Salvatore “Totò” Schillaci è morto e ci sentiamo immediatamente tutti più tristi. L’ex attaccante della Juventus, dell’Inter e soprattutto, non ce ne vorranno gli altri tifosi, della nazionale, è morto a Palermo a 59 anni, ucciso da un tumore che lo stava devastando da tempo.
Con lui se ne va non solo un calciatore, ma un volto, un simbolo intero di una competizione, il Mondiale di Italia ’90, che ha segnato intere generazioni.
Un Mondiale, quello, di cui Totò Schillaci fu l’imprevedibile capocannoniere, il trascinatore degli Azzurri che si arenarono in semifinale contro l’Argentina, acciuffando poi il terzo posto battendo l’Inghilterra.
Ma quella dell’attaccante palermitano è una storia dal retrogusto triste, di riscatto personale su un contesto decisamente poco favorevole, e del pallone come grande filo conduttore dei sogni, delle estati che diventano “notti magiche” volendo, indimenticabili anche se non si vince.
Anche per questo motivo la tristezza dopo la morte di Totò Schillaci, così prematura, è ancora più grande.
Totò Schillaci, dal Cep di Palermo
Schillaci è stato anche e soprattutto il simbolo di una terra come la Sicilia decisamente martoriata dalla sfortuna a livello calcistico e non solo.
Il piccolo Totò, cresciuto in uno dei quartieri peggiori di Palermo, il Cep, cresce aiutando il papà muratore che non porta a casa chissà quanti soldi ma deve tirare avanti. Il suo mestiere è il gommista, ma nel tempo libero si allena e gioca a calcio nell’Amat, squadra amatoriale del capoluogo siciliano.
Rapido e guizzante, la sua dimensione in un mondo normale finirebbe lì, nelle strade polverose di Palermo, ma Totò Schillaci ha talento e dopo un tentativo infruttuoso di agganciare la Juventus tramite uno zio emigrato a Torino arriva la chiamata da un’altra squadra siciliana: il Messina.
Con lui gioca anche il cugino, Maurizio, molto meno talentuoso e che avrà calcisticamente peggior fortuna finendo addirittura, è notizia di qualche mese fa, come senzatetto.
Totò Schillaci invece a Messina diventa l’idolo dei tifosi con due allenatori che ne plasmano il ruolo in campo: uno è Franco Scoglio, “Il Professore”, e l’altro è Zdenek Zeman, che trasforma Salvatore da ala a centravanti, nonostante il fisico minuto.
I gol arrivano a grappoli, anche 23 in una sola stagione di Serie B. A quel punto la Juventus batte la concorrenza anche del Napoli e si accaparra l’ennesimo “figlio del sud”.
“Notti Magiche”, la consacrazione
Totò Schillaci, è l’estate del 1989, veste bianconero ed entra in uno spogliatoio ricco di grossi nomi. Non è più giovanissimo, ha trascorso al Messina ben 7 stagioni, eppure sta per entrare in uno di quei periodi che capitano agli atleti, in cui trasforma in oro tutto ciò che tocca.
Nel 1990 la Juventus vince la Coppa Italia e la Coppa Uefa con Zoff in panchina e Totò Schillaci è lì, maglia numero 9: 15 gol in campionato, 4 in Europa. La chiamata in nazionale arriva al momento giusto, per il Mondiale c’è anche lui.
Gianluca Vialli, Andrea Carnevale, Roberto Baggio, Roberto Mancini, Aldo Serena e Salvatore Schillaci: questi sono i sei attaccanti convocati dal commissario tecnico Azeglio Vicini per Italia ’90, il Mondiale delle “Notti Magiche”, come da inno ufficiale della manifestazione (il cui titolo sarebbe in realtà “Un’estate italiana”).
L’ordine non è casuale, le gerarchie sono quelle più o meno. Di sicuro l’ultimo della fila è Schillaci, l’ultimo arrivato (non ha neanche la sua figurina nell’album ufficiale del torneo), che parla un italiano zoppicante ma, accidenti, la mette sempre dentro.
Totò Schillaci e quel gol all’Austria
Molta pressione sugli Azzurri, che dal ritiro di Marino, vicino a Roma, vengono travolti dall’affetto dei tifosi ogni volta che vanno all’Olimpico a giocare le loro partite, o anche solo mentre si allenano.
Il debutto è previsto per il 9 giugno contro l’Austria, davanti ci sono Vialli e Carnevale, ma la squadra non ingrana. Vicini deve inventarsi qualcosa e dalla panchina sceglie Totò Schillaci: è il minuto 75 di un incontro inchiodato sullo 0-0.
