata di lì a poco non era più luogo in cui vivere, e nell’estate del 1992 Sinisa si trasferisce in Italia, alla Roma, voluto dal tecnico connazionale Vujadin Boskov

Con i giallorossi Sinisa fa intravedere il suo potenziale sui calci piazzati, già uno dei suoi punti di forza alla Stella Rossa tanto che alcuni ricercatori della facoltà di Fisica dell’Università di Belgrado avevano studiato la potenza del suo tiro, rilevando una velocità massima di 160 km/h, ma non trova una vera e propria continuità di rendimento, in una squadra che non riesce a soddisfare le richieste tattiche di Boskov. La prima stagione si chiude comunque con 41 presenze e 7 gol, di cui ben 5 in Coppa Italia. Nella stagione successiva, con Carlo Mazzone in panchina, l’adattamento di Mihajlovic è più problematico, e chiude la stagione con 28 presenze senza gol. 

Nell’estate del 1994 lo svedese Sven Goran Eriksson lo chiama alla Sampdoria, ed è con la maglia blucerchiata che si compie la trasformazione definitiva di Mihajlovic. L’allenatore svedese infatti lo arretra sulla linea di difesa, nella prima stagione come terzino sinistro, e a partire dalla seconda al centro della difesa. Il rendimento di Sinisa migliora nettamente, unendo ad una buonissima copertura difensiva un’ottima capacità di impostare l’azione dalle retrovie. 

Dopo 4 stagioni alla Samp, in cui segna 15 reti in 128 presenze, imponendosi come specialista dei calci piazzati, si trasferisce, sempre grazie ad Eriksson, alla Lazio. Con i capitolini conquista 2 Supercoppe Italiane, 2 Coppe Italia e soprattutto la Coppa delle Coppe del 1999 e lo Scudetto del 2000, e fissa un record il 13 dicembre 1998, mettendo a segno, contro la Sampdoria, una tripletta esclusivamente su calci di punizione diretti (record condiviso da Beppe Signori, che però segnò anche con due punizioni di seconda). 

Sinisa resta in maglia biancoceleste fino all’estate del 2004, quando, dopo 193 presenze e 33 gol, si trasferisce all’Inter allenata dall’ex compagno e allenatore alla Lazio Roberto Mancini. In due stagioni in maglia nerazzurra, in cui inanella 43 presenze e 6 gol, è decisivo per la conquista della Coppa Italia del 2005, dando un contributo importante anche nella stagione 05/06, dove l’Inter si laurea campione d’Italia e si ripete anche in Coppa Italia, nell’ultima stagione da giocatore di Sinisa. 

A partire dalla stagione successiva assume infatti il ruolo di vice di Roberto Mancini, per poi assumere il prima persona il ruolo di tecnico nel novembre 2008 come allenatore del Bologna, primo passo di una carriera che l’ha portato sulle panchine di Catania, Fiorentina, Sampdoria , Milan, Torino e anche della nazionale serba, e che oggi lo vede nuovamente, con successo, sulla panchina felsinea. 

Aleksandar Kolarov, dalle bombe di Belgrado alle cannonate sparate in porta

Aleksandar Kolarov è nato a Zemun, nel distretto di Belgrado, nel 1985. In giovane età, conclusa la guerra civile vissuta sotto i bombardamenti nella capitale serba, inizia a giocare a calcio, entrando nelle giovanili della Stella Rossa nel 1999, sognando di ripetere le imprese di Mihajlovic nella Coppa Campioni del 1991 e promettendo alla madre che un giorno avrebbe giocato in Premier League.

Nel 2004 inizia a giocare con i professionisti nel Cukaricki, mettendosi in luce nel ruolo di terzino sinistro e guadagnandosi la permanenza nella massima serie serbo-montenegrina anche nella stagione successiva, nonostante la retrocessione della squadra, indossando la maglia dell’OFK Belgrado

Dopo due buone stagioni, arriva la chiamata dall’Italia, per la precisione dalla Lazio, alla ricerca di rinforzi per una squadra che, dopo la rifondazione dell’era Lotito all’insegna dell’austerità, torna a disputare la Champions League. Investendo meno di 1 milione di euro Lotito si assicura questo giovane terzino che in poco tempo si conquista la maglia da titolare nella formazione di Delio Rossi. 

In tre stagioni in biancoceleste Kolarov colleziona 104 presenze e 11 gol, contribuendo alla vittoria della Coppa Italia del 08/09 e della Supercoppa Italiana nell’estate successiva.

Nell’estate del 2010 viene ceduto per quasi 24 milioni al Manchester City (potendo così mantenere la promessa fatta alla madre da bambino), fortemente voluto da Roberto Mancini. Sia con il manager italiano che con il suo successore, Manuel Pellegrini, Kolarov si impone come un elemento importantissimo dei Citizens, contribuendo alle conquiste di 2 Premiership, 2 Coppe di Lega, 1 FA Cup e 1 Community Shield. 

