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Bolt e il calcio sono due mondi affini che si sono spesso incrociati. Il velocista giamaicano non ha mai nascosto la sua passione per il pallone e ogni occasione è sembrata quella propizia per dare quattro calci alla sfera di cuoio.

Prima da bambino, nella sua Giamaica, poi da adulto quando con l’etichetta di uomo più veloce del mondo viene spesso invitato in partite di esibizione per sfruttare la sua fama di atleta olimpionico per finalità benefiche.

Una storia, quella di Usain Bolt e il calcio, che si è quindi alimentata, intrecciata e che poteva diventare una realtà concreta. Ma che alla fine è finita per essere quello che è sempre stato: un passatempo e nulla più.

Le origini dell’amore per il calcio di Bolt

Per capire cosa ci sia dietro questo amore tra il calcio e Bolt è bene risalire a due considerazioni: una storico-temporale e una geografica.

Usai Bolt nasce in Giamaica a Sherwood Content, il 21 Agosto del 1986: un periodo dell’anno che evoca ricordi olimpici ma che viene anche spesso utilizzato per dare lo start alla stagione calcistica nei vari paesi in cui il pallone è lo sport dominante.

Pensiamo per un attimo al bambino Bolt: nasce in un contesto in cui il gioco è predominante, e come tutti i ragazzini si diletta a giocare per strada con la palla, un linguaggio universale valido anche a quelle latitudini.

Il giovane Usain ha appena 12 anni quando per la prima (e finora unica) volta nella propria storia la nazionale giamaicana di calcio si qualifica ai Mondiali: corre l’anno di grazia 1998, la kermesse iridata è quella di Francia 98′ per l’appunto e la Giamaica viene inserita in un girone non proprio agevole, con Croazia, Argentina e Giappone, anch’esso alla prima storica partecipazione.

Per il bambino Bolt questo è sicuramente un evento epocale e la febbre del calcio pervade l’isola più che mai. Un’isola pervasa continuamente anche da un’altra cosa: la musica, soprattutto quella reggae, che trova voce e rappresentazione quasi iconoclastica in Bob Marley, vero simbolo di quella fetta di mondo.

E per capire i motivi geografici di questa passione bisogna proprio ricondurre la storia a Bob Marley, che con il calcio ha sempre avuto un rapporto stretto, tanto da fondare una squadra propria e da girare il mondo non solo in tour con la band, ma anche per trasmettere il suo amore per il pallone che rotola.

Insomma Usain nasce in un contesto impregnato di calcio, ma il ragazzo è alto e dinoccolato, cosa che non favorisce granché il controllo del pallone. Però ha le ali ai piedi. Corre davvero come il vento e in quest’isola non è cosa poi così rara. L’altra grande specialità giamaicana è quella dei velocisti infatti.

Bolt diventa quindi l’uomo più veloce al mondo ma non è questa la sede per elencare le virtù nell’atletica di questo vero e proprio prodigio del genere umano: basti pensare che nel 2009 stabilisce quelli che sono a tutt’oggi i record sui 100 mt piani (9.58) e sui 200 mt piani (19.19).

Dopo 8 ori olimpici e svariati record abbattuti Usain Bolt appende le scarpette chiodate al muro, coltivando però il sogno di indossare quelle coi tacchetti, per iniziare una nuova carriera stavolta come calciatore.

L’esperienza di Bolt nel calcio

L’imbeccata arriva da uno sponsor in comune tra Bolt e il Borussia Dortmund che permette al campione giamaicano di svolgere qualche allenamento con la formazione tedesca. La differenza con i professionisti del pallone è notevole e non basta la prestanza atletica, spesso sufficiente nelle partite di beneficienza per spiccare su tutti gli altri. Qui si gioca sul serio.

E il sogno di Bolt, quello di giocare per la sua squadra del cuore – il Manchester United – sembra davvero impossibile. Arriva però la possibilità di confrontarsi con qualcosa di più impegnativo rispetto ad un charity match: i norvegesi dello Strømsgodset lo accolgono ben volentieri per qualche allenamento e Bolt infine viene lanciato nella mischia di una gara amichevole contro l’under 19 norvegese.

Usain scende in campo, indossando sulle spalle il numero 9.58 e la cosa sembra assumere i contorni più di una trovata pubblicitaria che altro. Ma per un giorno lo Strømsgodset è comunque la squadra più chiacchierata del mondo.

Qualche settimana dopo Bolt si toglie comunque la soddisfazione di giocare sul terreno di Old Trafford: scende in campo al Teatro dei Sogni per una gara di beneficenza organizzata dall’Unicef contro una selezione inglese e viene anche premiato come MVP del match.

Allora Bolt ci riprova, magari aggiustando il tiro e ridimensionando le pretese. Basta calcio europeo, forse troppo competitivo, e quindi meglio ripiegare su qualcosa di maggiormente adatto al suo livello come calciatore. Ottiene la possibilità di allenarsi con i Central Coast Mariners, formazione che milita nella massima serie australiana.

Inizia ad allenarsi con i nuovi compagni nel giorno del suo trentaduesimo compleanno il 21 Agosto 2018 e dopo due mesi avviene il debutto in un’amichevole contro una formazione dilettantistica il Macarthur South West United.

Entra per ben due volte nel tabellino dei marcatori, sfoggiando la sua tipica esultanza vista migliaia di volte nelle piste di atletica di tutto il mondo: con il suo numero 95 sulle spalle sembra l’inizio di una carriera anche nel mondo del calcio. Vedendo però la gara si ha la netta sensazione che ci sia quasi un timore reverenziale degli avversari verso questa vera e propria leggenda vivente dello sport.

Infatti in contesti più agonistici non vedremo mai Bolt calcare il campo da gioco: viene ritenuto semplicemente inadeguato al ruolo di calciatore. Dopo qualche settimana di ulteriore allenamento quindi, l’uomo più veloce della storia dell’umanità decide quindi di appendere gli scarpini da calcio al chiodo.

Avrebbe anche sul tavolo un’offerta da parte della squadra maltese del Valletta F.C., ma decide di soprassedere evitando altri tentativi a vuoto.

Finisce quindi così la carriera calcistica di Bolt: un lampo, una saetta velocissima, proprio come lui quando praticava il suo sport naturale.