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Usa – Inghilterra 1-0 del mondiale 1950 è uno dei risultati più clamorosi nella storia non solo di questa manifestazione, ma dell’intera storia del calcio.

Anche perché gli inglesi ci tengono sempre a ribadire che il football l’hanno inventato loro, nonostante in tutta sincerità fino al mondiale vinto in casa nel 1966 abbiano rimediato soprattutto magre figure.

Una delle peggiori mai viste risale appunto all’edizione della coppa del mondo del 1950 in Brasile, quando la nazionale dei Tre Leoni, che per la prima volta si degnava di partecipare a questa competizione, venne umiliata dagli Stati Uniti, che si erano presentati invece con un undici raffazzonato e precario.

Usa – Inghilterra, il miracolo di Belo Horizonte

Sembra curioso da dire, ma fino al 1950 la squadra con più tradizione e con risultati migliori in un mondiale è la nazionale degli Stati Uniti, che nel 1930 si era arrampicata addirittura fino alla semifinale. E siccome l’Inghilterra non aveva mai partecipato ecco servita sulla bilancia la disparità di risultati.

In realtà il movimento calcistico oltreoceano è praticamente inesistente, mentre nel Regno Unito va avanti con successo da oltre mezzo secolo. La stessa nazionale inglese nonostante la “puzza sotto il naso” è una signora squadra, che nel 1948 a Torino aveva passeggiato, per dire, sull’Italia composta quasi per la sua totalità dal Grande Torino.

Sta di fatto che Usa – Inghilterra nel 1950 è una sfida impari, con i britannici largamente favoriti e che confermano di avere i pronostici dalla loro parte dopo l’esordio vincente in quel mondiale, 2-0 al Cile, mentre gli americani hanno perso 3-1 contro la Spagna e sono già con un piede fuori dal torneo.

La formula di quella coppa del mondo infatti prevede quattro gruppi con le rispettive vincenti che si sfideranno a loro volta in un girone all’italiana. Celeberrima l’ultima partita, Brasile – Uruguay, “Il Maracanazo“, considerato superficialmente la finale di quel mondiale ma che invece era solo una partita del gruppo: non a caso ai brasiliani sarebbe stato sufficiente un pareggio per trionfare.

Tuttavia prima del “Maracanazo”, il 2-1 dell’Uruguay al Brasile a Rio de Janeiro, si era verificato “Il miracolo di Belo Horizonte”, ovverosia l’1-0 degli Usa sull’Inghilterra.

Professionisti e dilettanti

In Inghilterra il calcio all’epoca è un lavoro da professionisti, esistono i calciatori che di mestiere, come dire, fanno solo quello e non si devono occupare d’altro.

Una delle stelle della squadra allenata da Walter Winterbottom è Stanley Matthews, futuro primo Pallone d’Oro della storia, ma che incredibilmente per le prime due partite del mondiale è impegnato in un tour d’esibizione assieme ad altri giocatori inglesi in Canada. Sfidano anche una selezione statunitense di gente che naturalmente non è la stessa presente in Brasile per la coppa del mondo e l’incontro finisce 1-0.

Il gruppo dei Tre Leoni pensa che Matthews e gli altri potranno rendersi utili solamente per le partite considerate più difficili, lo “spareggio” con la Spagna per vincere il girone ed eventualmente nella fase finale. Nessuno immagina lontanamente che gli Usa possano impensierirli, anche perché la nazionale a stelle e strisce è reduce da 7 sconfitte consecutive con 45 gol subiti e appena 2 realizzati.

Del resto gli Usa sono composti da calciatori che in realtà sono maestri di scuola, impiegati in agenzie di pompe funebri, lavapiatti e postini. C’è anche chi ha dovuto abbandonare il ritiro come Ben McLaughlin, il bomber della squadra, perché non ha avuto il permesso dalla sua ditta. Per arrivare a un numero decente di giocatori l’allenatore americano Bill Jeffrey ha dovuto chiamare anche non-americani ma naturalizzati, come l’haitiano Joe Gaetjens del Brookhattan di New York, di mestiere pure lui cameriere.

Con questo undici di “scappati di casa” gli Usa sfidano la superpotenza inglese. Il capitano Ed McIlvenny, poi, è addirittura scozzese.

Borghi
Maca
McIlvenny
Colombo
Bahr
Keough
E. Souza
J. Souza
Pariani
Wallace
Gaetjens

Ci pensa Gaetjens

Parola al campo quindi, con le quote degli americani che veleggiano incontro al 500 contro 1, stando alle ricostruzioni dell’epoca. Tempo 20 minuti e il portiere degli Usa, Frank Borghi (ex giocatore di baseball), ha già compiuto almeno 5 miracoli.

Alla prima occasione per gli Usa, però, succede l’imprevedibile. Un tiro dalla distanza di Walter Bahr, uno dei pochi professionisti degli Stati Uniti, sta per finire fuori prima che una deviazione sposti la palla verso la porta rendendolo imparabile per il portiere inglese Bert Williams: è stato Gaetjens con un tuffo senza senso.

Usa in vantaggio e Inghilterra sotto choc. Il pubblico di casa di Belo Horizonte naturalmente fa il tifo per gli “sfigati” americani, perché non vuole che gli inglesi vadano avanti e magari becchino il Brasile. Quindi i circa 10mila presenti iniziano a incitare quelli in maglia bianca con striscia diagonale rossa, che minuto dopo minuto si gasano ancora di più.

I tre paisà italiani di Usa – Inghilterra

La ripresa è un continuo ma sterile attacco dell’Inghilterra, che oltre al solito Borghi incocciano su una giornata indimenticabile dell’altro paisà, il centrale di difesa Charlie Colombo. E ce ne sarebbe un terzo di figlio di immigrati italiani, Gino Pariani: lui, Colombo e Borghi tutti di Saint Louis.

Non solo gli inglesi non pareggiano, ma è la nazionale statunitense che rischia di segnare il raddoppio con Wallace, ma Ramsey (futuro grande allenatore e tecnico dell’Inghilterra campione del mondo nel 1966) salva sulla linea.

C’è solo un giornalista Usa che è presente a raccontare la partita, peraltro a sue spese visto che nessuno gli aveva pagato il viaggio in Brasile, ma è quando la notizia arriva a Londra che tutti credono a uno scherzo o a un errore di battitura.

Invece no, si era appena concretizzata una delle maggiori sorprese nella storia del mondiale e non solo: Usa – Inghilterra 1-0, 29 giugno 1950, la data della vergogna.

E ogni volta che questa sfida si replica, in era più moderna con gli Usa che non sono più degli “scappati di casa”, il ricordo torna inevitabilmente al “miracolo di Belo Horizonte”.