Con l’arrivo di Pep Guardiola alla guida del City, Kolarov inizialmente è ancora titolare, ma verso la fine del campionato si accomoda sempre più spesso in panchina. Nell’estate del 2017 la sua esperienza inglese si chiude, dopo 247 presenze e 21 gol, e viene ceduto per soli 5 milioni alla Roma, tornando così nella capitale ma sulla sponda opposta del Tevere. Preso inizialmente come sostituto dell’infortunato Emerson Palmieri, Kolarov si impone come titolare grazie ad una forma fisica ancora ottima, nonostante vari infortuni subiti a Manchester, oltre che per le sue sempre straordinarie doti balistiche, con un tiro che arriva a superare i 120 km/h

Grazie alle sue prestazioni, mette a tacere anche le lamentele per il suo passato laziale e diventa sempre più importante anche sotto il nuovo allenatore, Paulo Fonseca, che all’inizio del 2020 inizia a farlo giocare come centrale di difesa, riuscendo così a sfruttare il suo piede e la sua visione di gioco ma risparmiandogli quei chilometri di corsa che a 34 anni gli portavano via un po’ di lucidità. Una mossa, questa, che potrebbe allungargli la carriera di qualche anno, come successo a Mihajlovic.

Se questa carriera proseguirà a Roma, dove l’incertezza societaria ha portato a qualche frizione, oppure da altre parti, magari proprio a Bologna sotto l’allenatore serbo che l’ha già allenato in nazionale, sarà tutto da vedere. 

Due perfezionisti del calcio piazzato

Le strade di Mihajlovic e Kolarov si sono incrociate infatti nel biennio 2012/2013, quando Sinisa aveva assunto il ruolo di commissario tecnico della nazionale serba. E non è un caso che proprio in quel periodo si è verificata un’evoluzione nelle capacità balistiche di Kolarov: se la potenza non aveva mai fatto difetto al terzino, infatti, in seguito ai consigli ricevuti dallo specialista Mihajlovic si è notato un netto miglioramento nella precisione e più in generale, nella varietà del tipo di conclusione sui calci piazzati.

Se come giocatori di movimento infatti Mihajlovic e Kolarov sono estremamente diversi, più atletico e pulito negli interventi il secondo, rispetto all’irruenza e alla capacità di marcatura asfissiante del primo, nell’esecuzione dei calci piazzati si somigliano moltissimo. Lo stesso romanista ha affermato che Mihajlovic, suo idolo da bambino, gli ha dato molti consigli su come migliorare il tiro, e dato che, dalle testimonianze dei compagni, l’atteggiamento dei due in allenamento sembra molto simile, è facile pensare che Aleksandar abbia lavorato moltissimo per metterli in pratica. 

A differenza dell’altro primatista di punizioni della Serie A, Andrea Pirlo, che ha segnato la maggior parte dei 28 gol su calcio piazzato in maniera sempre molto simile, il segreto di Mihajlovic era la lettura della situazione e la capacità di calciare il pallone in maniera sempre diversa, ma con uguale precisione e potenza. I 28 gol su punizione di Sinisa sono un campionario straordinario di varietà di soluzioni balistiche 

L’elemento fondamentale delle punizioni di Mihajlovic, che è stato ripreso anche da Kolarov, è la rincorsa. Sinisa prendeva sempre lo stesso tipo di rincorsa, sempre perfetta, che gli permetteva di arrivare all’impatto con il pallone in maniera da poter imprimere potenza al pallone e allo stesso tempo riuscire, grazie alla sensibilità del sinistro, a modulare la traiettoria anche all’ultimo momento, non lasciando mai trasparire le sue intenzioni al portiere e men che meno alla barriera. Il talento c’è, sicuramente, ma sia nel caso di Mihajlovic che in quello di Kolarov è l’allenamento quasi maniacale su questo fondamentale che li ha portati ad eccellere.

Nonostante ci siano stati giocatori che hanno realizzato anche numeri maggiori di Mihajlovic riguardo ai gol su calci piazzati, la sensazione di onnipotenza che suscitava Sinisa ogni volta che si apprestava a battere una punizione non è mai stata eguagliata da nessuno. In altri campionati con portieri meno attenti e difese più scafate, o con una carriera più lunga, probabilmente avrebbe infranto qualsiasi record. Ci sono solo 2 o 3 giocatori che possono stare sullo stesso piano di Mihajlovic quando si parla di bravura nel battere le punizioni, al di là dei meri numeri. E per quanto Kolarov sia uno dei migliori specialisti al mondo in questo momento, è pur sempre un gradino sotto al maestro.

Entrambi sono passati dalla Stella Rossa a calcare i campi di entrambe le squadre di Roma, così come entrambi sono progressivamente passati dalla fascia al centro della difesa, indossando la maglia numero 11, per sfruttare le loro capacità di dosare il tiro anche nell’impostazione, oltre che nei calci piazzati.

Ma è quell’essere dei cecchini implacabili su punizione, grazie all’allenamento e al perfezionamento di ogni dettaglio, dalla rincorsa alla posizione del piede d’appoggio al momento dell’impatto, che li ha resi un valore aggiunto per le proprie squadre.