Passano 3′ e Vialli lavora un pallone sulla destra, cross al centro dove c’è Schillaci in mezzo a due difensori austriaci che sono più alti di lui di 15-20 centimetri; la prima magia è pronta a materializzarsi perché la palla arriva esattamente sulla testa di Totò, che supera il portiere Lindenberger e fa esplodere l’Olimpico.
Vittoria di vitale importanza, ma le gerarchie per ora non cambiano. Quando però Carnevale viene sostituito anche nel secondo match contro gli Usa con tanto di “vaffa” a Vicini, allora sì che Schillaci non si schioda più.
Nella partita successiva la Cecoslovacchia va sotto dopo 9 minuti grazie proprio a una zampata di Totò che di testa raccoglie un tiraccio di Giannini da fuori area e piazza la palla alle spalle del portiere Stejskal; sembra proprio che ogni tiro sghembo venga calamitato dall’attaccante siciliano.
“Totò, che culo che hai!”
Schillaci, ormai si è capito, è diventato Re Mida. Sblocca il risultato agli ottavi di finale contro l’Uruguay nella ripresa con una sassata di sinistro da fuori area e risolve il quarto di finale con l’Eire trovando un rasoterra di destro difficilissimo su corta respinta del portiere irlandese.
Totò ha segnato di testa, di sinistro e di destro, nessuno si sogna più di toglierlo mentre accanto a lui le gerarchie si assottigliano: Roberto Baggio assieme a lui sta formando una coppia nuova e fresca, con Vialli momentaneamente infortunato.
In semifinale però l’attaccante della Sampdoria è pronto di nuovo e viene schierato accanto all’inamovibile Schillaci. Si gioca a Napoli contro l’Argentina, l’ambiente è ostile caricato da Maradona che mette i tifosi partenopei “contro” quelli azzurri.
L’Italia però inizia alla grande e sblocca il risultato al quarto d’ora con un altro gol in mischia di Schillaci. Azione confusa di Giannini, botta al volo di Vialli e sulla corta respinta del portiere Goycoechea “Totò” si fionda e segna con la gamba d’appoggio, letteralmente.
Aneddoto confermato da più parti, al momento dell’esultanza Giannini abbracciando Schillaci gli grida: “Aò Totò, ma che culo che c’hai!“. Sincero fino in fondo, “Il Principe”, per l’Italia solo buone notizie fino al pareggio di Caniggia e alla sconfitta, crudele, ai calci di rigore.
A Totò Schillaci non resta che vincere la classifica dei marcatori di Italia ’90 grazie al rigore che Roberto Baggio gli lascia nella finalina per il terzo posto contro l’Inghilterra, che gli Azzurri vincono 2-1. Sei gol in sette partite, come Paolo Rossi nel 1982 ma senza il titolo mondiale.
Un lento declino
Finita la magia di Italia ’90 Schillaci si avvita in una crisi rapida tanto quanto la sua precedente ascesa. La Juventus con il nuovo allenatore Maifredi non ingrana, la cessione all’Inter non aiuta.
Le notizie che lo riguardano rasentano il gossip, come la crisi con la moglie presunta amante di Gigi Lentini, una notizia che emerge quando il calciatore del Milan nell’estate del 1993 ha un tremendo incidente stradale che per poco non gli costa la vita.
Totò Schillaci a quel punto prende una decisione clamorosa e lascia l’Italia per andare a giocare in Giappone, al Jubilo Iwata: è il 1994 e dopo Italia ’90 ha giocato appena altre 8 volte in nazionale. Il ritiro, nel 1997, prima di aprire una scuola calcio a Palermo per aiutare i ragazzi in difficoltà.
“A Dracula, con affetto, Totò Schillaci”
TRE UOMINI E UNA GAMBA – 1996
E poi le partecipazioni a “L’isola dei famosi” o a “Pechino Express”, le citazioni di culto in film altrettanto di culto come “Tre uomini e una gamba” di Aldo, Giovanni e Giacomo; fino alla notizia del tumore al colon, uscita anche qua per vie traverse, il giorno dell’arresto a Palermo del boss mafioso Matteo Messina Denaro, in cura nello stesso ospedale.
La morte di Totò Schillaci porta via agli appassionati di calcio il volto sorridente e felice di un’estate indimenticabile, quello di un ragazzo umile e un po’ ingenuo che per un mese è stato molto più di un trending topic ante litteram. Gli volevamo bene tutti.